Chiesa, scandali, Sodoma e pentimenti

Ancora un altro “pezzo” sul libro – ricerca di Frédéric Martel “Sodoma” che, come già detto, sarà nelle librerie il 21 febbraio p.v., anche per rispondere alle molte email e sms mi sono pervenuti, in cui le espressioni più usate in riferimento al contenuto del libro sono state: “scandalo vergognoso”, “mai pensato a scandali del genere”, “ben vengano gli scandali”.

 

di ANDREA FILLORAMO

Ancora un altro “pezzo” sul libro – ricerca di Frédéric Martel Sodoma” che, come già detto, sarà nelle librerie il 21 febbraio p.v., anche per rispondere alle molte email e sms mi sono pervenuti, in cui le espressioni più usate in riferimento al contenuto del libro sono state: “scandalo vergognoso”, “mai pensato a scandali del genere”, “ben vengano gli scandali”. Partendo dal termine “scandalo” ho fatto alcune considerazioni che possono essere utili per l’esegesi del testo….
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In relazione ai personaggi, di cui si parla nel libro-ricerca di Frédéric Martel non possiamo evocare il concetto di scandalo. Se per scandalo intendiamo, infatti, un’azione immorale, disonesta che viene rivelata improvvisamente suscitando una reazione clamorosa presso l’opinione pubblica, quanto rivelato in “Sodoma”, non può scandalizzare quanti hanno seguito, in questi ultimi anni lo svolgersi delle rivelazioni, fatte dai media, della vita dei preti, dei vescovi e dei cardinali, specialmente di quelli che abitano o frequentano i sacri palazzi e senza nascondersi sotto la maschera dell’ipocrisia sono entrati in contatto indiretto o diretto con loro.
Nessuna reazione clamorosa quindi è prevedibile in quanti vedono nel racconto fatto dall’autore di “Sodoma”, una conferma di opinioni ben salde nella loro mente e non ritengono, quindi, di dover utilizzare la simulazione di buoni sentimenti, di buone qualità o di buone intenzioni per non guardare in faccia la realtà.
La novità e il merito dell’autore è certamente quello di aver storicizzato i fatti, attingendo dalle testimonianze senza servirsi di filtri ipocriti.
Un disattento esame di tali testimonianze può indurre qualcuno a ritenere sconvolgente l’affermazione – che, per tal motivo facciamo, però, a voce molto bassa, che quei monsignori, quelle eminenze, quelle eccellenze e quei reverendi, di cui si parla nel libro, se non hanno coinvolto minori e se non hanno commesso reati, si sono comportati come tantissime altre persone insospettabili, adulte, consenzienti, appartenenti a diversi gruppi sociali e professionali.
Nessuno mi accusi di “buonismo”, di “lassismo morale” o di non riconoscere alla Chiesa il diritto-dovere di dare delle regole di comportamento a quanti entrano e sono nella schiera clericale a tutti i livelli, né tanto meno di giustificare il male che non si annida soltanto nell’animo dei preti.
Non è questo il discorso che intendo fare.
Affermo, però, con forza che i preti sono uomini come tutti gli altri e non bisogna angelicarli e mettere a tutti i costi in testa a loro l’aureola di santità!
Essi, perciò, hanno una sessualità come Caio e Sempronio.
L’indossare una talare, ricevere l’Ordine Sacro, indossare paramenti episcopali o avere in testa la beretta cardinalizia, quindi, non depotenzia i loro impulsi, che si sono fatti sentire con prepotenza quando erano bambini, che sono esplosi quando erano adolescenti, che hanno continuato e continueranno sempre a sorgere improvvisi, a svolgersi con rapidità, talora con violenza, privi totalmente di una razionale motivazione.
Iniziando il percorso seminaristico che li ha condotti al sacerdozio, essi, se opportunamente aiutati dal Padre Spirituale che c’è in ogni seminario, hanno cercato di impadronirsi di quel meccanismo psicologico e motivazionale, che è la sublimazione, che sposta una pulsione sessuale o aggressiva verso la vita religiosa e spirituale e talvolta, magari, ci sono riusciti.
Ma, in mancanza o venendo meno la sublimazione, essi hanno imboccato la via crucis sessuale sempre dolorosa e disumana per essere casti, riservata solo a loro, ma, a mio parere, inutile per il ministero.
Quante volte nel seminario hanno resistito alla tentazione del compagno di camerata o anche di qualche prefettino abbastanza “intraprendente”, che la sera andava accanto al letto per invitarlo a coprirsi bene perché c’era freddo………! Quante volte in parrocchia quando la tentazione li raggiungeva persino nei confessionali o erano attratti da qualcuno/a sono stati tentati di “gettare la tunica alle ortiche”, ma hanno creduto al loro sacerdozio, a essere dei punti di riferimento per tutti i fedeli, a sentirsi chiamare padre, all’interno di una comunità, di cui sentivano il calore dell’accoglienza e di cui non potevano fare a meno!
E poi, come era difficile, oltretutto, farsi un’altra vita, rinascere come persone libere, accettando o solo pensando di aver commesso lo sbaglio tragico di affidarsi a un’istituzione che non aveva a cuore la loro e l’altrui libertà o benessere!
E infine: come lasciare il sacerdozio senza un titolo di studio, dato che il seminario non rilasciava titoli o svolgere una professione civile che assicurasse almeno di che vivere?
Non restava, quindi, altro da fare se non continuare nella prassi ministeriale, pensare anche alla carriera ma anche darsi alle fantasie solitarie, alle veniali “cadute” che con il passare del tempo diventavano sempre più frequenti e per questo sempre più nascoste. Strana, ma psicologicamente spiegabile era l’apologia della castità fatta a ogni piè sospinto nelle loro omelie o nei discorsi fatti alla gente.
Ciò, fino a quando, giorno dopo giorno la loro resistenza è crollata e, quindi, hanno “varcato il Rubicone”.
Non è stato questo un momento tragico anzi è stato un momento liberatorio nel quale i preti si sentivano finalmente identici agli altri, uomini come gli altri uomini
Da allora non hanno più pensato che la santità coincidesse con la castità, che per essere liberi, dovevano ubbidire solo al Vangelo, che nella Chiesa c’era posto per tutti, che l’astinenza imposta è una vera truffa, che la sessualità, se esercitata senza arrecare danno al prossimo, non ha regole o che le sole regole siano quelle sanitarie.
Il “sessismo” più esasperato e radicale si è impadronito di loro che con il tempo, data la repressione sessuale vissuta in prima persona sulla loro pelle, hanno sviluppato “un’incapacità addestrata” a costruire relazioni affettive paritarie, un’inabilità a innamorarsi e a legarsi in profondità a qualcuno, amandolo e rispettandolo, facendo, così, coesistere il sesso con l’amore.
Quello che era divenuto accettabile per loro diventava il godere – al riparo della vista della loro “seconda vita”, che si svolgeva particolarmente in determinati ambienti come quello vaticano, omofobo in pubblico, ma molto omosessuale dietro le tonache – di tutti i vantaggi che la professione clericale garantisce in termini di autorità sui fedeli, di sacralizzazione della propria persona, di rendimenti economici e di agi materiali,
Il vero scandalo, è quello che nella Chiesa domina in modo assoluto la sessuofobia e la sua dottrina è così pervasiva che, anche per quanti abbiano smesso di credere spesso occorrono anni perché l’equazione sesso-peccato appaia in tutta la sua insostenibilità e il suo rigetto non rimanga una mera acquisizione intellettuale.
Il filosofo cattolico Gianni Vattimo, in termini provocatori scrive: “La vera rivoluzione di Papa Francesco sarebbe dire: basta, non m’importa più nulla dei comportamenti sessuali delle persone, siano etero od omosessuali. La Chiesa dovrebbe semplicemente lasciare ciascuno libero di fare ciò che vuole, senza quella ansia pruriginosa di codificare l’intimità”.