Carceri e Sicurezza, la radicalizzazione si nutre del silenzio, dell’odio e della disperazione

Più chiuderemo le carceri nel loro mondo isolato e silenzioso, più renderemo la pena capace di sconfortare e di esasperare gli individui, e più potrebbe aumentare in prospettiva il rischio di radicalizzazione.

 

Il proselitismo e l’indottrinamento approfittano del silenzio e dell’isolamento del mondo delle carceri e approfittano delle situazioni di disperazione e di rancore dei ristretti.

Il proselitismo e l’indottrinamento crescono, nutrendosi proprio di una pena che non solo tende a generare disperazione, rendendo vulnerabili le persone, ma che tende anche a creare rancore, inducendo a cercare risposte a tale sentimento.

Allo stesso tempo, il proselitismo e l’indottrinamento crescono in maniera poco disturbata, nutrendosi proprio dell’isolamento e del grande silenzio che avvolgono il mondo delle carceri. Per rispondere in maniera adeguata al fenomeno della radicalizzazione, oltre ad osservare i comportamenti sospetti dei singoli detenuti, è necessario colpire ciò di cui lo stesso fenomeno si serve per svilupparsi.

Senza mettere in discussione la certezza della pena, bisogna, quindi, portare nelle carceri una punizione che tenda alla rieducazione e non a suscitare l’odio e la disperazione. Bisogna portare umanità e speranza nelle carceri, bisogna far splendere nei ristretti i diritti fondamentali dell’uomo, occorre potenziare l’informazione su questo mondo emarginato, occorre facilitare la comunicazione con questo mondo così isolato.”

Lo dichiara in una nota Giuseppe Maria Meloni, portavoce dell’iniziativa denominata Piazza delle Carceri e della Sicurezza del cittadino, e già responsabile del Movimento Clemenza e Dignità.