Capitolo 5: Fuoco sotto. Fuoco sopra

Fuoco sotto. Fuoco sopra. Romanzo culinario d’appendice bisettimanale e d’appendicite cronica di M. Gavio Fano Galt…

 

Capitolo 5.

 

<<A Messina, durante la cena nella tipica trattoria Don Fano, madame Diane e Louis, davanti a una scodella di pescestocco a ghiotta, non finivano di ringraziare Sasà, per essere pronto a mantenere la promessa. Consideravano punto d’onore far tornare il circo nel pieno assetto dei vecchi tempi. Lo stoccafisso cucinato alla messinese, invece, stimolò la gratitudine del giostraio, che ormai faceva parte della comitiva. Fece il bis della pietanza, per stabilire il confronto con quella gustata in precedenza da “Don Pitruzzu”. Furono conseguenti i bicchieri di vino Faro, che sull’etichetta, appiccicata alla bottiglia, recava il disegno del mitico passaggio d’Ulisse, per lo Stretto. >> (La mia Sicilia, Geri Villaroel)

 

Se sogni di essere imbarcato con Ulisse, e stai guardando in faccia Scilla e Cariddi, il respiro si ferma. Lo stato d’animo è in tumulto. Non sai se stai vivendo una avventura con l’esploratore errante straziato tra il desiderio di conoscenza che ti spinge al largo e l’ansia del ritorno che ti indica la terra natia; non sai se stai per essere divorato dai tuoi mostri, dalle tue paure, dai tuoi demoni. Vorresti solo gridare. Non un grido di liberazione ma di rivelazione.

Quando lo Stretto rivela lo stretto indispensabile e sufficiente per passare è troppo tardi per Peloro. Peloro chi era costui?

Peloro, secondo una leggenda, era il nocchiero della nave di Annibale il quale, inseguito dai Romani, ritenendosi ingannato poiché viaggiando verso lo Stretto provenendo da Occidente, non vide alcun passaggio, apparendo “appiccicate”  le coste di Sicilia e Calabria, in preda alla collera, fece uccidere il timoniere. Poco dopo si accorse che il varco della fuga e della libertà esisteva veramente, come aveva assicurato l’esperto e leale pilota. Il condottiero cartaginese per immortalare il fedele Peloro, ingiustamente accusato e ucciso, pentito gli intitolò l’estremo capo dell’Isola, facendo erigere una statua.

Nella città dello Stretto, giunse secoli dopo con la sorella Mariù, Giovanni Pascoli per insegnare Letteratura Latina presso l’Ateneo. Si trovò di fronte alla “bella falce adunca, che taglia nell’azzurro il più bel porto del mondo”, tra “il bel monte Peloro verde di limoni e glauco di fichidindia e l’Aspromonte che, agli occasi, si colora d’inesprimibili tinte”.

Il poeta dopo avere dimorato in via via Legnano, va ad abitare in un appartamento di Palazzo Sturiale in piazza Risorgimento al numero civico 162.

Quella piazza è per tutti nota come piazza Don Fano.

Eligio: “Raniero, sai che vi è stata apposta una targa.”

Raniero: “Si. Ve ne dovrebbero essere altre. La toponomastica cittadina dovrebbe aiutare a rammentare putie du vinu, osterie, locande”.

Eligio: “Sono luoghi della memoria”.

Raniero: “ … e di salvezza … di dissepoltura dalle macerie di terremoti e bombardamenti”.

Eligio: “Rinoscersi ed essere riconosciuti attorno ad un piatto tipico”.

Raniero: “Pensa al pescestocco”.

Eligio: “Infatti”.

Raniero: “Una sorta di ‘livella’ culinaria. Dallo scaricatore di porto, al facchino, alla bagascia, alla battona, alla attrice, all’intellettuale, al previte, all’aristocratico, al giocatore d’azzardo, tutti d’accordo sulla agghiotta”.

Eligio: “Sciroccu, malanova e piscistoccu, a Missina non mancunu mai!

Raniero: “A Messina ci siamo specializzati nell’ammollare il merluzzo essiccato a bastone ai venti freddi delle isole Lofoten– da distinguere dal baccalà, cioè dal merluzzo salato – nettandolo dalle spinee suddiviso dalla roncula. A patti du cozzu, per insalata o arrosto, la parte centrale ‘cca  surra, ‘ppa ghiotta;  a cuda in bianco cchi patate.”

Eligio: “Negli elenchi dei periti commerciali della camera di commercio ed arti, si annotavano prima del 1908 oltre alle moltissime professionianche i periti di stoccopesce e baccalà”.

Raniero: “Davvero?”.

Eligio: “Cristianuni unti nei battisteri e battiati nelle bettole”.

Raniero: “Il commercio con il pescato norgevese divenne florido allorquando si affermò – con il Concilio di Trento – la salutista pratica culturale-religiosa del mangiar di magro di venerdì, nei di’ di vigilia e di quaresima”.

Eligio: “I bastimenti a vela … che meraviglia!”

Raniero: “Porto, paraporto, retroporto … Palazzata e porte”.

Eligio:”La ghiotta di pescestocco è una scossa di energia”.

Raniero: “A cominciare dai “consi” … il sedano, la cipolla, le olive verdi conservate in salamoia (da denocciolare), i capperi”.

Eligio:”Si comincia proprio così… facendo soffriggere i condimenti in abbondante giro di olio evo in una casseruola – possibilmente di alluminio – senza fare scurire la cipolla affettata sottilmente”.

Raniero:” Poi si aggiunge la passata di buttigghi di pomodoro diluita scarsamente con un po’ d’acqua assicurandosi di arrivare al livello occorrente per coprire il pesce. Per quattro persone un chilo a pezzi di sei centimetri circa.”

Eligio: ”Il pescestocco va disposto dalla parte della pelle alla ripresa del bollore del sugo”.

Raniero: “Dopo circa dieci/quindici minuti ricoprire con le patate. Stessa quantità del merluzzo. La scelta delle patate con può essere casuale. Risulteranno coprotagoniste. Indicate quelle a pasta gialla (come le patate di Siracusa), quelle dalla buccia rossa (come le silane). Si prestano anche le patate Bologna.”

Eligio:” Cuocere sino a quando le patate potranno penetrarsi senza resistenza. Salare. Pepare.”.

Raniero: “Segreto … la ‘ghiotta di pescestocco non si gira o mescolamai. La pentola si scuote e basta”.

Eligio: Il pescestocco dovrà risultare tenero e sodo”.

Raniero:” Tenero e sodo … è possibile”.

Eligio: “La ghiotta di pescestocco è prelibata come quella di pescespada.”

Raniero: “Vero. Preferisco, però, il pescespada a ruota e gli involtini di pescespada”.

Eligio: “Non distraiamoci.”

Raniero: “Perché?”

Eligio: “Perché non si può ultimare il capitolo sulla ghiotta di pescestocco senza parlare …”

Raniero: “Mi vuoi dire che il sugo è ottimo per condire le pasta?

Eligio: “ … senza parlare di ventri”.

Raniero:”Vero!”.

Eligio: “I ventri di pescestocco vanno tenuti a dimora in acqua fredda. Poi puliti da cartilagine e da pellicola. Quindi distenderli e lasciarli asciugare. Successivamente vanno riempiti con un impasto di pane grattugiato, formaggio pecorino, prezzemolo tagliuzzato, capperi dissalati e sminuzzati,  olive a pezzetti, olio, sale e pepe. Infine, vanno arrotolati dalla parte più larga e legati infine con del filo per evitare che si aprano durante la rosolatura. I ventri pieni andranno cotti in una un’ampia casseruola, dopo aver versatodell’olio, aggiunta cipolla a fettine e – a doratura – capperi interi dissalati, olive a pezzetti, sedano tagliuzzato,  la salsa di pomodoro, allungata con un poco d’acqua se risulta ristretta.

I ventri chini andranno tirati fuori uno alla volta e liberati dal filo. Andranno consumati subito, serviti con il sugo ancora caldo”.

 

Continua…