Aborto. Questione irrisolvibile, ma laica con cui convivere

Dopo 40 anni che la legge sull’aborto é stata approvata, siamo qui ancora a parlarne. Soprattutto dopo che nei giorni scorsi ci sono stati due fatti significativi che hanno portato alla ribalta il “fronte” di coloro che mal digeriscono l’interruzione di gravidanza disciplinata da una legge: le super restrizioni delle nuove norme nello Stato dello Iowa in Usa e i manifesti anti-aborto fatti affiggere in varie città italiane.

 

Un altro fatto di “ribalta”, sul “fronte” pro-aborto é il prossimo referendum legalizzatore che si terrà in Irlanda, che se dovesse essere affermativo, in Ue resterà solo la Polonia con una legislazione anti-abortista.

 

Una questione di libertà di espressione Mentre per lo Iowa restiamo spettatori facendo il tifo per un ripensamento o sulla capacità di mobilitazione degli americani per impedire il sacrificio di un così importante diritto, per i manifesti italiani rappresentiamo un enorme disappunto per tutte le iniziative censorie che ci sono state, da parte di politici come di istituzioni. Non c’é tanto da discutere: la libertà di espressione vale -e soprattutto- per coloro che la pensano anche in modo opposto al nostro. Chi scrive é pro-aborto e pro-libertà di espressione e di opinione, e non credo di essere un marziano se ribadisco (come il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America) che non ci sono eccezioni. Se qualcuno si sente diffamato da certe espressioni di opinioni, la legge gli consente di chiedere il conforto della giustizia. Altro, però, é la censura preventiva in virtù della presunta bontà assoluta della propria opinione rispetto a quella di un altro.

 

Problema difficile: omicidio e ammasso di cellule Chiarito questo, consapevole di dover giorno per giorno essere presente e attivo per l’affermazione di questo diritto di base, torniamo all’aborto. Problema strettamente connesso e difficile. Nel fronte anti-aborto prevale il fatto che si tratti di un omicidio e che andrebbe bloccato di conseguenza. Siccome non conosco un abortista (e non solo…) che sia favorevole all’omicidio, si capisce che la questione é articolata. Inutile discutere se quello che per me é solo uno zigote, una cellula come tante altre del corpo umano, per un anti-abortista sia invece un essere umano: la discussione non finirebbe mai, come se dovessimo confrontarci sull’esistenza o meno di un dio. Io sono convinto che non esista, altri sono convinti del contrario. I convinti lavorano di fede, io di raziocinio e scienza. E’ evidente che credo di avere ragione io. Ma questo, in virtù di quella libertà di cui sopra, non mi porta ad imporre la mia opinione (notare: io parlo di opinione, mentre gli anti-abortisti parlano di fede), così come non mi porta a dover subire quella di chi la pensa in modo opposto al mio.

Dove si arriva con questa speculazione? Al primato della politica, anche in presenza di qualcosa che qualcuno reputa un omicidio, quindi la peggiore delle azioni di un umano e di un cittadino. La politica, a differenza della fede e della ideologia, serve proprio a questo: trovare un punto di incontro per dare cittadinanza…. a tutti. Siamo stati travolti (e in buona parte non ne siamo ancora venuti fuori) di politiche che, in nome del bene pubblico, hanno cercato di farci digerire quelli che poi sono stati ampiamente riconosciuti obbrobri: non era così il nazismo, il fascismo, il comunismo? Non sono così tutti gli Stati confessionali, ognuno secondo la propria confessione? E’ la caratteristica di ogni forma di dittatura: le privazioni delle libertà individuali ci sono, consapevolmente, ma si decide di farlo in nome del bene di tutti. Stesso bene comune che, invece, le non-dittature preferiscono dover battersi tutti i giorni per affermalo, in un mare di contraddizioni e difficoltà, in un regime “precario” come quello in cui primeggia la libertà dell’individuo.

Noi, Italia ed Europa come parti del cosiddetto Occidente, con tutte le difficoltà e imperfezioni del caso, facciamo parte di questi regimi “precari”. Precari che, nel caso dell’aborto, dobbiamo trovare un punto di incontro su ciò che alcuni ritengono omicidio, altri ammasso di cellule. Un incontro che potrebbe essere foriero di situazioni e leggi molto imbarazzanti. Facciamo un esempio estremo. Se si accetta che l’aborto -che alcuni considerano omicidio- sia legale, perché non dovrebbe essere possibile estendere questo omicidio ad altri contesti, tipo l’omicidio d’onore o quello per apostasia, e altri ancora, non ci sono -del resto- quelli che pensano si tratti di omicidi giusti? Fermiamoci! E facciamo un esempio molto di attualità. C’é un omicidio legale ancora molto in voga (anche nella patria del diritto individuale, alcuni Stati Usa), la pena di morte, che trova adepti in soggetti confessionali e non-confessionali. Per me, non confessionale, inaccettabile, al pari di molti altri confessionali (soprattutto cristiani). E mentre questi ultimi (anche se non tutti) si muovono nella scia della stessa fede anti-omicidio che li spinge ad essere anti-aborto, io mi muovo sulla scia razionale che uno Stato, una comunità non possono mai arrogarsi il diritto di decidere sulla vita e sulla morte di un proprio cittadino, essendo la vita una condizione intima, individuale e non soggetta a nessuna legge se non quella che ognuno si dà quando decide di respirare (con le dovute differenze, i medesimi principi che si evocano quando si parla di privacy).

 

Senza voler eccessivamente approfondire (che a mio avviso servirebbe a poco visto che alla fine si tratta di fede contro raziocinio), voglio dire: come io riesco a convivere con coloro che propugnano la pena di morte, perché un anti-aborto non dovrebbe poter convivere con me? Io lotto tutti i giorni per far sì che la pena di morte sia abolita ovunque, e non mi stupisco se un anti-aborto faccia altrettanto contro l’interruzione volontaria di gravidanza. Omicidio l’aborto, giustizia la pena di morte… Contraddizioni? Non lo so. Ma so che io vorrei convincere i favorevoli alla pena di morte a non continuare ad esser tali, in virtù di un principio di libertà individuale laica, e nel contempo capisco gli anti-aborto che vorrebbero convincermi a non essere favorevole all’interruzione volontaria di gravidanza in virtù di un principio di libertà confessionale.

Cioé, dobbiamo tutti convivere anche con l’omicidio. Se poi facciamo mente locale agli approcci animalisti alla vita, non possiamo escludere da questa convivenza anche coloro che pensano, al di là degli aspetti salutistici, che sia indegno uccidere un animale per cibarsi (e non é una fregola modernista occidentale… si pensi alle vacche sacre in India e alle tante culture vegetariane o vegane tutt’altro che occidentali).

Un atto di civiltà razionale basato sulla riduzione del danno C’è chi potrebbe considerare questa politica di convivenza come una sconfitta. “Accettare l’omicidio? Ma siamo matti?”. Io invece la considero un atto di civiltà, razionale, basato sulla riduzione del danno (ai singoli convincimenti, in questo caso). Credo sia il superamento di tutta una serie di approcci ideologici alla cosa pubblica e alla comunità, che hanno caratterizzato in modo più accentuato gli ultimi due secoli.

 

Terzo e quarto mondo: dove l’aborto é parte di una normalità fatta di vivere poco e male Per finire ed essere consapevoli di chi siamo e come scriviamo e ragioniamo. Siamo andati sul “sottile”, in un mondo che (ancora, purtroppo) di questo “sottile” non sa che farsene, perché, molto più rispetto ai risultati “occidentali” di dove l’aborto é clandestino, la prostrazione confessionale o di fatto all’assenza di aborto, significa morte quotidiana, inciviltà, economia precaria, malattie. Pensiamo anche a loro quando cerchiamo di risolvere il problema della nostra vicina di casa. Sì, lo so, questa mia conclusione é di parte abortista e non-confessionale, ma del resto io non svolgo la funzione di presidente della repubblica ideale che ho cercato di delineare, ma solo quella di un partigiano laico che -sia chiaro- non induce mai all’aborto, ma informa su ciò che si può scegliere, per vivere meglio, forse.

 

 

Vincenzo Donvito, presidente Aduc