Operazione Beta – La zona grigia della borghesia messinese

“Il mio ruolo all’interno dell’organizzazione era quello della gestione delle società, nella parte edile e nel rapporto con le istituzioni”, ha verbalizzato Grasso nell’interrogatorio del 12 dicembre 2017, quando fu formalizzata la sua collaborazione con la DDA di Messina…

 

di Antonio Mazzeo

 

Né bianca né nera ma un’infinita area “grigia” dove convivono, ignorandosi ipocritamente o facendo affari comuni, imprenditori di successo, bancari, commercialisti, avvocati, instancabili factotum e le vecchie e nuove leve della criminalità organizzata. È la Messina di Mezzo descritta e investigata dalla Direzione Distrettuale Antimafia nella monumentale ordinanza di custodia cautelare emessa nel luglio dello scorso anno contro i “presunti” appartenenti alla consorteria mafiosa peloritana, con stretti legami operativi e familiari con il potente e feroce clan Santapaola-Ercolano che domina la Sicilia orientale. Una “famiglia”, quella con a capo Francesco “Ciccio” Romeo e il figlio Vincenzo Romeo, capace di tessere fitte trame con noti professionisti e facoltosi esponenti della borghesia locale. Il prossimo appuntamento di quella che è stata definita Operazione antimafia Beta è previsto per il 7 giugno, giorno in cui il Tribunale di Messina si pronuncerà sulla richiesta di rinvio a giudizio dei 50 imputati, tra cui spiccano, oltre a un gran numero di componenti della famiglia Romeo, alcuni personaggi eccellenti della Messina bene e da bere, uno fra tutti il costruttore Biagio Grasso, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e divenuto collaboratore di giustizia negli scorsi mesi. Le sue dichiarazioni, in buona parte ancora omissate, potrebbero essere determinanti per provare il quadro accusatorio, ma soprattutto potrebbero aprire nuovi scenari d’indagine sulle capacità di penetrazione delle organizzazioni di mafia nel tessuto politico, sociale ed economico della città capoluogo dello Stretto.

Alveari abitativi ad altissimo rischio idrogeologico

“Il mio ruolo all’interno dell’organizzazione era quello della gestione delle società, nella parte edile e nel rapporto con le istituzioni”, ha verbalizzato Grasso nell’interrogatorio del 12 dicembre 2017, quando fu formalizzata la sua collaborazione con la DDA di Messina e avviato il programma di protezione del Ministero dell’Interno. “Io ho conosciuto Vincenzo Romeo grazie ad un rapporto con Ivan Soraci, rapporto iniziato attraverso una operazione immobiliare della Edil Raciti Srl di Santa Margherita avvenuta nel febbraio 2010. In tale operazione il Romeo investì circa 50 mila euro”.

Il costruttore ha poi descritto con dovizia di particolari un secondo programma immobiliare che lo ha visto protagonista insieme al pregiudicato Vincenzo Romeo, e che ha contribuito alla cementificazione di una delle zone a più altro rischio idrogeologico della città di Messina. “Nel Torrente Trapani il costruttore Oscar Cassiano cedette il 50% dell’operazione, per un corrispettivo di 60 mila o 100 mila euro”, ha verbalizzato Grasso. “In questa operazione era presente un secondo prestanome, Fabio Lo Turco, e venne creata la società Solea. Nell’aprile 2010 la Solea acquista, presso il notaio Bruni, il 100% della Se.Gi Srl. In quell’operazione, Cassiano, nel cedermi l’operazione, mi disse che l’imprenditore Pettina doveva riservare una quota del terzo lotto per compensare quanti avevano favorito l’approvazione del piano costruttivo. Non ricordo i nomi di questi pubblici amministratori, ma erano all’interno del Comune di Messina, comunque nel periodo in cui venne varato il programma costruttivo”.

Sempre secondo il collaboratore, gli appartamenti destinati ai pubblici amministratori sarebbero stati ben 14, posti nel terzo lotto del programma insediativo e tutti nella disponibilità dell’impresa Pet Srl della famiglia Pettina, attualmente IBG Srl. “Per motivi di risparmio economico, in quella edificazione sono state realizzate palificazioni in numero inferiore a quello previsto”, ha aggiunto. “Io entro nell’operazione perché Cassiano non aveva più le risorse per portare a termine i lavori. Mi contattò Antonino Giuffrida, detto bluff, avvocato di fiducia dell’ingegnere Cassiano, e mi propose di entrare nell’affare. Soraci, saputo che ero entrato in questa operazione, mi dice di coinvolgere anche il Romeo in questi termini: 25% io, 25% il Soraci e il resto Romeo. In verità i fondi li conferimmo io e Vincenzo Romeo, metà ciascuno. Analoga situazione si verificò con la Carmel Srl”.

Nel corso dell’interrogatorio dell’11 gennaio 2018, Grasso fornisce ulteriori particolari sulla vera natura e i protagonisti più o meno occulti dell’affaire- nella grande collina di sabbia che si erge sul centro città a due passi dallo svincolo autostradale di Boccetta. “Nella vicenda del Torrente Trapani l’avvocato Andrea Lo Castro ha avuto ruoli diversi a seconda delle fasi ed i soggetti interessati”, ha spiegato il collaboratore. “In una prima fase egli era l’avvocato della famiglia Pettina, mentre l’avvocato di Oscar Cassiano era Antonio Giuffrida. Quando io rilevai la Se.Gi. nel 2010, per un breve periodo continuai ad avvalermi della consulenza dell’avvocato Giuffrida; successivamente mi rivolsi anch’io all’avvocato Lo Castro. Dopo poco tempo informai Lo Castro che nell’affare era interessato Vincenzo Romeo, nipote di Nitto Santapaola. Da lì, iniziò quel rapporto di collaborazione, anche a livello societario, che poi si è sviluppato nelle vicende riguardanti la Demoter SpA dell’imprenditore Carlo Borella e altre operazioni. Il Lo Castro si occupò di tutta la parte legale dell’operazione anche relativa allo spostamento di cubatura, sia per conto della Pet della famiglia Pettina, sia per conto della Carmel Srl. Gli accordi tra me, Vincenzo Romeo, lo stesso Lo Castro e Domenico Bertuccelli, intestatario fittizio della Carmel per conto mio e di Romeo, erano quelli di riconoscere al legale un appartamento sito nel corpo D, e vi è anche un preliminare trascritto. In alcuni casi veniva pattuita una ripartizione in parti uguali tra me, Lo Castro e Romeo; in altri casi al Lo Castro veniva riconosciuta una quota diversa e minore a seconda dell’apporto fornito. È capitato anche che il Lo Castro mi richiedesse il rilascio di fatture per operazioni inesistenti ai fini di detrazione fiscale. Intendo precisare che quest’ultimo era l’avvocato del gruppo criminale, nel senso che non vi era un ordinario rapporto cliente-professionista, ma egli metteva a disposizione la sua professionalità per le varie esigenze del gruppo stesso. Era sostanzialmente a disposizione anche con comportamenti spregiudicati, non tirandosi indietro di fronte ad azzardate ed illecite operazioni…”. Sempre secondo Biagio Grasso, tra le attività che l’avvocato Lo Castro avrebbe svolto nell’interesse del gruppo Romeo, vi sarebbe stata anche la “predisposizione, unitamente al notaio Bruni, di quel contratto borderline riguardante la cessione del lotto D del complesso Torrente Trapani alla Carmel”. “Si trattava di un’operazione anomala e potenzialmente in frode ai creditori avendo di fatto questo contratto svuotato il patrimonio della Se.Gi. cedendolo alla Carmel; un meccanismo congegnato da me, dall’avvocato Lo Castro e dal notaio Bruni”, ha specificato il costruttore.

Il 19 settembre 2017, tre mesi prima cioè di entrare nel sistema di protezione dei collaboratori di giustizia, Grasso spiegava chi e come avesse fatto da prestanome dei Romeo nella cementificazione del Torrente Trapani. “Soraci, il punto di contatto fra me e questi soggetti, mi presenta tale Maurizio Romeo”, racconta Grasso. “Lui, Soraci, viene a sapere che sto facendo questa operazione e mi dice: Sai, ci potrebbe essere una persona che ti può aiutare sia a vendere e sia a gestire e mi presenta Maurizio Romeo, che all’epoca io ero totalmente non a conoscenza della sua vera discendenza familiare”. Fu Maurizio Romeo, il fratello di Vincenzo, ad indicare a Grasso un giovane esperto che lo avrebbe potuto supportare nella complessa gestione finanziaria dell’affaire. “Così nel 2010 conobbi attraverso Ivan Soraci tale Fabio Lo Turco”, ha aggiunto il costruttore. “Ho preso informazioni su di lui, veniva da una famiglia per bene, lo zio era stato Presidente, mi pare, del Tribunale; il papà è stato un medico importante; la sorella era giornalista…”.

Vennero così intestate fittiziamente a Lo Turco le società Solea, Brick e Green Life. “Per tale ruolo Fabio Lo Turco percepiva uno stipendio mensile, pari a circa 1.500 euro, corrisposti da me o da Vincenzo Romeo”, ha dichiarato Grasso nell’interrogatorio dell’11 gennaio 2018. “Ricordo che quando Maurizio Romeo e Ivan Soraci vennero da me a Milano per reclamare una parte delle somme da loro investite nell’operazione di Torrente Trapani, io rilasciai circa 30 assegni per un totale di 150 mila euro tratti dal conto intestato alla mia società ITC Srl sul Banco di Credito Cooperativo di Landriano. Io firmai gli assegni in bianco e li consegnai a Maurizio Romeo e Ivan Soraci; loro poi li intestarono a Fabio Lo Turco, il quale a sua volta, li girò a soggetti o società tutte riconducibili a Enzo Romeo, anche perché quest’ultimo era in parte destinatario finale della somma insieme ad Ivan Soraci, al quale verosimilmente saranno andati circa 40.000 euro (…). Lo Turco si impegnò anche a gestire in prima persona il locale che volevamo rilevare, e cioè il Dolce, avendo lui i rapporti con la precedente gestione ed avendo portato l’operazione”. Fabio Lo Turco è attualmente sottoposto al divieto di soggiorno nel Comune di Messina; all’udienza preliminare del 7 giugno del processo “Beta” dovrà rispondere di “aver concorso” con Vincenzo Romeo, Biagio Grasso, Andrea Lo Castro e altri nell’intestazione fittizia dei beni “al fine di eludere le disposizioni in materia patrimoniale, con l’aggravante di avere agito avvalendosi delle condizioni ed al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa Santapaola-Romeo”.

E ci vedevamo tutti all’Irrera bar

Non compare invece né tra i 45 indagati dell’Operazione “Beta” del luglio 2017 né tra i 50 imputati che si dovranno presentare all’udienza preliminare del prossimo 7 giugno, Ivan Soraci, figura sconosciuta alle cronache giudiziarie ma che, secondo Biagio Grasso, avrebbe invece ricoperto un ruolo di trait d’union tra certa borghesia imprenditrice e la criminalità. “Ivan Soraci ha detenuto armi per conto del Romeo presso la propria abitazione”, ha verbalizzato Grasso il 28 dicembre 2017. “Ricordo un episodio in cui il Soraci minacciò con la pistola un tale in occasione di un litigio avvenuto nella zona di Bisconte. Ricordo il particolare perché il Romeo venne raggiunto da una telefonata che lo informò di quanto accaduto, e questi rimproverò Soraci intimandogli di non utilizzare le armi senza la sua esplicita autorizzazione”.

Nel corso del suo primo interrogatorio dopo l’arresto, il 20 luglio 2017, il costruttore aveva fornito importanti elementi sulla figura del Soraci. “Io partirei per ricostruire tutto quanto il meccanismo e inserire delle persone che sono chiave, tra cui un tale Ivan Soraci, che è lievemente toccato da questa vicenda, ma che è importante”, esordì Grasso. “Soraci era dipendente del bar Irrera dove uno dei soci era Giuseppe Denaro, nonché mio socio in un investimento insieme a Giuseppe Puglisi a Villafranca Tirrena, area ex Pirelli. Ecco perché lo conoscevo, perché andavo lì insieme agli altri due soci e quindi lui era il direttore, diciamo, del locale. Eravamo coetanei quindi nacque una simpatia. Circa due anni. Nel 2010 mi dice: Ti voglio presentare una persona che è nell’ambito della compravendita immobiliare. Io mi ero affacciato su Messina perché stavo vedendo quell’altra maledetta operazione che mi ha venduto l’ingegnere Cassiano (…) Quindi Soraci mi presenta Maurizio Romeo che all’epoca lavorava con l’agenzia immobiliare Gabetti di Francesco Mancuso. Dopo di che il Soraci mi incalza dicendo: Dobbiamo fare lavorare sto ragazzo perché lo dobbiamo portare avanti. Mi devi fare la cortesia, se prendi l’operazione lì sopra, dagli gli appartamenti da vendere”.

Sempre Grasso sostiene che Maurizio Romeo operava anche nel settore della ristorazione insieme al “direttore” dell’Irrera bar. “All’epoca Soraci e Romeo erano soci del locale la Botte Gaia”, riporta il costruttore. “In uno di questi incontri, Soraci mi presenta Vincenzo Romeo, dicendo: No, guarda, ti presento il fratello, Vincenzo, che poi, alla fine, è lui il più grande dei fratelli, è quello che gestisce tutte quante le vicende e anche lui avrebbe il piacere se c’è qualche operazione a farla, anche perché ha fatto qualche cosa, mi sembra che avesse detto con Bonaffini, sempre comprando e vendendo appartamenti e poi è uno forte nel campo dei giochi pubblici…

Sarebbe stato sempre Ivan Soraci a svelare a Grasso chi erano in verità i Romeo. “Il Soraci mi disse: Sì, la mamma dei Romeo è la sorella di Nitto Santapaola, ma loro sono persone zenit, pulite, incensurate, ti puoi informare, non hanno omicidi, non fanno estorsioni”, spiega Grasso, “Dopo di che il Soraci sa che ci ho questa partecipazione insieme a Puglisi e insieme a Giuseppe Denaro per un terreno a Villafranca che avevamo vinto all’asta e mi dice: Fai una cosa. C’è il terreno là, lo vendi…; Ok, vendilo, la mia quota vale un milione, perché all’epoca valeva tantissimo quel terreno, è commerciale, metà glielo avevamo venduto a Eurospin e l’altra metà, avendo un’attività commerciale grossa là, aveva preso molto di valore. Dice: Sì, un milione, ora vedo…  Che fa? Va dal suo principale, diciamo dal suo capo, che è Giuseppe Denaro e che all’epoca era il proprietario di Irrera Bar. Va da Denaro e gli dice: Ti devi comprare la quota di Grasso perché Grasso ha debiti con me”.

A questo punto Biagio Grasso riferisce di essere stato raggiunto telefonicamente dall’altro suo socio di Villafranca Tirrena. “Al che a me mi chiama immediatamente Pippo Puglisi, con cui siamo molto amici. Giuseppe Puglisi della Puglisi Costruzioni, lui è stato anche presidente di ANCE Sicilia, insomma, un personaggio importante. Insieme a loro tre, io che ero, diciamo, lo specialista dei capannoni, avevamo fatto questa società e ci siamo aggiudicati questo terreno a Villafranca. Il Soraci lo sapeva perché era il dipendete di Denaro, anche perché gli seguiva cose bancarie, gli seguiva le carte, quindi sapeva tutte le situazioni, e obbliga in maniera, diciamo, pazzesca il Denaro a comprarsi il terreno. Ragion per cui a me mi chiama un giorno Pippo Puglisi e mi dice: Ti devo parlare urgente; gli ho detto: Che c’è?, perché io non credevo che il Soraci riuscisse a trovare la forma di qualcuno che si compra un terzo di una partecipazione con altri due terzi di calibro di due imprenditori grossi. Chi lo fa? A meno che non siano in contatto. Dice: Vedi che mi ha chiamato Giuseppe Denaro perché Soraci gli dice che tu hai dei debiti importanti con lui e quindi ti devi vendere il terreno. Gli ho detto: Pippo ma cu si l’avi a cattari?, dice: No, vedi che lo sta obbligando a comprarselo. Ma se Giuseppe Denaro in quel momento aveva fatto un investimento… Non ha soldi, come fa?, dice: Vedi che lo sta obbligando in maniera pesante e credo che gli abbia fatto il nome, perché io avevo anche i debiti con Santapaola, no?”.

Nel corso del suo interrogatorio, Biagio Grasso ricostruisce la modalità con cui Denaro sarebbe entrato in possesso della sua quota di terreni a Villafranca Tirrena. “Dopo di che il Denaro è costretto ad attivare un mutuo presso la Banca Popolare dell’Emilia Romagna, all’epoca c’era, e penso ancora ora, tale direttore che si chiamava Tanino; è stato obbligato ad attivare un mutuo di 250 mila euro per acquistare la mia quota”, spiega il costruttore. “Chiaramente il Denaro prende due piccioni con una fava, perché riesce a prendere una quota di un terreno che vale almeno il triplo a 250, no? Quindi alla fine, sì, viene estorto, ma fa anche il business. Perché attualmente Denaro lavora con Nino Giordano…”.

“Quindi mi chiamano e mi dicono: L’operazione è chiusa, non ti puoi tirare indietro”, aggiunge Grasso. “Al che interviene anche Vincenzo Romeo, sempre però in maniera super educata, dicendo: Ma noi abbiamo problemi, qua è là… E da lì nasce il rapporto. Gli ho detto io: Guarda, Enzo, ma ti sembra corretto? Dico, con un investimento di X io devo pagare Y, ma mi state facendo estorsione? Mi state facendo usura?. Dice: No, però gli impegni sono questi, c’è Soraci, c’è mio fratello, ormai gli impegni sono questi e vanno mantenuti… (…) Fatto sta che dalla banca di Giuseppe Denaro, attraverso un debito presunto, e là entra in ballo il Lo Turco, poveraccio, è veramente una bravissima persona e si è trovato anche lui incastrato in questa rete di ragni che poi non riesci ad uscire più… Gli chiedono di fargli la cortesia di creare… tipo che avevamo un debito, in modo tale che questi soldi andavano a Lo Turco, perché gli ho detto: Io soldi contanti non ne esco, ve lo potete levare dalla testa, ma perché volevo pure… Ho detto: Domani almeno mi rimangono traccia, infatti è successo così. Quindi si crea questo debito fittizio fra me, la mia società, che all’epoca era amministrata da mio padre, che non sapeva completamente niente, lui, poveraccio, veniva e firmava, e quindi mi beccano altri 250 mila euro, totalmente ingiustificati. Quella cosa all’epoca la seguì Benedetto Panarello, ma per onore del vero, non ha nessuna responsabilità. La società che avevamo con Denaro e Puglisi si chiama ancora oggi P & F Srl”.

Puzzle rompicapo e triangolazioni societarie

In attesa che siano gli inquirenti a verificare l’attendibilità del racconto di Biagio Grasso sull’operazione di Villafranca Tirrena (importante sottolineare comunque che ad allo stato attuale non sono scaturiti procedimenti sulle persone e sui fatti raccontati dal collaboratore), la visura camerale della società citata dal collaboratore ci consente di aggiungere ulteriori tasselli alla vicenda. Costituita il 20 marzo 2004 ma operativa solo dal 10 settembre 2008, la P & F Srl ha come oggetto sociale la compravendita di beni immobili e sede in via Ugo Bassi 52, Messina, la stessa di alcune società nella titolarità dell’amministratore unico Giuseppe Puglisi (GPA Srl – Romarea SAS di Puglisi Giuseppe, Tulip Srl, GMA Srl). Con un capitale sociale di 16.250 euro, la P & F risulta non avere attualmente dipendenti  a carico; i suoi soci sono la GDH Srl di Giuseppe Denaro (55,5%), GPA Srl di Giuseppe Puglisi (33,5%) e la Società Gestioni Immobiliari – So.Gest.Im. Srl, interamente controllata da Antonino Denaro, fratello di Giuseppe (11%). Dalla stessa visura è inoltre possibile sapere che in data 31 ottobre 2011, il presunto “prestanome” del gruppo Grasso-Romeo, Fabio Lo Turco, aveva ceduto alla GDH Srl una quota sociale di P & F pari a 11.500 euro (19.425 euro è il valore della quota dell’immobiliare attualmente in mano a Giuseppe Denaro).

Secondo quanto ricostruito dal Raggruppamento Operativo Speciale (ROS) dell’Arma dei Carabinieri, Lo Turco avrebbe operato per contro di Biagio Grasso anche in altre importanti operazioni di acquisizione e vendita di società edili e immobiliari. “Il 18 febbraio 2010 Fabio Lo Turco ha fondato la società Solea Srl (alla costituzione ha versato l’intero capitale sociale di 15.000 euro), vendendola poi nel novembre del medesimo anno a Biagio Grasso per 15.000 euro, rimanendo però amministratore unico fino al 30 giugno 2011, per essere poi sostituito da Franco Lo Presti, altro prestanome di Biagio Grasso e Vincenzo Romeo”, riportano i ROS nella loro informativa alla DDA di Messina del 7 settembre 2015. “Il 6 luglio 2011, Fabio Lo Turco acquistava dalla Carmel Srl riconducibile a Biagio Grasso, rappresentata da Nicola Biagio Grasso padre di Biagio, l’intera quota del capitale della società P & F Srl di sua proprietà pari a 11.550 euro, per il prezzo di 220.000 (che la parte cedente dichiara essere stata corrisposta dall’acquirente mediante estinzione del credito da esso vantato nei confronti della cedente a seguito di precedente operazione commerciale), e nella cui compagine sociale vi era inserita l’ormai cancellata società LG Costruzioni SpA di Biagio Grasso”. Come abbiamo visto, appena quattro mesi dopo, Fabio Lo Turco ha trasferito quella stessa quota dell’immobiliare alla GDH Srl dell’imprenditore Denaro.

Interessanti omonimie si ripetono nelle tortuose vicende relative ad un’altra società presente nei programmi di lottizzazione e “urbanizzazione” del Torrente Trapani, la Carmel Srl. “Capitale sociale 54.000 euro (deliberato e sottoscritto ma di cui 13.500 versati), la società ha sede legale a Messina in via Monsignor D’Arrigo n. 90 (la stessa sede legale delle società riconducibili a Biagio Grasso, denominate Solea S.r.l. e Se.Gi. S.r.l.)”, aggiunge il ROS dei Carabinieri. “Il 27 febbraio 2009 Giuseppe Puglisi quale amministratore unico della GPA S.r.l. (quota pari a 18.920 euro dell’intero capitale sociale); Simona Ganassi, amministratore unico della Sibi General Construction S.r.l. (quota pari a 17.820 euro); Giuseppe Denaro, amministratore unico della GDH S.r.l. (12.150), Vincenza Gangemi per conto di Antonino Denaro, quale amministratore unico della Società Gestioni Immobiliari S.r.l. (5.940), costituivano la Carmel S.r.l., versando il 25% del capitale sociale pari a 13.500 euro. Il 5 novembre 2009 Simona Ganassi cedeva la propria quota di partecipazioni a Lucia Russo (coniugata con Nicola Biagio Grasso). Lo stesso giorno erano pure Giuseppe Puglisi, Giuseppe Denaro e Antonino Denaro a cedere le proprie quote di partecipazione, complessivamente di 36.180 euro (di cui versati 23.680), per la cifra di 23.680,50. Così da quel giorno Carmel S.r.l. è intesta ai genitori di Biagio Grasso, Nicola Biagio e Lucia Russo che l’hanno acquistata per un prezzo complessivo pari a 28.135,50 euro”. Provando ad esemplificare, nel novembre 2009 sono i fratelli Denaro e l’imprenditore Pippo Puglisi a cedere alla famiglia Grasso le proprie quote di Carmel Srl; mentre due anni più tardi è Fabio Lo Turco a trasferire a Giuseppe Denaro la quota dell’immobiliare P & F Srl acquistata un paio di mesi prima dalla Carmel Srl, del valore di 11.550 euro (ma, come abbiamo visto, pagata 220.000 euro per estinguere un debito).

Non c’è invece traccia in tutte queste operazioni di Ivan Soraci, la “persona importante” indicata da Biagio Grasso, “dipendente-direttore” dell’Irrera bar di proprietà Denaro. Il suo nome compare invece in qualità di amministratore unico, dal 15 febbraio 2007 al 14 settembre 2011, dell’Antica Pasticceria Irrera Srl, sede in via XXVII luglio 40 e capitale sociale di 40.000 euro, società “sorella” dell’Irrera 1910 Srl (quest’ultima controllata quasi per intero dalla GDH di Giuseppe Denaro). Alla guida dell’Antica Pasticceria, Soraci sostituì Vincenza Gangemi, la rappresentante di Antonino Denaro nell’acquisizione di una quota della Carmel Srl; alla cessazione del suo incarico, gli subentrò invece Giuseppe Denaro e, dall’agosto 2015 ad oggi, Daria Denaro, figlia di un terzo fratello Denaro, Filippo. A Daria Denaro risulta intestato il 98% delle quote sociali dell’Antica Pasticceria Irrera; il restante 2% è invece in mano ad Antonina Santisi, assessora comunale ai servizi sociali di Messina, nonché consorte di Giuseppe Denaro.