Ipocrisia, linguaggio proprio della corruzione

di ANDREA FILLORAMO

Bisogna dare atto a Mons. Calogero La Piana del coraggio che ha avuto nell’accettare di presenziare alla conferenza stampa, in cui ha dato le sue motivazioni delle dimissioni da arcivescovo di Messina, Lipari e S. Lucia del Mela. Su tali motivazioni nulla ho da obiettare, anzi… Credo che da parte di tutti deve esserci il rispetto per un uomo che soffre e che aveva il diritto di difendersi di fronte a quello che egli ha definito Il “fiume di fango”. Non posso esimermi però di criticare l’improvviso, irruente e maleducato intervento del Vicario Generale con cui ha vietato ai giornalisti qualunque domanda che, a suo parere, esulasse dall’argomento o che creasse “imbarazzo” all’arcivescovo emerito e ha minacciato querele. Tutti vedendo il vicario che si accostava al microfono credo che attendessero da lui qualcosa di interessante ma non è stato così e non poteva essere diversamente. Il vicario, anche, dopo le dimissioni dell’arcivescovo non ha smesso di indossare la sua “livrea”, anche se è decaduto dal suo ufficio, non ha dimenticato che “un buon cortigiano non deve mai avere un’opinione personale. (…………..). Un buon cortigiano non deve mai avere ragione, non è in nessun modo autorizzato a essere più brillante del suo padrone o di colui che gli dispensa benevolenze, deve tenere ben presente che il Sovrano e più in generale l’uomo che sta al comando non ha mai torto”. Paul Heinrich Dietrich, barone d’Holbach (1723-1789). Non posso neppure rimanere indifferente dinnanzi alla scena che si svolgeva in quella sala del palazzo arcivescovile, dove ho visto preti commossi, “atterriti”, “travolti” dalla commozione. Mi è venuto spontaneo chiedermi se fra questi ci fossero preti che l’arcivescovo ha accusato nella stessa conferenza di avergli inviato o di aver inviato alla Santa Sede lettere anonime. Persone vigliacche e ipocrite. Pensando ad essi e a quanti, come ha detto Mons. La Piana non hanno il coraggio di “mostrare la faccia”, cito uno scritto di Paolo Mantegazza: “Il secolo tartufo”. Egli così scrive: “L’ipocrisia cresce in ragione diretta della civiltà; perché dove regna solo la violenza, essa è inutile. Dove invece la libertà rispetta e lascia vivere tutte quelle forze diverse e opposte che chiamansi interesse dell’individuo e benessere sociale; passioni e leggi; idealità e brutalità, misticismo e animalità; ne risultano mille e centomila transazioni reciproche, che formano quel mirabile equilibrio, quell’ambiente di mutue tolleranze, che è appunto l’ipocrisia”. Badiamo bene a questi termini “mirabile equilibrio” di ipocrisia, “ambiente di mutue tolleranze”, fatto di richieste dette o presunte di non belligeranza, di connivenze, pur di non dire la verità, anche se per vocazione la verità si dovrebbe dire. In ogni casola preoccupazione rimane quella che l’onorabilità e la reputazione, bisogna mantenerle. Nessuno ama sputtanarsi per amore della verità, ma nessuno deve “sputtanare”, negando la verità. “Costruirsi una reputazione è buona cosa, ma affezionarsi al punto di non saperla, all’occorrenza, gettare all’aria è il peccato supremo”. A quei preti “ipocriti”, ai quali sempre mi sono rivolto dalle pagine di questo giornale, che adesso non hanno più il “giocattolo” con cui trastullarsi, e che aspettano di avere fra le mani un altro giocattolo, cioè il successore di La Piana, con cui giocare, occorre dire con Papa Francesco: “L’ipocrisia è il linguaggio proprio della corruzione”. “Che il nostro parlare sia evangelico, fratelli! Poi, questi ipocriti che cominciano con la lusinga, l’adulazione e tutto questo, finiscono, cercando falsi testimoni per accusare chi avevano lusingato. Chiediamo oggi al Signore che il nostro parlare sia il parlare dei semplici, parlare da bambino, parlare da figli di Dio, parlare in verità dall’amore”.

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