Che tipo di vescovo vorresti?

Che tipo di vescovo vorresti? Vorrei tratteggiarne un profilo “ideale”. Prima di tutto che sia scelto dal suo popolo per il suo amore e la sua fede. Questi elementi a mio giudizio sono irrinunciabili; che stia lontano dai grandi e potenti (politici, mondo della finanza, etc…); che sia fratello di coloro che conosce e non politico tattico, né camaleonte a seconda delle necessità, per soddisfare tutti; sia fermo e deciso nel proclamare la giustizia. In una battuta: sia fratello degli uomini, particolarmente dei poveri, testimone del Vangelo. Per te chi rappresenta la speranza? Chi non si accontenta dell’ordine ed è ancora capace di immaginare il disordine. Di concepire il nuovo possibile. Sono in tanti, magari spiriti un po’ assopiti, ma ci sono. A loro dico di non demordere e di continuare a impegnarsi. Per meglio far comprendere le dinamiche della Chiesa di Messina ripubblichiamo qualche puntata precedente per mettere a tacere chi oggi s’indigna e parla di complotti e sciacalli. La verità ci rende liberi, le bugie rappresentano le catene di una comunità.

R.G.

L’evento maturato nella nostra cattedrale il 9 giugno u.s. (il ringraziamento e il saluto di mons. Lillo Gulletta ai fedeli del duomo) ha avuto vasta eco sia sulla stampa locale che tra i frequentatori più o meno assidui della chiesa madre della diocesi.
A quanto magistralmente affermato dalla prof. Caterina Barilaro, chiaro e profondo nei contenuti e nell’eleganza stilistica, vorrei aggiungere un mio piccolo contributo. Lo faccio rifacendomi al titolo di questa riflessione “fra conoscere e comprendere”, premettendo che non ho alcuna intenzione di fare l’esperto in ermeneutica (anche se questa si impone sempre e soprattutto in un fatto simile!), ma con la semplice prospettiva di “comprendere” cosa il fatto provochi in me e come mi pongo di fronte a questo avvenimento.
Prendo le mosse dalla parola magica, citata dalla prof. Barilaro, “Weltanschauung”: alla lettera,“visione o concezione del mondo”. E’ il quadro di orientamento entro cui collocare il modo di vedere le cose.
Da che mondo è mondo questo quadro non è mai neutro…nel caso specifico quando ho saputo – a cose fatte – delle dimissioni (fra l’altro annunciate da tempo) mi sono detto: un altro prete – e non sarà certamente l’ultimo – che pur avendo firmato il “contratto” per nove anni interrompe prima della scadenza il suo mandato.
Come si legge dalla locandina “Grazie e saluti” affissa alla bacheca della cattedrale, mons. Gulletta “ha ritenuto opportuno” anticipare la “conclusione del suo servizio di parroco” (questo è il “conoscere”) con una finalità ben precisa: perché l’Arcivescovo potesse “liberamente riorganizzare enti, ruoli, attività e risorse in Cattedrale secondo i suoi nuovi progetti”. Questo è il “comprendere”, cioè capire il dinamismo di causa ed effetto per cui succede una cosa.
Due passaggi linguistici da sottolineare, quasi una piccolissimaanalisi letteraria che spero risulti convincente. A)“ritenuto opportuno”: alla lettera dovrebbe significare “ritenuto necessario” e ciò perché sono subentrati B) “i suoi nuovi progetti”, dai quali evidentemente il parroco ha scelto signorilmente di prendere le distanze.
Qui mi fermo perché non è dato sapere altro, né fare illazioni o congetture.
Torno quindi alle dinamiche del comprendere i fatti e le persone e mi frullano in testa all’improvviso alcune provocazioni filosofiche (allora interessanti oggi invece molto illuminanti) tenute da un maestro del ragionare, Trento Malatino, del quale proprio nella nostra cattedrale sono stato chiamato a presiedere le esequie, su invito di mons. Gulletta. Come detto in altre circostanze, per me è stato un dono immenso.
Le provocazioni liceali (tali erano già allora e non semplici nozioni!) studiando Bacone, offrono adesso la griglia di comprensione di quanto avviene. Anche nella Chiesa.
Ognuno di noi nei confronti dell’altro ha dei pregiudizi (idolatribus) dovuti all’ambiente socio-culturale-religioso da cui proviene e che traduce (pensando di essere il migliore della classe) in scelte e operazioni, trattando gli altri con molto distacco. I propri simili (anche se stretti collaboratori) somigliano spesso alle palle di biliardo: prima si urtano, spinte dal colpo di stecca e poi finiscono la corsa nella buca. Basta ricordare il ritornello delle parole graffianti di Gaber: “Per fortuna che c’è il Riccardo che da solo gioca al biliardo. Non è di grande compagnia, ma è il più simpatico che vi sia”.
I pregiudizi di cui sopra, però, appartengono alla sfera dell’inconscio (idolaspecus), perché la “caverna” è la mente umana così come si manifesta, con il proprio substrato culturale e pedagogico, con vizi e virtù. E’ pericoloso non prendere coscienza di questi ultimi “idola”, per il semplice fatto che il nostro prossimo diventa bersaglio delle nostre proiezioni incoscienti e, così facendo, diviene vittima sacrificale dei nostri blocchi mentali. La irresponsabilità però raggiunge il culmine allorquando, come per guarnire una bella portata, la contorniamo di vuoto, di parole che non hanno alcun significato perché non trovano riscontro nel mondo reale. Siamo così giunti agli “idola fori”. La piazza, con il “si dice”, prolunga il suo clamore a tal punto da costituirne elemento di giudizio.
Quanti errori si fanno per non aver il coraggio di vedere personalmente come stanno le cose e poi di prendere una decisione senza essere influenzati dal contorno! Grottesco l’essere manovrati…Nel nostro dialetto c’è un’espressione metaforica che descrive plasticamente questo passaggio. Si dice spesso: “Comu u giri giri, fa rumuru di vacanti”. La situazione che si crea è pericolosissima. Una“tabula rasa”, infatti, è comoda preda degli interessi di coloro che pressano ad essere i primi, gli unici e gli ultimi a inciderla…magari di bugie a buon mercato.
A questo punto vi chiederete: stando così le cose, in quale mondo viviamo? Rispondo senza tentennamenti, né arroganza: nel mondo delle sceneggiate (idolatheatri), del virtuale, del fittizio. Finora abbiamo subìto le favole, artificiosamente inventate e abilmente propinate, per far muovere gli altri come automi, i soldatini di piombo di una volta.
Se fin adesso ho descritto la situazione drammatica nella quale ci dimeniamo, è pur vero che non possiamo piangerci addosso solo perché qualcun altro è assalito da fantasmagoriche idee e irragionevoli decisioni.
Mi avvio alla conclusione attingendo ancora da Bacone, il quale a sigillo del suo percorso parla di “experimentum crucis” (“esperienza della croce”) fondandolo sulla “istantia crucis” (“argomento della croce”, con riferimento alle croci poste ai bivi), quella cioè che permette di scegliere la strada giusta al bivio fra due interpretazionifino a quel momento parimenti sostenibili.
Pare che le croci (la maggior parte delle quali invisibili e quindi più atroci) oggi non siano piantate solo ai bivi…In questo contesto l’experimentum lo interpreto come momento di sofferenza, necessario a comprendere quanto accaduto.
Nessun vittimismo, sia ben chiaro! Perché con Israele dobbiamo gridare“Non abbandonarci, Signore Dio nostro“ (Ger 14,9) . E la Parola risponde: “Alzatevi e levate il capo. La vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28).
Se da un lato la mia visione di questa piccola parte di mondo può risultare alquanto problematica e pesante, dall’altro mi aggrappo vieppiù (senza alcun velo di fideismo) alla promessa del Signore:prima o poi vi saranno cieli nuovi e terra nuova.
“La fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono”(Eb 11,1). E’ ormai tempo di svegliarci dal sonno (cfr. Rm 13,11), magari ascoltando il racconto imperniato sulla“bellezza di comprendere”, ognuno secondo il proprio dono, di essere per Sua grazia costruttori del Regno.

Ettore Sentimentale