Sulle orme del Vangelo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce

Gv 3,14-21
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio".

di Ettore Sentimentale

L’odierna pericope di Giovanni presenta uno scorcio del primo incontro fra Gesù e Nicodemo, un capo dei farisei onesto di cui parlerà anche dopo (in 7, 45-51 quando interviene a prendere le difese del Maestro perché i farisei vogliono farlo arrestare e in 19,39-42 allorché aiuta Giuseppe d’Arimatea a depositare il corpo di Gesù nella tomba).
È chiaro che per Gv, Nicodemo rappresenta tutti coloro che con cuore sincero cercano Gesù e vogliono incontrarsi con lui. A conferma di ciò, nel brano in esame, vi è una conclusione fortemente simbolica che descrive la persona di Nicodemo come uno che non vuole vivere nelle tenebre, ma desidera ardentemente “venire alla luce”.
Se avessimo letto dall’inizio del capitolo avremmo visto che Nicodemo compie un “esodo”: viene da Gesù “di notte” (simbolo di coloro che vivono nelle tenebre) per lasciarsi illuminare da lui, luce vera del mondo. Dove brilla questa luce?
Stando al nostro brano, il “luogo” in cui sfolgora la luce è il crocifisso, descritto nei versetti iniziali, nei quali Gv descrive l’innalzamento (non più del serpente) ma del Figlio dell’Uomo, un segno chiarissimo della definitiva liberazione dalla morte.
Tale espressione giovannea è audace e provocatoria insieme: nell’uomo appeso alla croce dobbiamo saper vedere l’amore di Dio che “ha talmente amato il mondo da consegnare il Figlio unigenito”.
Paradossalmente la luce che Nicodemo cerca (e con lui tutti noi) sgorga dal volto del crocifisso: è la parte più “eloquente” del corpo di Gesù a differenza delle braccia distese che non possono più abbracciare, delle mani inchiodate che non possono più accarezzare… Questo volto, per quanto spento e tumefatto, porta i segni della tenerezza verso tutti, particolarmente i peccatori. E sebbene la bocca sia serrata, avvalora che “Dio non ha consegnato il Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
Non ci resta che uscire allo scoperto, fare cioè “la verità”, perché chi agisce così “viene verso la luce”. In altre parole, si tratta di procedere sicuri senza paura e ansia di sbagliare, ma nella piena e totale fiducia perché Dio ci ama infinitamente.