Cuneo, Fossombrone, Trani… le prigioni d’Italia si snodano lungo la strada

In prigione ogni rappresentazione d’essere è violenta e non offre speranza, ma a metà degli anni Settanta le cose rallentano e i detenuti possono tentare un esame di coscienza. È solo la quiete prima della tempesta, ma per la voce narrante qualcosa è cambiato per sempre: e una volta aperti gli occhi davanti alla possibilità di scegliere di nuovo, la sua scelta lo porterà verso il futuro.

Gli anni di galera si cumulano sulle spalle, e mentre l’Italia cambia, anche la società carceraria si movimenta, cresce in una direzione o nell’altra, vede nascere nuove aggregazioni e nuove faide. Si rischia la guerra civile nelle carceri italiane, e fra tutti proprio i due protagonisti “si muovono per tenere la quiete”, e il gruppo di galeotti che si aggrega loro intorno cresce perché è evidente che “operano per fare le cose giuste”. Ma per tenere le cose a posto in carcere, ci vogliono più coltelli e più morti del previsto, e nella microsocietà serpeggia il fantasma della micromafia. “Per evitare repressioni inutili da parte dei secondini ci coa¬lizzammo […] Avevamo creato delle regole dentro le regole”: non si dice sempre della mafia, che sia “uno stato dentro lo Stato”?

Cuneo, Fossombrone, Trani… le prigioni d’Italia si snodano lungo la strada che la vita traccia addosso ai suoi protagonisti, attraverso ripensamenti, dubbi, rimorsi… entrambi presi a ripercorrere la loro vita precedente, ognuno nella sua personale cella: quella di sbarre e due ore d’aria al giorno, e quella di ingenua ottusità davanti all’inutile sistema in cui si crede e si confida, al quale si sacrificano morale e gioventù. Le prigioni diventano Pianosa e l’Asinara, si profila il carcere duro: cambiano i compagni, le abitudini. Un giorno un “lusso” come la tv in cella viene concesso, un giorno viene tolto. Con l’aggravarsi degli anni di piombo, infatti, peggiorano le condizioni di vita interne al carcere; ma sempre, mentre le vendette dei secondini hanno per loro un effetto limitato, i nostri protagonisti decidono sulla vita e sulla morte dei compagni di carcere con uno sguardo, con un comando. Alla fine la galera sarà messa in scacco non dalla mafia e non dalle Br, ma dalla resistenza: né omertà né lotta armata, bensì uomini d’onore, che scelgono una seconda chance.

Ma se gli anni difficili cominciano con l’estensione della pena per il primo degli omicidi portati a compimento in carcere, con i sequestri eccellenti e le morti più note del tempo diventeranno difficili anche i singoli giorni. Nel carcere cresce l’odio per mafiosi e brigatisti, che oramai concorrono agli occhi di secondini e italiani tutti a formare un’unica fascia di criminali da dimenticare, da odiare, da esorcizzare, da punire. Spedizioni punitive nei carceri di massima sicurezza, perquisizione indignitose dei parenti in visita, stop alla corrispondenza con i familiari, isolamento e vendette private e locali: in quest’ottica i nemici siamo noi. Noi “gente libera”.

Chissà quante volte le galere hanno ospitato pensatori che si lambiccavano il cervello sui loro errori e sulla possibilità di rimediare, di scegliere di nuovo, per scegliere diversamente: quanti di loro, nella vita, abbiano capito di trovarsi di fronte a una scelta ogni giorno, e di continuare a scegliere la risposta sbagliata, non lo sappiamo. Parecchi avranno implorato un’altra vita: pochi ne avranno ottenuta una diversa dalla solita, con i soliti errori, le solite meschinità, le solite vendette, il solito destino. La storia ha dimostrato che dimenticare non è la soluzione, e che ricordare – anche ricordare un errore – è l’unico modo di non sprecare una seconda occasione.