SOVRAFFOLLAMENTO E SUICIDI IN CARCERE: LA STRAGE SILENZIOSA

Quella che si consuma anno per anno tra le mura dei nostri penitenziari è una strage silenziosa: secondo l’Associazione Ristretti Orizzonti i suicidi sono stati in media 66,692 negli ultimi dodici anni (a dicembre 2011), cioè più di un terzo di tutti i decessi avvenuti in carcere. Si tratta di un tasso di suicidi più di 20 volte superiore a quello registrato nel resto della popolazione italiana, al quale si deve aggiungere il numero impressionante di tentativi di suicidio e atti di autolesionismo. Il dibattito sullo stato delle nostre carceri e sulle condizioni spesso disumane alle quali sono sottoposti i detenuti, ma anche le difficoltà incontrate da agenti e operatori, ha recentemente visto l’iniziativa di 120 giuristi, guidati da Andrea Pugiotto, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Ferrara, che hanno indirizzato una lettera aperta al Capo dello Stato.
Suicidi e altri “eventi critici”. Tra le scarse fonti di informazione disponibili circa la vita che si svolge all’interno degli istituti di pena italiani, si distingue, tuttavia, un dossier realizzato dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) e significativamente intitolato “eventi critici”. Oltre al numero dei suicidi registrati, all’interno del report si possono leggere le cifre relative agli atti di autolesionismo e agli episodi di tentato suicidio avvenuti nel corso dell’anno tra la popolazione detenuta. L’insieme di questi dati focalizza l’attenzione su come il comportamento autolesionistico, di cui il suicidio rappresenta la più estrema espressione, sia in realtà molto più diffuso rispetto al numero dei casi in cui la morte si realizza concretamente: se consideriamo che soltanto per il 2010, il dossier riporta ben 5.703 episodi di autolesionismo e 1.137 casi di tentato suicidio, i decessi volontari si presentano infatti come un esiguo sottoinsieme dei comportamenti effettivamente messi in campo contro se stessi dai detenuti.
Il tasso più elevato degli episodi di autolesionismo si registra tra la popolazione carceraria straniera (14,84%) e, in particolare, tra quella di sesso maschile (15,35%); tra i detenuti italiani sono invece le donne a presentare un tasso più elevato (11,36%). Anche per quanto riguarda i tentati suicidi, le maggiori frequenze si registrano tra la popolazione italiana femminile (2,41%) e tra quella straniera maschile (2,13%). I detenuti in attesa di giudizio presentano un tasso di suicidi più elevato rispetto ai condannati (0,09% contro 0,07%): un dato che sembra indicare come nella risoluzione individuale a togliersi la vita, l’impatto con il carcere abbia in sé un ruolo determinante, a prescindere dalla durata della pena inflitta. Una conferma indiretta di questo stato di cose si ricava da un focus sui tempi del suicidio carcerario, realizzato sull’arco di tempo compreso tra il 1987 e il 2008: tale studio evidenzia infatti che nel 34% dei casi il suicidio avviene entro il primo mese di reclusione e nel 28% addirittura entro la prima settimana di permanenza in carcere (Il carcere: del suicidio ed altre fughe, 2009). In assoluto è tuttavia tra la popolazione degli ospedali psichiatrici giudiziari che si riscontrano i maggiori tassi di suicidi, tentati suicidi, atti di autolesionismo e persino di decessi per cause naturali, ad indicare una maggiore esposizione dei cosiddetti “internati” al verificarsi di eventi critici. Anche le manifestazioni di protesta messe in campo dai detenuti sono ancora una volta riconducibili ad atteggiamenti di tipo autolesionistico, tra i quali spicca sicuramente il ricorso allo sciopero della fame: nel corso del 2010 si sono contati ben 6.626 episodi di questo tipo messi in campo da singoli detenuti. Le proteste di tipo collettivo sono state 350, per un totale di oltre 56mila detenuti coinvolti. Le forme più utilizzate sono state in questo caso la percussione rumorosa dei cancelli (180 episodi, 36.641 soggetti coinvolti), il rifiuto del vitto e delle terapie (125 episodi, 14.632 soggetti), e l’astensione dalle attività lavorative, trattamentali, ricreative o comunque l’inosservanza delle regole dell’istituto (24 episodi, 3.408 soggetti coinvolti). 21mila detenuti oltre la capienza regolare nelle carceri italiane. Al 31 dicembre del 2011 il Dap rilevava la presenza di 66.897 persone detenute nelle 206 strutture esistenti, la cui capienza regolamentare si fermava a 45.700 posti, facendo così registrare un numero di detenuti in sovrannumero superiore alle 21mila unità. La correlazione tra sovraffollamento e suicidi. All’aumento del numero di detenuti, negli ultimi dodici anni si è generalmente accompagnata anche una crescita degli eventi critici, con picchi in corrispondenza degli anni 2001 e 2009.
Una ricerca mirata, realizzata sempre da Ristretti Orizzonti nel 2010, ha preso in esame i 9 istituti nei quali si erano verificati almeno 2 suicidi nel corso dell’anno, è stato individuato un tasso di sovraffollamento medio pari al 176%, a fronte di una media nazionale del 154%. Analoga situazione si riscontra peraltro anche in relazione al 2011: ben 9 degli 11 istituti coinvolti nel corso dell’anno da almeno 2 eventi, presentano infatti un tasso di sovraffollamento ancora superiore alla media nazionale. Le risorse destinate al carcere. Alla fine dello scorso giugno il Dap ha reso noto che gli incentivi previsti dalla legge 193/2000, per le assunzioni dei detenuti, non sarebbero più stati operativi a causa dell’esaurimento del budget annuale destinato a coprire i benefici fiscali per le imprese e le cooperative attive nel settore. Il dipartimento si è infine impegnato a reperire una copertura finanziaria fino alla fine del 2011, ma per il futuro la prospettive restano molto incerte. Già oggi si nota peraltro una sensibile riduzione del numero di detenuti lavoratori, che alla data dell’ultima rilevazione del Dap (giugno 2011) avevano raggiunto per la prima volta in vent’anni la soglia minima del 20,4% della popolazione carceraria. Vite in carcere: sindrome del burnout, vale a dire dell’operatore “bruciato”. Da gennaio ad oggi 7 agenti di polizia penitenziaria si sono tolti la vita. Negli ultimi dieci anni si sono tolti la vita oltre 100 poliziotti penitenziari. Troppo spesso gli osservatori tendono a trascurare il ruolo e le problematiche connesse agli operatori di giustizia, che popolano, ancor prima di gestire, gli Istituti di pena: un’intera comunità che, per necessità o per scelta, condivide la propria quotidianità con i detenuti: gli oltre 40.000 agenti di custodia.
Il trend di crescita della popolazione carceraria si attesta a circa 700 unità a settimana e le carceri sono ormai sovraffollate. A questo si aggiunge un progressivo depauperamento dell’organico della Polizia penitenziaria, che oggi manifesta punte di carenza superiori al 29%. Secondo la Uil penitenziaria in 10 anni, a fronte di un incremento della popolazione carceraria pari a circa il 51%, si è registrata la contrazione degli operatori penitenziari pari al 9%. Dall’analisi delle ricorrenze dei principali eventi critici appare evidente la correlazione esistente fra questi e la carenza di personale effettivo assegnato al distretto regionale di riferimento.
Una piaga sociale. Il costante peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle carceri italiane impone di affrontare la questione della gestione degli Istituti di pena, più come una piaga sociale che come una inefficienza della Pubblica amministrazione.
La condizione di sovraffollamento delle carceri ha indotto il Governo a dichiarare, il 13 gennaio del 2010, lo “stato di emergenza nazionale” delle carceri italiane, successivamente prorogato fino al 31 dicembre 2011. A fronte di tale emergenza, è stato varato dal Ministero della Giustizia il cosiddetto Piano Carceri . Se, da un lato, le ipotesi istituzionali avanzate per risolvere l’emergenza sembrano abbracciare l’idea di una repentina diminuzione della popolazione carceraria e di un contemporaneo incremento della Polizia penitenziaria, dall’altro, invece, la prospettiva di un miglioramento qualitativo della permanenza in carcere non viene affrontato in maniera sistematica. L’attenzione dovrebbe invece focalizzarsi maggiormente sulle attività necessarie al reinserimento sociale dei detenuti e, parallelamente, ad una formazione più qualificata del personale di sorveglianza.