
«Il governo è fiducioso rispetto al mondo del lavoro, ma qual è il racconto reale?», ha chiesto Martina Gatto nel corso del programma In Dino Veritas su Radio Cusano Campus. A rispondere, Ivana Veronese, Segretaria Confederale UIL, che ha restituito un quadro decisamente diverso da quello governativo.
«Il racconto reale dell’occupazione è che oggi le aziende assumono prevalentemente con contratti a termine, precari, in somministrazione a termine, intermittenti. L’80% dei nuovi contratti attivati sono di questo tipo», ha spiegato Veronese. «E la realtà è anche che le persone fanno fatica a vivere pur lavorando. Perché? Perché lavorano poche ore, spesso part-time. Quel lavoro che ti doveva permettere di vivere, quel lavoro scritto nella Costituzione, lo Stato che rimuove le cause ostative perché tu possa entrare nel mondo lavorativo e realizzarti, nella realtà di oggi non è così. Quindi certo, cresce l’occupazione, ma di quante ore? Di quanti giorni? È occupazione fissa o a termine? È part-time o a tempo pieno? C’è ancora molto da fare».
Sul perché esista uno scollamento così netto tra la narrazione del governo e la realtà quotidiana del lavoro, Veronese è stata chiara: «Credo che quelli che abbiamo sentito oggi siano slogan politici. Anche ieri il Presidente Mattarella ci ha ricordato le difficoltà legate al vivere con il proprio salario. I salari in Italia sono diminuiti, anche per un motivo semplice: anche quando rinnoviamo i contratti – con tutte le difficoltà che questo comporta – aumentano le tasse, le addizionali comunali e regionali, la spesa generale, le bollette… È una rincorsa impossibile. Per questo chiediamo la detassazione degli aumenti contrattuali».
Sul dibattito attorno al salario minimo, Veronese ha ribadito la posizione del sindacato: «La UIL sostiene che serva il salario minimo. Intanto perché spesso vengono applicati contratti che non sono quelli firmati da CGIL, CISL e UIL, ma contratti che lasciano per strada reddito, diritti, ferie, malattie e tutto il resto. Serve fissare una soglia minima che dev’essere quella contrattuale: sotto una certa soglia non si deve andare. Questo ci aiuterebbe ad alzare quei contratti nazionali che facciamo fatica a rinnovare, perché – ad esempio nel terziario – è difficile avere una massa critica. Stiamo cercando di rinnovare il contratto dei meccanici con scioperi importanti: lì ci sono tante fabbriche artigiane ma anche tante fabbriche industriali. Nel terziario dei servizi, invece, è tutto molto polverizzato. È chiaro che anche la nostra forza contrattuale è più debole. Il salario minimo serve anche a noi per non far scendere i contratti sotto una soglia definita».