Spreco di cibo nei supermercati: ecco le principali cause secondo gli esperti

Nell’opinione pubblica è diffusa l’idea che nei supermercati si sprechi moltissimo cibo. Effettivamente, ogni giorno, vengono ritirati dalla vendita molti prodotti che si avvicinano alla scadenza: frutta e verdura ormai non più freschi, pane rimasto invenduto e prodotti da frigo che si avvicinano alla scadenza. Recenti ricerche svolte in Italia dal progetto Reduce – finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – hanno quantificato questo spreco in 18,7 kg per anno, in media, per ogni metro quadro di superficie di vendita.

 

A livello nazionale si tratta di oltre 220.000 tonnellate di cibo buttato nella fase distributiva. Nonostante si tratti di una quantità notevole, va rimarcato che queste cifre sono inferiori di diversi ordini di grandezza rispetto alla quantità di cibo che viene gettata in casa dalle famiglie.

 

A livello europeo, si stima che lo spreco prodotto nella distribuzione ammonti appena al 5% del totale del cibo buttato. Tuttavia, ridurre lo spreco in questa fase della filiera è di primaria importanza, per almeno due motivi. Innanzitutto, perché molti dei prodotti alimentari smaltiti nei supermercati sono ancora perfettamente consumabili quando vengono tolti dagli scaffali. Secondo, perché le politiche commerciali adottate dai distributori hanno un grande effetto sul comportamento dei consumatori e delle aziende del settore alimentare. In altri termini, se la distribuzione attuasse strategie strutturali per limitare lo spreco, queste potrebbero essere in grado di influenzare nello stesso senso anche gli attori a monte e a valle della filiera. Un aspetto chiave delle ricerche sugli sprechi nella distribuzione è, quindi, capire le cause del fenomeno, per poter agire al meglio contro la generazione degli sprechi. Gli studi già svolti su questo tema si sono basati più che altro sui dati registrati dai supermercati stessi come “svalorizzazioni”, cioè prodotti che vengono tolti dalla vendita perché rimasti invenduti. Si tratta per lo più di dati secondari, acquisiti senza un confronto diretto con chi ogni giorno gestisce gli scaffali dei punti vendita.

Nel corso del progetto Reduce – che ha coinvolto 16 supermercati e ipermercati italiani – all’acquisizione di questi dati si è affiancata anche una intensa attività di indagine sulla percezione del fenomeno dello spreco alimentare da parte di chi, nei negozi, lavora ogni giorno. 67 addetti, responsabili dei reparti più colpiti dal fenomeno dello spreco, sono stati coinvolti in sessioni di discussione partecipata sulle cause dello spreco nei supermercati. I partecipanti, dopo essere stati divisi in gruppi di massimo 10 persone, sono stati invitati a scrivere su dei post-it quali sono, secondo loro, le cause per le quali i prodotti alimentari vengono gettati. Proprio da questi bigliettini, posizionati su un cartellone, è partita la discussione guidata da un facilitatore. Ognuna delle cause indicate è stata approfondita, invitando i partecipanti a proporre le proprie riflessioni e giungendo, nel corso della discussione, ad associare cause diverse in macro-argomenti. La figura riporta i vocaboli maggiormente ricorrenti nei bigliettini scritti dai partecipanti, i quali permettono di identificare le cause più rilevanti degli sprechi alimentari nella distribuzione. Come era prevedibile, diversi temi sono riconducibili alle cause dello spreco già identificate dagli studi scientifici svolti tramite elaborazione di dati secondari.

Prima tra tutti, la gestione degli ordinativi, che comporta l’oggettiva difficoltà di prevedere quanta merce sarà necessaria per tenere pieni gli scaffali del punto vendita; proprio la tendenza a fare ordinativi a lunga scadenza, magari cautelandosi per evitare di rimanere a corto di qualche referenza, fa sì che si verifichi un surplus di prodotti, che rimangono poi invenduti. Questo problema è particolarmente sentito nel caso degli ordinativi per le offerte promozionali, per i quali il successo o meno della promozione determina la quantità di prodotto rimanente. La questione degli ordinativi si lega molto da vicino con la gestione delle scadenze; se da un lato viene rimarcata la necessità che gli addetti prestino la massima attenzione alla rotazione dei prodotti – proponendo in vendita prima quelli con scadenza più ravvicinata – dall’altro lato, è evidente, che il consumatore cerca sempre il prodotto più fresco e “sceglie” di conseguenza sullo scaffale quello con una shelf-life più lunga.

Dalla discussione sono, però, emersi anche temi meno esplorati dalla letteratura. Ad esempio, è stata a lungo dibattuta la questione delle scelte manageriali in termini di assortimento. La scelta di avere un assortimento molto ampio di prodotti simili è considerata da molti capireparto una importante causa di spreco, per quanto giustificata dal fatto che, in termini economici, il valore dei prodotti gettati è minimo rispetto al fatturato dei punti vendita. Anche la clientela, secondo i capireparto, fa la sua parte nel processo di generazione dello spreco, principalmente toccando in modo improprio i prodotti freschi, rovinando le confezioni di quelli impacchettati e abbandonando prodotti da frigo tra gli scaffali. Su questo punto, va rimarcato come le quantità di prodotti gettati a causa di questi comportamenti non siano particolarmente rilevanti, tuttavia si tratta di una causa di spreco piuttosto odiosa per gli addetti ai lavori, che la segnalano soprattutto nei punti vendita più grandi, dove c’è minor controllo nei reparti da parte del personale. In generale, dalla discussione, emerge come la rimanenza di una certa quota di prodotti invenduti sia quasi “fisiologica” per la modalità di commercializzazione tipica della grande distribuzione. Tale quota va senz’altro ridotta al minimo, magari utilizzando le nuove tecnologie per supportare i capireparto nell’elaborazione di ordinativi sempre più calibrati rispetto alle reali necessità di vendita. Un margine di prevenzione più ampio sembra esserci per lo spreco “patologico”, che dipende da precise scelte manageriali o dal comportamento dei consumatori e degli addetti ai lavori. In questo caso, la sensibilizzazione sembra la strada più promettente da percorrere per aumentare l’attenzione di chi manipola i prodotti in vendita e per aggiungere la minimizzazione degli sprechi tra i fattori decisionali del management. La ricchezza delle considerazioni emerse nel corso delle sessioni di discussione partecipata con i capireparto, mette anche in luce come, per studiare il fenomeno dello spreco, le tecniche di ricerca qualitative possano offrire spunti molto interessanti per integrare le informazioni raccolte tramite i dati quantitativi.

 

CLARA CICATIELLO – leurispes.it