SCUOLA: Il tempo pieno al Sud non s’ha da fare

L’obiettivo impossibile dal realizzarsi, almeno alle condizioni attuali. Soprattutto nella regione siciliana, dove fare più ore di lezione servirebbe non poco, visto che ben 85 alunni della primaria su 100 escono oggi da scuola all’ora di pranzo e continuano ad esserci alcune province – come Caltanissetta – dove oltre il 40% lascia i banchi di scuola prima dei 16 anni: un tasso altissimo di abbandono precoce degli studi, quasi sempre per andare ad aggiungersi ai Neet, che in altre aree si sta vincendo proprio aumentando la permanenza a scuola degli alunni, a partire da quelli più esposti e deboli, sempre attratti dalle scorciatoie della strada.

 

Chi si illudeva che per introdurre più ore di tempo scuola nel primo ciclo bastasse assegnare più docenti è servito: delle già poche 246 cattedre di tempo pieno nelle scuole primarie della Sicilia, assegnate dal Governo con la Legge di Bilancio 2019 proprio per favorire il tempo pieno, ben 96 (il 39%) “verranno restituite al Miur, perché – spiega La Repubblica – le richieste pervenute alle scuole siciliane durante le iscrizioni che si sono chiuse lo scorso mese di gennaio non consentono di istituire altre classi a tempo pieno”. 

La regione italiana con meno tempo pieno alla primaria è costretta a restituire al mittente quasi metà delle cattedre assegnate dal ministero per potenziare le lezioni pomeridiane. In Sicilia mancano gli spazi e le mense che permettono al tempo pieno di decollare. E pare che neppure le famiglie abbiano troppa voglia di lasciare a scuola i propri figli fino alle quattro del pomeriggio. 

“I posti non assegnati in Sicilia, a questo punto, prenderanno la strada delle regioni centrali e settentrionali che potranno utilizzarli. Dalle nostre parti, mancano i locali da adibire a mensa che consentono di prolungare la permanenza a scuola dei bambini delle elementari. E sembra che anche da parte dei genitori il servizio non sia richiestissimo. Nelle altre realtà italiane si viaggia su tassi completamente diversi: in Lombardia, il tempo pieno copre il 50% delle classi funzionanti, in Piemonte il 48% e nel Lazio si sfiora il 53%”, conclude il quotidiano. 

È chiaro, commenta Anief, che stando così le cose il gap sul tempo pieno tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud non potrà che acuirsi: “Per avviare la permanenza delle classi in una scuola – spiega il suo presidente nazionale, Marcello Pacifico – occorrono delle strutture e cucine a norma, dei finanziamenti importanti per adeguare le strutture che non lo sono, delle somme rilevanti da assegnare con stabilità agli enti locali e altro ancora. Purtroppo, tutto questo nelle regioni del Sud non è riscontrabile. Noi lo abbiamo sempre detto e adesso si realizzano le conseguenze di un progetto ispirato da obiettivi nobili ma organizzato, in determinate aree del Paese, su una base fragile”. 

È significativo che in tutta la Sicilia, ma vale anche per la Sardegna, oltre il 35% dei giovani non arrivi al diploma di maturità. “Il nostro no categorico alla regionalizzazione, anche questa espressa in tempi non sospetti, deriva anche dal fondato timore – continua il sindacalista – di vedere rafforzata la differenza tra le regioni più ricche e quelle meno fortunate. Dovendosela cavare in proprio, le regioni con meno strutture, risorse e finanziamenti non potranno che ridurre la portata dei servizi di loro pertinenza. Servizi che, con l’eventuale autonomia differenziata approvata in Parlamento, riguarderanno anche l’istruzione e la sanità pubblica. Con il rischio fondato di assistere all’esodo di tanti giovani e di molti cittadini che, per formarsi e curarsi meglio, si sentiranno costretti a spostarsi nelle realtà che offrono maggiori garanzie in merito”. 

“Non crediamo invece – dice ancora il leader dell’Anief – all’interpretazione di chi sostiene che la restituzione delle cattedre di tempo pieno, da parte delle amministrazioni scolastiche delle regioni meridionali, sia dovuta alla mancanza di richiesta del servizio da parte delle famiglie. In presenza di un servizio efficiente, formativo e bene organizzato, che può contare su strutture a norma e adeguate, i genitori non avrebbero dubbi a confermare la permanenza dei figli a scuola fino a metà pomeriggio. Ma in mancanza di tutto questo, e le famiglie sanno bene come stanno le cose, è normale che prevalga lo scetticismo e che il bambino rimanga a casa”, conclude Marcello Pacifico.