SCUOLA, Corte dei Conti: personale malpagato, invecchiato e operante in contesti difficili

L’ufficio studi Anief ha calcolato che gli aumenti dell’ultimo triennio dovevano avere tutt’altra portata, mediamente del triplo rispetto a quelli accordati: a fronte dello 0,36% per il 2016, l’1,09% dell’anno scorso e del 3,48% del 2018, gli incrementi da applicare dovevano essere rispettivamente del 4,26%, del 4,66% e del 5,51%. Con la conseguenza che i valori dei compensi di docenti e Ata risultano sotto il 50% del tasso IPCA.

La Corte dei Conti scopre l’acqua calda e dichiara, nero su bianco, che il personale della scuola è malpagato, invecchiato e operante in un ambiente lavorativo ad alta difficoltà.

Quello che il sindacato sostiene da sempre, a proposito delle condizioni indegne, per un Paese moderno, nelle quali operano in Italia gli insegnanti, gli amministrativi, i tecnici e i collaboratori scolastici, lo ha sottolineato oggi la procura generale della Corte dei Conti, la quale nella requisitoria sul giudizio del contesto dell’istruzione ha detto che “non può non essere dato rilievo ad una diffusa disaffezione del personale scolastico che, pur nella assoluta maggioranza, portatore di professionalità non secondarie, è costretto a operare in contesti difficili e senza il riconoscimento stipendiale che sarebbe appropriato rispetto ai livelli di qualità del servizio”.

 

Parlando poi dell’innalzamento eccessivo dei requisiti per accedere alla pensione e lasciare il lavoro, lo stesso organo di vigilanza in materia fiscale sulle entrate e spese pubbliche all’interno del bilancio dello Stato ha detto che “il forte invecchiamento del pubblico impiego sta producendo effetti negativi sulla propensione all’innovazione e al cambiamento”. Secondo la rivista specializzata Orizzonte Scuola, quelle espresse dalla Corte di Conti sono “indicazioni preziose” perché “fanno da monito al nuovo Governo che inizia i primi passi del suo lavoro riformatore”.

 

La domanda da porre ai governanti sono diverse. Hanno compreso che qualsiasi vera riforma nella scuola non può prescindere dal superare il problema degli scarsi compensi del personale ai quali sono stati assegnati aumenti irrisori e arretrati ancora più ridicoli dopo un blocco decennale? Hanno capito che la riforma Fornero ha introdotto un eccessivo carico di contributi richiesti per andare in pensione e che c’è l’estrema necessità di introdurre quota 100 senza vincoli? Si sono resi conto del mancato riconoscimento della professione tra quelle usuranti, perché i lavoratori che vi operano sono più esposti e malattie professionali? Sono coscienti del mancato turn over nella scuola e di almeno 80mila posti in organico di fatto da spostare su quello di diritto, concausa della mancata stabilizzazione di 140mila docenti e Ata precari, denunciata la scorsa settimana a Bruxelles, davanti al Parlamento europeo dal presidente nazionale Anief Marcello Pacifico?

 

“Le questioni messe in risalto oggi dalla Corte dei Conti – dichiara lo stesso Pacifico – devono essere da monito per i nostri governanti, perché partono da un organismo super partes che opera per lo Stato. La mancanza di cambiamento, registrata dalla Corte, è significativa di come il sistema organizzativo della scuola risulti purtroppo bloccato, tendente al trascinarsi piuttosto che all’innovazione. Costringere centinaia di migliaia di docenti e Ata a rimanere in servizio loro malgrado, dopo decenni di lavoro svolto a stretto contatto con gli alunni, rappresenta una scelta che alla lunga costerà molto cara al sistema Paese”.

 

“Parlare poi di valorizzazione del personale scolastico – continua il sindacalista autonomo – e dopo stipendiarlo peggio di tutti gli altri che operano nel comparto pubblico, per non parlare del privato, rappresenta dunque l’apice dell’incongruenza. Basta fare una semplice analisi degli aumenti percepiti a seguito dell’approvazione del contratto 2016/18, sottoscritto definitivamente il 20 aprile scorso: agli arretrati di poche centinaia di euro si sono aggiunti incrementi mensili, corrisposti in questi giorni, che vanno dai 56 ai 95 euro lordi. Sono cifre che parlano da sole e confermano come la professionalità dei lavoratori del settore sia sempre più mortificata”.

 

Sulla inconsistenza degli aumenti, l’Aran ha calcolato, prendendo in esame le principali fonti statistiche nazionali disponibili (Ragioneria generale dello Stato e Conto annuale, Istat), che la perdita progressiva di valore dei dipendenti pubblici, rispetto all’inflazione, equivale all’8,1%. Questo significa che avendo recuperato, con questo contratto, solo poco più del 3%, l’inflazione continua a sovrastare gli stipendi dei dipendenti del comparto Scuola di circa il 5%.

 

L’ufficio studi Anief ha calcolato che gli aumenti dell’ultimo triennio dovevano avere tutt’altra portata, mediamente del triplo rispetto a quelli accordati: a fronte dello 0,36% per il 2016, l’1,09% dell’anno scorso e del 3,48% del 2018, gli incrementi da applicare dovevano essere rispettivamente del 4,26%, del 4,66% e del 5,51%. Con la conseguenza che i valori dei compensi di docenti e Ata risultano sotto il 50% del tasso IPCA non aggiornato dal settembre 2015.

 

A questo proposito, non convince nemmeno l’accordo Confindustria-sindacati sui nuovi contratti, sottoscritto lo scorso febbraio, che “assegna al contratto collettivo nazionale di categoria anche l’individuazione del trattamento economico complessivo (Tec) e il trattamento economico minimo (Tem) ed evidenzierà in modo chiaro la durata e la causa di tali trattamenti retributivi e il livello di contrattazione a cui vengono affidati dovendosi, comunque, escludere, per i medesimi trattamenti, effetti economici ‘in sommatoria’ fra il primo e il secondo livello di contrattazione collettiva”.

 

“Rimane pertanto necessario chiedere giustizia nelle sedi giudiziarie – conclude Pacifico -: Anief, attraverso i propri legali, punta infatti a recuperare almeno il 50% del tasso IPCA. Producendo anche migliaia di euro per i mancati arretrati. Senza dimenticare che con la fine del corrente anno solare verranno meno anche i finanziamenti della perequazione, ovvero la tutela introdotta dall’ultimo Governo per gli stipendi più bassi, per i quali non si è stati in grado di trovare le risorse utili ad arrivare a quel 3,48% di incremento a regime invece garantito alle buste paga più elevate”.