
La sepsi si determina quando la risposta immunitaria dell’organismo a un’infezione è tale da danneggiare organi e tessuti, portando a shock e insufficienza multiorgano, fino anche al decesso.
Ogni anno si verificano nel mondo oltre 45 milioni di casi di sepsi, determinando almeno 11 milioni di decessi. La sepsi è non soltanto la principale causa di decesso in ospedale, ma anche la principale causa di costi per i servizi sanitari.
Il 13 settembre ricorre il World Sepsis Day, che ha l’obiettivo di aumentare la conoscenza e la consapevolezza, sia negli operatori sanitari, che nell’opinione pubblica, del grave rischio rappresentato dalle sepsi e promuovere e incrementare la corretta adesione alle misure di prevenzione e controllo delle infezioni, per garantire una progressiva riduzione dei casi e degli esiti ad essi correlati.
“I neonati, e in particolare quelli prematuri, di peso molto basso alla nascita e ricoverati in Terapia Intensiva Neonatale (TIN), rappresentano la categoria di pazienti più vulnerabili e più esposti alle infezioni”, afferma il Prof. Massimo Agosti, Presidente della Società Italiana di Neonatologia (SIN). “Dobbiamo investire nella prevenzione, nella continua formazione degli operatori sanitari, ma anche nell’informazione ai genitori, individuando tempestivamente i casi, per interventi precoci che ne riducano la gravità e la diffusione”.
I neonati sono particolarmente suscettibili alle infezioni a causa della non completa maturazione del sistema immunitario che li rende meno capaci di difendersi dagli agenti patogeni e di circoscrivere l’infezione stessa, che può, quindi, rapidamente diventare generalizzata. I primi 30 giorni presentano il rischio più elevato di sviluppare una sepsi nell’arco della vita. Il rischio è tanto maggiore quanto più il neonato nasce prematuramente e tanto minore è il suo peso alla nascita. Pur in assenza di dati globali sull’incidenza della sepsi neonatale nel mondo e sulla mortalità ad essa correlata, si stima che ogni anno si verifichino circa 5 milioni di casi di sepsi neonatale, che determinano circa 800.000 decessi.
I microrganismi responsabili di sepsi possono essere trasmessi al neonato dalla madre nel periodo perinatale (sepsi ad esordio precoce nelle prime 72 ore di vita) o essere acquisiti successivamente durante la degenza in ospedale (sepsi ad esordio tardivo oltre le prime 72 ore di vita). Infatti, il ricovero in Terapia Intensiva Neonatale e le procedure invasive, pur rendendosi necessari per garantire l’assistenza e la sopravvivenza dei neonati più vulnerabili, incrementano ulteriormente il rischio di sviluppare una sepsi.
Nonostante i notevoli progressi delle cure perinatali e neonatali, la sepsi interessa globalmente oltre il 2% dei nati, con una mortalità variabile tra il 10 e il 20%, per cui rappresenta una delle principali cause di morte neonatale anche nei paesi con maggiori risorse. La prevalenza della sepsi aumenta notevolmente nei neonati prematuri e di peso molto basso (fino al 20 % nei neonati VLBW con peso alla nascita inferiore a 1500 g), così come la mortalità e gli altri esiti determinati dalla sepsi (fino oltre il 35% nei neonati VLBW con peso alla nascita inferiore a 1500 g).
“I segni clinici sono inizialmente aspecifici e non facili da identificare, per poi evolvere molto rapidamente e drammaticamente, spesso non consentendo l’avvio tempestivo di un trattamento efficace”, continua il Presidente Agosti. “Un’ulteriore minaccia è rappresentata dalla crescente emergenza di microrganismi resistenti alle principali classi di antimicrobici disponibili, contro i quali talvolta non abbiamo strumenti terapeutici efficaci. La sperimentazione di nuove molecole antimicrobiche è lunga e costosa, e ancor di più la loro validazione per l’uso in epoca neonatale”.
Lo strumento più efficace è, quindi, la rigorosa applicazione di misure di prevenzione e controllo delle infezioni, attraverso una molteplicità di interventi coordinati, dal lavaggio delle mani alle altre misure igieniche, specie in corso di procedure invasive, dall’accurato monitoraggio clinico dei neonati alle moderne metodiche molecolari di diagnosi rapida, dalla sorveglianza microbiologica dei reparti di neonatologia al corretto utilizzo degli antibiotici (stewardship antimicrobica), alla gestione dei posti letto e del personale sanitario, mantenendo sempre un corretto rapporto infermieri/pazienti, garanzia di qualità e sicurezza delle cure erogate.
“La formazione di tutti gli operatori sanitari che partecipano nell’assistenza ai neonati critici e il loro coinvolgimento attivo nei programmi di prevenzione e controllo delle infezioni è un presupposto essenziale per garantirne l’efficacia e ridurre la prevalenza della sepsi e della mortalità neonatale ad essa correlata”, conclude il Prof. Mario Giuffrè, Segretario del Gruppo di Studio di Infettivologia neonatale della SIN. “Anche il coinvolgimento dei genitori è essenziale nel ridurre il rischio di sepsi: l’adesione allo screening materno durante la gravidanza è molto efficace nel ridurre il rischio di sepsi ad esordio precoce e l’allattamento al seno materno fornisce immunità passiva contro molti patogeni e potenzia le difese del neonato, riducendo il rischio di sepsi ad esordio tardivo, anche nel neonato pretermine”.