Ricerca contro politica: ecco come i più importanti istituti di ricerca, Università e centri studi ‘abbattono’ il muro proibizionistico della politica verso il gioco legale

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Il gioco continua ad essere visto come un demone pericoloso dalla gran parte della politica che condiziona anche una buona fetta dell’opinione pubblica. Ma gli studi delle maggiori università e dei centri di ricerca indipendenti indicano una realtà opposta da quella indicata dalle fazioni politiche che tendono a porre dei limiti proibizionistici al gioco legale. Ecco una sintesi delle ricerche che dimostrano come l’approccio della politica al settore sia sbagliato e in alcuni casi totalmente ideologico.

L’Eurispes, Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali fondato e presieduto da Gian Maria Fara fondato nel 1982 e iscritto dal 1986 all’Anagrafe Nazionale degli enti di ricerca del MIUR, ha svolto numerose ricerche sul tema del gioco e gli strumenti che la politica ha adottato con l’obiettivo di combattere la ludopatia.

“Eurispes ritiene che il distanziometro dal punto di vista socio-sanitario è uno strumento inefficace e controproducente, visto che il giocatore problematico e patologico trae vantaggio dall’allontanarsi nel momento del gioco compulsivo, come affermato anche dall’ISS. Sull’illegalità è evidente che comprimendo l’offerta legale si allarga lo spazio per il gioco illegale, cosa dimostrata dai dati che le forze dell’ordine e magistratura hanno riscontrato in questi anni. In Piemonte con l’entrata in vigore della legge regionale sono aumentati a dismisura i totem illegali. Anche nel Lazio il gioco illegale è aumentato in maniera evidente durante pandemia e il fenomeno si manifesterà ancor di più con l’entrata in vigore della legge sul gioco”.

Nell’ambito di una ricerca riguardante il settore del gioco in Sardegna, l’Eurispes ha affermato che “l’obiettivo di limitare il gioco patologico e problematico mediante una compressione dell’offerta attraverso strumenti come il “distanziometro” risulta sostanzialmente mancato, in quanto rimane stabile il “gioco fisico” e si mostra in aumento l’online; tali strumenti appaiono funzionali all’esercizio del gioco patologico, come segnalato dall’ISS; risultano evidenti i segnali di crescita del gioco illegale, anche in rapporto alla compressione di quello pubblico, ed in particolare nel settore delle scommesse e dell’online; le indeterminatezze del quadro normativo e regolamentare e la disomogeneità che si riscontra tra gli indirizzi dello Stato centrale e quelli delle Autonomie locali, generano insicurezza per le imprese che legittimamente gestiscono il gioco pubblico in concessione dallo Stato; anche per la Sardegna i “numeri” dell’occupazione nella filiera del gioco pubblico si confermano assai rilevanti, per questo dovrebbero essere adeguatamente considerati quando si determinano specifici interventi e più generali visioni di riforma del settore”.

“L’Eurispes ha più volte ribadito che la galassia del gioco pubblico necessita di quel complessivo riordino da anni coralmente invocato, ma mai realmente avviato. L’Istituto dunque si esprime a favore di un’opera di riordino complessiva del quadro normativo che sfoci in un Testo Unico in grado di dare certezze alle imprese del settore e, al contempo, tutele agli utenti rispetto ad un’offerta pubblica qualificata e controllata in tutti gli aspetti”.
In una ricerca sul comparto del gioco nel Lazio, l’Eurispes ha dichiarato che “gli strumenti cardine delle legislazioni regionali (distanziometro e compressione degli orari di offerta del gioco pubblico) laddove applicati – nel caso del Lazio al momento relativamente agli orari ‒ non modificano sostanzialmente i complessivi volumi di gioco, in quanto danno vita ad una trasmigrazione tra le diverse tipologie dell’offerta, a vantaggio soprattutto dell’online; il distanziometro sconta una sostanziale inapplicabilità, in quanto rispetto alla distribuzione territoriale ad oggi in essere, esso comporta (o comporterebbe) la quasi totale espulsione dell’offerta legale, con percentuali residue di insediabilità comprese tra il 5% e lo 0,7%, come attestato da mappature e studi tecnici che l’Istituto ha realizzato; l’offerta socio-sanitaria dei Dipartimenti delle Dipendenze Patologiche delle Asl risulta assolutamente insufficiente sia per ciò che concerne i target di giocatori patologici raggiunti e presi in carico, sia per la genericità e aspecificità dei protocolli utilizzati, che risentono delle più tradizionali competenze dei SerT (droghe, alcol); la compressione dell’offerta pubblica di gioco sfocia in una intensificazione dell’intervento della delinquenza comune e della criminalità organizzata a conferma che l’area del gioco si presta con grande facilità a scorribande dell’illegalità”.

Anche il presidente dell’Istituto, Gian Maria Fara, si è espresso chiaramente sul tema sostenendo che “l’ideale sarebbe mettere mano a una riforma seria del settore. Noi italiani siamo afflitti da una doppia articolazione della morale: da una parte condanniamo il gioco, ma dall’altra non vogliamo rinunciare ai 10 miliardi di euro che entrano nelle casse erariali. Bisogna prendere atto che il gioco è una componente strutturale del vivere associato, va regolamentato nel migliore dei modi cercando di sfuggire alla demagogia. Quanto fatto in questi ultimi anni dalle Regioni, che hanno avuto un impatto proibizionista sul gioco, è fuori da ogni logica e razionalità. E’ un meccanismo che non funziona e che non produce gli effetti sperati. La demonizzazione del gioco – ha detto ancora Fara – non porta bene a nessuno, serve uscire da questa logica e considerare che il gioco produce risorse importanti per il Paese. Credo debba esserci una regolamentazione nazionale unica in materia, non regionale o locale, con regole chiare e precise. In altre parole, serve regolamentare il gioco con razionalità e buon senso”.

Anche il Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, ha svolto numerose ricerche riguardanti lo stato dell’arte del settore del gioco legale. Il Censis è un istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964. A partire dal 1973 è diventato una Fondazione riconosciuta con Dpr n. 712 dell’11 ottobre 1973.

“È evidente che qualsiasi logica proibizionistica rispetto a un comportamento tipicamente umano come quello del gioco produce la conseguenza di relegarlo nella sfera del divieto, del sommerso e, quindi, dell’illegalità. Al contrario, occorre concretamente riconoscere che, se socialmente organizzato, il gioco pubblico riesce a evitare che una parte dei giocatori cada nella trappola dell’illegalità e dei gruppi criminali“. E’ quanto si legge in una delle più recenti ricerche svolte dall’istituto.

“Tale equazione (meno gioco legale = più gioco illegale) è confermata dall’esperienza del lockdown: nel 2019 il valore del gioco illegale era stimato in circa 12 miliardi di euro, nel 2020 (con le chiusure) è salito a 18 miliardi (+50%) e nel 2021 si calcola che possa aver superato i 20. Giocare legalmente è, di conseguenza, la migliore certificazione che il gioco rappresenta un’attività praticabile in modo responsabile, sano e contenuto e che oggi è un fenomeno diffuso divenuto una componente dello stile di vita (non solo) degli italiani”.

In un’altra ricerca il Censis afferma che “in generale, la ludopatia richiede strategie ad hoc, modulate sullo specifico di tale condizione e orientate a prevenire con indicatori sentinella per una individuazione precoce, e una rete di soggetti che dal Servizio sanitario al socioassistenziale, fino agli organismi di territorio, modulino interventi. Di certo la cultura della lotta alla ludopatia deve emanciparsi dalla sola spinta proibizionista del gioco, che rischia di diventare una sorta di abdicazione sociale e di lasciare sempre più sole le persone alle prese con le sue cause ed effetti”.

Il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, si è espresso così in merito al gioco: “Ci sono tre importanti elementi legati al settore del gioco legale. Il primo è che il gioco c’è, esiste ed il 40% della popolazione lo segue, nella maggior parte dei casi, in maniera ludica. Il secondo elemento da valutare è che la ludopatia è un fenomeno singolo non collettivo. Una problematica che l’isolamento aggrava e che quindi va trattata tenendo conto di queste caratteristiche. Il terzo elemento è il rapporto tra gioco legale ed illegale. Lo Stato non deve comprimere il gioco legale, dando cosi spazio all’illegale, ma gestirlo. E lo si può fare attraverso la rete dei concessionari, attività molto importante in tal senso ma anche attraverso i lavoratori che rappresentano anche loro una rete da tutelare e valorizzare. Non dobbiamo avere paura delle paure come ludopatia e gioco illegale che possono essere gestite e combattute rendendo la rete del gioco legale più trasparente, qualificata e distribuita in maniera efficace”.

Anche l’Istituto Milton Friedman ha presentato varie ricerche sul gioco, sottolineando il carattere proibizionista dello Stato e poco lungimirante sul settore.

In una ricerca l’istituto afferma che “le differenze tra i diversi territori hanno generato un quadro normativo confuso e caratterizzato da profonde divergenze che comportano illegittime discriminazioni per gli imprenditori e differenti livelli di tutela per gli utenti”. Chiede quindi di abbandonare i vari distanziometri regionali – che provocano un effetto espulsivo e hanno “dimostrato in più occasioni la propria inefficacia” – eventualmente di sostituirli con “una distanza minima uguale per tutto il Paese”. Stesso discorso per le fasce orarie – anche in questo caso ogni Regione, se non ogni Comune ha imposto le proprie – per il Friedman invece serve “inibire la raccolta delle vlt e delle AWP per un periodo di tempo (sei ore) uguale su tutto il territorio nazionale”.

Il Direttore esecutivo dell’Istituto, Alessandro Bertoldi, ha dichiarato: “Le politiche contro il gioco lecito del Governo e di alcuni Enti locali, dello Stato nell’insieme, degli ultimi anni, non stanno contribuendo alla lotta contro il gioco patologico ma stanno definitivamente uccidendo il gioco lecito in Italia, andando progressivamente a consegnare il mercato alla criminalità organizzata. Il mercato irregolare o illegale del gioco in Italia è notoriamente prevalentemente gestito dalle mafie. Stiamo facendo un salto indietro nel passato, regalando nuovamente un mercato dal quale era stato quasi completamente estirpato il cancro della criminalità proprio alle mafie che lo avevano gestito per decenni. Tra qualche anno qualcuno ci dirà che avevamo ragione, ma a quel punto ci vorranno decenni per estirpare nuovamente la criminalità dal settore”.

Anche l’Istituto Superiore di Sanità ha svolto diverse ricerche sulle dipendenze, tra cui quella del gioco. In un importante studio del 2018 ha affermato che “solo il 19,3% dei giocatori che dichiarano di aver notato la pubblicità di un gioco d’azzardo ha scelto di giocare in base alla pubblicità vista o sentita, l’80,7% dichiara di non aver scelto di giocare in base alla pubblicità. I giocatori problematici scelgono più spesso (30%) dei giocatori sociali (14,5%) di giocare sulla base della pubblicità vista o sentita”.

“Il distanziometro in particolare, secondo l’indagine dell’ISS, non è uno strumento efficace per contrastare il “problem gambling”. Anzi, dal rapporto emerge il giocatore problematico predilige i locali lontani da casa e dal lavoro, quelli che garantiscono la maggior privacy o con un’area fumatori. Quest’ultimo aspetto è direttamente legato ai giocatori problematici perché tra loro è maggiore la percentuale di chi fuma o di chi consuma alcolici 4 o più volte a settimana”.

Anche la CGIA di Mestre, importante Associazione di Artigiani e Piccole Imprese fondata nel 1945 ha svolto accurati studi sul tema del gioco pubblico.

“Negli ultimi anni si è assistito a un proliferare di leggi regionali e delibere degli enti locali che sono andate nella direzione di contenere il settore del Gioco lecito imponendo disposizioni di carattere restrittivo. La mancata attuazione delle norme contenute nel decreto “Balduzzi” (Art 7 DL 13/09/2012 n°158) che prevedeva una progressiva pianificazione territoriale delle attività del Gioco lecito in modo che fossero stabilite distanze minime da luoghi sensibili (istituti di istruzione primaria e secondaria, strutture sanitarie ed ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi) ha dato il via a una regolamentazione frammentata e disomogenea. Le norme regionali hanno disciplinato la materia con un diverso grado di severità: in alcuni casi non limitandosi a regolamentare il rilascio di nuove autorizzazioni ma applicando queste regole anche alle attività in essere mettendo in discussione la loro sopravvivenza. L’applicazione di questi vincoli determina quindi di fatto l’impossibilità di operatività per il comparto in un qualsiasi centro cittadino.

In uno studio dedicato alla delicata situazione del gioco in Emilia-Romagna la Cgia di Mestre ha affermato che “la piena applicazione della legge regionale dell’Emilia Romagna sui giochi, unita ai continui aumenti di tassazione, genererà una situazione drammatica per il settore del gioco lecito in Emilia-Romagna: la perdita dei posti di lavoro è stimabile in 3.700 unità, sui 5.200 addetti attualmente occupati nel gaming. Quanto al gettito fiscale, il taglio dovrebbe aggirarsi sui 502 milioni annui, dei quali 445 del Preu (Prelievo Erariale Unico), 24 di canone concessorio e 34 delle altre imposte derivanti dal settore. Va considerato, inoltre, che uno degli effetti della piena applicazione della legge regionale sarebbe un ritorno al gioco illegale, mettendo a rischio la sicurezza dei giocatori. Il Gioco Legale, al contrario, risponde a regole precise, è fortemente controllato e assicura determinate percentuali di vincite”.

L’Università Luiss Guido Carli, con le sue autorevoli ricerche, ha più volte dedicato la propria attenzione al mondo del gioco.

“I risultati econometrici confermano il ruolo positivo che il gioco in denaro può esercitare sul benessere dei giocatori. A tal fine, è necessario che venga opportunamente tutelato attraverso una regolamentazione attenta, in particolare ai comportamenti dei giocatori e alle evoluzioni tecnologiche, e sia accompagnato da una lotta serrata e senza quartiere al gioco illegale”. E’ quanto si legge in uno studio portato avanti dall’Osservatorio dell’Università.

“Il gioco pubblico tutelato, rispettoso della legalità, attraverso il quale il giocatore possa divertirsi mantenendo con esso un rapporto equilibrato, è in grado di assicurare un miglioramento netto del benessere sociale. Per questo motivo non dovrebbe essere penalizzato, perché risponde a una legittima domanda di divertimento da parte di una quota rilevante della popolazione. Rimane tuttavia centrale l’esigenza di una solida regolamentazione del settore dei giochi, in grado di combattere il gioco illegale e ridurne i relativi costi economici e sociali, senza penalizzare le attività lecite. A tal fine, l’espansione delle opportunità legali di gioco può condurre a una diminuzione sostanziale del gioco illegale. Il contrasto alle attività di gioco illegali deve quindi basarsi su una strategia multivariate, in grado di abbinare strumenti repressivi, telematici, informativi e culturali, anche per favorire la riduzione del gioco illegale inconsapevole”. E’ quanto si legge in un’altra ricerca della Luiss.

Un’altra Università che ha dato ampio spazio al gioco è la Cattolica di Milano.

L’attuale governo (quello in carica nel 2019 ndr) ha aumentato la tassazione sul gioco d’azzardo con misure che hanno trovato consenso presso l’opinione pubblica. Molta gente s’è convinta che tali misure abbiano l’effetto di scoraggiare il gioco, ma non è così. Non c’è nessuna evidenza che un aumento dell’imposizione fiscale costituisca uno strumento efficace di contrasto”.

“Con i recenti provvedimenti del governo (Decreto Dignità, Legge di Bilancio, Reddito di Cittadinanza, Quota 100 le aliquote del Preu sono state aumentate dal 19 al 21,25% per le Awp (le slot) e dal 6 al 7,5% per le Vlt (videolottery)”. E il payout minimo di legge è stato ridotto dal 70 al 68 per cento per le Awp e dall’85 all’84 per cento per le Vlt. “E il costo sarà molto elevato perché stando ai calcoli del governo, il s”.

Doxa, fondata nel 1946, è una delle aziende italiane più importanti che opera nel settore delle ricerche di mercato ed ha dedicato vari studi sulla situazione generale del comparto dei giochi.

“Le leggi regionali sul gioco, nelle regioni esaminate dal report della Doxa, hanno evidenziato dei diversi aspetti. La normativa della Puglia appare sicuramente più razionale e lungimirante perché ha dimostrato come sia possibile applicare un impianto normativo smorzandone le componenti più inique e sostanzialmente ininfluenti in termini di efficacia. Alla base di tale risultato si ritiene ci sia stato un miglior dialogo tra le parti, una più accentuata attenzione al mondo del lavoro e dell’imprenditoria all’interno della filiera, senza trascurare la salute dei giocatori. E’ quanto si legge in una ricerca condotta da Doxa sulle differenze normative regionali sul gioco. Altre regioni, come ad esempio il Lazio, sono considerate un emblematico esempio dell’impasse a cui le normative anti gioco d’azzardo hanno sostanzialmente portato, attraverso misure in concreto inapplicabili – perché di fatto rendono impossibile la riallocazione delle imprese – e proroghe che da un lato concedono respiro, ma che svelano in realtà il carattere sbagliato di ciò che si intende applicare”. Vi sono poi regioni, come il Piemonte e l’Emilia Romagna, che vengono considerate esempi negativi in termini di inflessibilità e rigidità nella gestione delle normative, a causa di un ingiusto principio di retroattività e della massima estensione del luoghi sensibili legati al distanziometro. Le problematiche sono destinate ad aggravarsi quando scadranno le proroghe e quando il distanziometro verrà applicato integralmente: al di là del danno erariale, ciò che appare evidente è l’immenso danno che si avrà sul fronte del lavoro e dell’imprenditoria del comparto che ad oggi conta 6.000 imprese, più di 100mila addetti e 120mila punti vendita, ma che da anni si cerca sistematicamente di distruggere, nonostante sia pienamente lecito”.

Allontanare l’offerta di gioco tende a disinibire il giocatore sociale più che quello che ha già sviluppato una relazione problematica o patologica con il gioco; osteggiare il gioco lecito crea delle aree grigie facilmente colonizzabili dall’illegalità; depauperare il territorio dell’offerta di gioco fisica può dirottare il giocatore verso forme di gioco online, più difficilmente controllabili e più pericolose dal punto di vista del monitoraggio sociale, il giocatore diventa infatti invisibile. Si intravede uno spirito di “prevenzione” che tuttavia ha un sapore fortemente proibizionistico”. E’ quanto si legge in un’altra ricerca dell’istituto.

“La normativa per il contenimento del gioco d’azzardo appare viziata già dalla filosofia di partenza che la anima, si concentra sul gioco e non sul giocatore, agisce indiscriminatamente sull’offerta di gioco al fine di avvilirne la capacità e danneggia il comparto “facendo il gioco” della componente illegale dell’offerta. Il presupposto che anima le principali misure adottate è quello del criterio di inibizione “spaziale”, ovvero il distanziometro, o temporale, con la riduzione degli orari di apertura delle sale, che non è supportato da un attento studio delle condizioni del territorio su cui si intende eseguirlo. I distanziometri si rivelano in molti casi una misura espulsiva, specialmente nelle regioni che li applicano retroattivamente e che non hanno proceduto a rivedere o ridurre il numero e la tipologia dei luoghi sensibili”.

Nomisma, importante società che realizza ricerche di mercato, ha curato una survey in cui rientrava anche il tema del gioco d’azzardo.

“Non c’è il gioco d’azzardo tra le priorità di intervento che gli italiani chiedono alla politica. La droga si conferma una tematica che raccoglie preoccupazioni (6%) e su cui gli italiani richiedono azioni di contrasto e prevenzione da parte della politica (7,6% delle citazioni). Nella azioni di prevenzione a dipendenze ed abusi seguono l’alcol (6%) e i social network (4,8%), mentre il gioco d’azzardo rientra in misura minore tra le preoccupazioni e, conseguentemente, tra le sollecitazioni di intervento (solo il 2,3% si esprime in tal senso)“.

 

 

AGIMEG