di Roberto Malini, co-presidente di EveryOne Group
Nelle ultime ore, Pesaro è stata attraversata da un’ondata di titoli e locandine che campeggiano nelle edicole della città. Sono fogli bianchi e neri, con caratteri cubitali, che segnano come un marchio lo stato emotivo del dibattito locale: «Basta bugie sull’impianto a Tombaccia», «La Fox attacca: denunce in arrivo».
L’origine di questo clima è la conferenza stampa tenuta dai vertici di Fox Petroli, durante la quale l’amministratore delegato Roberto Berloni ha presentato “Green Fox”, una riconversione che l’azienda definisce sostenibile e in linea con la transizione energetica. Nello stesso intervento, Berloni ha accusato l’attivismo cittadino – e in particolare il Comitato “Pesaro: NO GNL” – di diffondere “bugie” e “notizie false”, ribadendo che la causa civile da due milioni di euro intentata contro due attivisti sarebbe il legittimo strumento per difendere l’immagine aziendale.
L’impressione, ascoltando la conferenza e poi vedendo i titoli diffusi in città, è quella di un discorso che non si limita al merito tecnico di un progetto industriale, ma che produce un effetto sociale: un clima di tensione, di sospetto, di paura.
Paura di parlare, di esporsi, di fare domande.
Durante la conferenza, Berloni ha riproposto il progetto di impianto GNL come inevitabile tassello della transizione ecologica, affermando che sarebbe più sicuro, più moderno, più sostenibile. Ha annunciato che l’autorizzazione “unica” dovrebbe arrivare nel 2026 e che l’impianto sarebbe operativo nel 2028.
Parole nette, tranquillizzanti nell’intenzione, ma in aperto contrasto con quanto stabilito dagli enti competenti.
Perché va chiarito con rispetto, ma con precisione: non è l’attivismo cittadino ad aver fermato il progetto, sono state le normative e le istituzioni preposte al controllo.
Il Comitato Tecnico Regionale dei Vigili del Fuoco delle Marche ha espresso un parere negativo vincolante, che ha causato – automaticamente – la decadenza della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Il progetto, per legge, non può avanzare, almeno allo stato attuale, perché non compatibile con la normativa Seveso III, con il Testo Unico di Pubblica Sicurezza, con il Regio Decreto del 1934 sulle industrie insalubri, e soprattutto con l’articolo 32 della Costituzione, che tutela salute e ambiente come diritti primari e indisponibili.
Nulla a che fare con le opinioni degli ambientalisti, perché si tratta di leggi dello Stato.
Il sito, infatti, ospita serbatoi degli anni ’50 privi di doppio fondo, bacini non impermeabilizzati, strutture che la stessa Fox dichiara di voler demolire perché obsolete. Il fiume Foglia dista 10 metri La Tombaccia, un quartiere abitato, è a 110 metri. Come si può pensare, oggi, di costruire proprio lì un impianto inquinante e a rischio di incidente grave? E come si fa a ritenere che analisi del suolo non siano indispensabili? Quando in oltre un secolo di attività non è mai stata eseguita una vera caratterizzazione del suolo con carotaggi, ma solo analisi superficiali della falda ipodermica, inevitabilmente “lavata” dal fiume.
Dire tutto questo non significa attaccare: significa raccontare fatti documentati. Nella conferenza, Berloni ha parlato di “azioni legali”, lasciando intendere che non si tratterà di un’unica iniziativa.
Si respira una tensione palpabile in città. La locandina che annuncia “denunce in arrivo” è uno dei segni più evidenti di come questo conflitto stia superando il dibattito tecnico, trasformandosi in un terreno in cui molti cittadini evitano di parlare per timore di essere coinvolti.
La causa da due milioni contro due privati cittadini, Lisetta Sperindei e me – già riconosciuta come SLAPP da Front Line Defenders, dalla rete europea CASE, dall’Hub di Protezione e dallo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui Difensori dei Diritti Umani – è una vicenda che pesa psicologicamente e socialmente. Chi vive del proprio lavoro, chi ha una famiglia, chi vive in un quartiere popolare non ha più serenità, se avverte il pericolo di fronteggiare richieste risarcitorie sproporzionate.
Questo clima non riguarda solo la Tombaccia o il sito Fox, il rapporto fra cittadini, informazione e potere economico.
Il futuro di Pesaro deve essere discusso con serenità, dati alla mano, senza demonizzare né delegittimare chi esercita il diritto costituzionale di partecipare al dibattito pubblico. È legittimo che un’impresa difenda i propri progetti. È altrettanto legittimo – e necessario – che la società civile chieda trasparenza, sicurezza e legalità.
Ma non è utile a nessuno un clima in cui il dissenso tecnico viene trattato come un attacco personale, o in cui una città si sveglia con titoli che assomigliano più a un monito che a un’informazione. Pesaro merita un confronto adulto, non una guerra di nervi. Il nostro auspicio è che si torni a discutere sui documenti, sulle analisi mancanti, sulle normative vigenti e sui dati tecnici – non sul presupposto che chi solleva domande sia un nemico o un bugiardo. Il vero bene comune è la verità, e la verità non teme il dialogo.
