ISTRUZIONE: spesa ferma al 3,9%, troppi abbandoni precoci e il 13% di laureati in meno dell’UE

key with red house trinket in keyhole

I numeri sullo stato di cultura degli italiani sono impietosi: gli ultimi ad essere stati diffusi sono collocati all’interno del capitolo «La società italiana al 2018» del 52° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese che, a livello generale, definisce l’Italia “preda di un sovranismo psichico”. Nello specifico, se si guarda alla formazione dei suoi cittadini, il risultato continua ad essere quello di un territorio, la nostro Penisola, dove si spende in istruzione e formazione il 3,9% del Pil, contro una media europea del 4,7%.

Preoccupa anche l’alto numero di alunni che lascia anzitempo i percorsi di istruzione nel 2017: riguardano il 14% dei giovani 18-24enni, contro una media Ue del 10,6%.Chi arriva alla laurea? Nella fascia30-34 anni siamo passati appena dal 23,9% al 26,9%, ma nello stesso periodo la media Ue è salita dal 37,9% al 39,9%. Marcello Pacifico (Anief-Cisal):Occorre incrementare gli investimenti, focalizzare la spesa sull’orientamento post-diploma, a partire delle zone territoriali meno avvantaggiate. 

 

Quando si vuole valutare lo stato formativo degli italiani, il dato più indicativo è quello riguardante la mancata volontà di recuperare rispetto all’Unione Europea: se si vanno ad esaminare i titoli di studio più elevati, si avanza, infatti, a piccoli passi. Come nel Vecchio Continente. Solo che c’è una zavorra di 13 punti percentuali che rimane immutata: tra il 2014 e il 2017, scrive il Censis, i laureati italiani di 30-34 anni sono passati dal 23,9% al 26,9%, ma nello stesso periodo la media Ue è salita dal 37,9% al 39,9%: ben 13 punti percentuali in più.

 

A preoccupare sono anche gli abbandoni precoci dei percorsi di istruzione nel 2017: riguardano il 14% dei giovani 18-24enni, contro una media Ue del 10,6%. Quindi, se i paesi membri stanno sostanzialmente raggiungendo l’obiettivo prefissato dal Bruxelles del 10%, noi anche su questo versante rimaniamo molto distanti. Con punte, raggiunte in alcune province del Sud e soprattutto delle Isole, che si avvicinano ai Paesi dell’Est.

 

La risposta di tale squilibrio rispetto all’Ue parte dai mancati investimenti. A parità di potere d’acquisto, infatti, la spesa per allievo risulta inferiore alla media europea di 230 dollari nella scuola primaria, di 917 dollari nella secondaria di I grado, di 1.261 dollari nella scuola secondaria di II grado. Ma sugli abbandoni precoci della scuola incidono non poco anche le scelte sbagliate degli alunni, nei passaggi tra un corso di studi e l’altro, soprattutto alle superiori e all’Università, per via di un orientamento scolastico ancora deficitario e approssimativo.

 

Il prezzo si paga, in particolare, con l’educazione terziaria: in Italia si spendono 11.257 dollari per studente (7.352 dollari se si escludono le spese per ricerca e sviluppo), mentre la media europea è pari a 15.998 dollari (11.132 dollari senza la R&S), con una differenza dunque di ben 4.741 dollari (il 42% in più).

 

I bassi investimenti sono in qualche modo recepiti anche dai giovani e dalle loro famiglie: in base ad altre ricerche nazionali, emerge chenegli anni si è “spenta” anche la voglia di frequentare un corso di laurea: la percentuale dei quindicenni italiani che vogliono iscriversi all’università (da circa il 50% al 40%). Anche per questo motivo, si continuano a perdere iscrizioni all’Università: oggi solo 3 diciannovenni su 10 si immatricolano ad un corso universitario. E dal 2003 (anno del massimo storico di 338 mila matricole) al 2013 (appena 270 mila) il calo è stato del 20%.

 

Con tantissimi cultori, assegnisti, dottori di ricerca, ricercatori (figura a esaurimento) e quasi-docenti in perenne attesa d’essere stabilizzati. l risultato lo stiamo pagando ora, con sempre meno iscritti ed un numero esagerato di studenti fuori corso. Anche le norme approvate non aiutano: come quella dell’ex ministro delMiur, Stefania Giannini, che nel 2015 ha firmato un decreto con il riparto del Fondo di finanziamento ordinario alle università statali e sul “costo standard” di formazione per studente in corso: a essere penalizzati da questa nuova distribuzione di circa il 20% delle risorse, sono stati gli atenei (e gli studenti) collocati nei contesti più svantaggiati, a iniziare da quelli del Sud. Con un ulteriore inevitabile aumento degli abbandoni.

 

“Come Anief – spiega il suo presidente nazionale Marcello Pacifico – riteniamo fondamentale incrementare gli investimenti complessivi per l’istruzione, focalizzando la spesa sull’orientamento post-diploma, a partire delle zone territoriali meno avvantaggiate. Perché è lì che è più difficile motivare i giovani e subentra lo scoramento. Parallelamente, va alzata l’offerta formativa. Cominciando ad assorbire nei ruoli tutto il precariato che caratterizza oggi l’insegnamento accademico. Solo pochi giorni fa è emerso che in Italia solo un dottore di ricerca su dieci lavora come professore accademico o ricercatore universitario”.

 

“La mancata progressione professionale negli atenei – continua Pacifico –è uno dei mali endemici della formazione delle nuove generazioni. Per questo motivo, abbiamo chiesto per l’ambito universitario, nel testo della legge di Stabilità, di ripartire dalla stabilizzazione dei ricercatori, a loro volta impossibilitati da anni nel passare al ruolo della docenza. Lo abbiamo ribadito chiedendo che nell’articolo 4, comma 1, del decreto Concretezza, collegato alla legge di Stabilità, il DDL S. 920,venga a crearsi un albo nazionale, nell’ottica dell’innovazione e in relazione al rilancio del sistema-Paese”.