Corte Ue: La normativa italiana sul reclutamento dei ricercatori universitari a tempo determinato non è discriminatoria

La normativa italiana sul reclutamento dei ricercatori universitari a tempo determinato non è discriminatoria.

La Corte è chiamata a decidere un rinvio pregiudiziale, presentato dal Consiglio di Stato, vertente sull’interpretazione degli artt. 4 e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi». La direttiva è stata recepita nel diritto italiano con il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 con le modifiche introdotte dalla L. 28 giugno 2012, n. 92 (cd. Legge Fornero) e dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (cd. Decreto Sviluppo), convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134, in materia di contratto di lavoro a tempo determinato.

Il rinvio pregiudiziale ha avuto origine da una causa intentata da alcuni ricercatori universitari nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dell’università degli studi di Perugia, sul rifiuto di trasformare i loro contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato o di ammetterli alla valutazione ai fini della loro iscrizione nell’elenco dei professori associati.

La legge 30.12.2010, n. 240 consente alle Università l’utilizzo di contratti da ricercatore a tempo determinato con durata triennale, prorogabili per due anni (contratti di tipo A), oppure con durata di tre anni riservati ai ricercatori che abbiano già beneficiato dei contratti di tipo A o che posseggano altri requisiti (contratti di tipo B). Il decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 75 sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche non contempla la categoria dei ricercatori universitari a tempo determinato tra quelle oggetto della stabilizzazione, dallo stesso disciplinata.

Il Consiglio di Stato chiede alla Corte di Giustizia se la normativa italiana sul reclutamento dei ricercatori universitari sia compatibile con l’accordo-quadro, in particolare: 1) laddove la conclusione dei contratti a tempo determinato non sia subordinata a ragioni oggettive legate a bisogni  temporanei ed eccezionali; 2) sotto il profilo della non discriminazione, considerato soprattutto che i ricercatori con contratto di tipo A (quali sono tutti i ricorrenti) non possono partecipare alla valutazione per l’iscrizione nell’elenco dei professori associati, a differenza dei ricercatori con contratto di tipo B.

Con la sentenza odierna, la Corte dichiara che il diritto dell’Unione non osta a una normativa nazionale che consenta alle Università l’utilizzo di contratti da ricercatore a tempo determinato con durata triennale e prorogabili per due anni. La normativa italiana rispetta, infatti, i canoni del diritto Ue in quanto stabilisce una durata massima complessiva dei contratti a tempo determinato (12 anni) e il numero massimo di proroghe; tali disposizioni sono sufficienti per prevenire il ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato, cui tende il diritto dell’Unione, sicchè la dedotta mancanza di ragioni oggettive sottese alle assunzioni temporanee è irrilevante. La Corte esclude, poi, la sussistenza di profili discriminatori nel trattamento differenziato delle diverse tipologie di ricercatori universitari; il raffronto tra  trattamenti differenti per verificarne eventuali profili discriminatori va effettuato fra  lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, mentre le questioni sollevate dal Consiglio di Stato pertengono a due diverse categorie di lavoratori a tempo determinato.

Per contro, il diritto UE osta ad una legislazione nazionale che permetta  ai soli ricercatori con contratto a tempo indeterminato, i quali abbiano ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale, e ai ricercatori a tempo determinato con contratto di tipo B) di partecipare alla procedura di valutazione specifica per l’iscrizione nella lista dei professori associati, e che precluda detta possibilità ai ricercatori con contratto a tempo determinato con contratto di tipo A) e titolari delle medesime qualifiche; ma ciò soltanto a condizione che il giudice nazionale accerti che i ricercatori con contratto a tempo determinato  di tipo A)   esercitino le stesse attività professionali dei ricercatori a tempo indeterminato.