Coronavirus, SMI: Noi medici non abbiamo mascherine nè guanti

È difficile orientarsi nel marasma che contraddistingue la comunicazione sul coronavirus. Come riporta la teoria della comunicazione «l’eccesso di comunicazione uccide il messaggio».

 

Tanti sono i numeri sfornati dalle fonti più diverse – e quasi sempre difficilmente comprensibili – o, al contrario, numeri che proprio per la loro esposizione acquisiscono un valore assoluto che allontana dalla comprensione della realtà. In Italia muoiono poco meno di 2.000 persone al giorno, e questa cifra cresce nei mesi invernali per la diffusione di patologie respiratorie. Si calcola che annualmente le morti legate direttamente e indirettamente alle influenze stagionali siano circa 8.000.

I bollettini di questi giorni si concentrano sulle poche – per fortuna – morti collegabili al coronavirus, tutte legate a soggetti anziani che presentavano, comunque, pregresse patologie. L’effetto è il panico, che a una settimana dai primi contagiati scoperti sul territorio nazionale, ha fatto dell’Italia un paese addirittura “pericoloso” – questo è, per lo meno, il giudizio di nazioni vicine e lontane. Tentando di partire dal terreno reale, abbiamo ascoltato la Dottoressa Pina Onotri, Segretario nazionale del Sindacato Medici Italiani, uno dei sindacati dei medici italiani che annovera tra i suoi iscritti più di 3.000 professionisti della categoria di medicina generale. È interessante ascoltare la voce di chi sta affrontando questa emergenza sul campo, con poche e contraddittorie indicazioni operative, tra mille difficoltà.

Dottoressa Onotri, lasciando per il momento da parte il suo livello di pericolosità, come va contrastata la diffusione dei contagi da coronavirus?
L’unico sistema per arginare il virus è la quarantena, e secondo me bene hanno fatto gli organi centrali – Governo, Protezione Civile –, a mettere in atto misure di isolamento. Infatti, noi non abbiamo cure specifiche per questo tipo di virus, e non possiamo che applicare le normali procedure di sostegno necessarie quando si presentano delle situazioni critiche. Ma, rispetto alle decisioni prese centralmente, il problema è che le Regioni non sono in grado di adeguarsi per tempo ed efficacemente. Questo è un portato evidente del regionalismo sanitario, che i sindacati medici da anni stanno in molti aspetti criticando. Si sono creati 21 sistemi sanitari diversi e nel caso presente, per il quale il sistema dovrebbe reagire in maniera univoca, ciò non accade. Per questo il Premier lunedì sera ha detto che il Governo è pronto a comprimere alcune prerogative regionali. Quando si parla di salute nazionale – perché il problema è nazionale – devono essere messe in campo delle misure speciali e straordinarie valide per tutto il territorio.

Dottoressa, alcune aree del Paese sono off limits, l’allarme è ai massimi livelli ma, contemporaneamente, il Governatore della Lombardia Fontana parla di un’influenza «solo più cattiva» e alcuni virologi invitano a non aumentare un panico che risulta sostanzialmente ingiustificato.
È vero che si tratta di un’influenza “solo” più cattiva, nel senso che il virus viene ritenuto più aggressivo di un 20-30% rispetto a quelli delle influenze più “normali”. Ciò, però, determina il rischio che, ad esempio, se si ammala per influenza tradizionale il 10% dei cittadini, il coronavirus potrebbe attaccare il 50-60% dei cittadini. Se ciò avvenisse, cosa potrebbe accadere? Nel contagio da coronavirus una percentuale tra il 10 e il 20% deve ricorrere alla terapia intensiva, come già accade, ma in quota molto minore, per la normale influenza. Il pericolo è che il nostro sistema sanitario non possa reggere un numero molto elevato di pazienti bisognosi di cure particolari, stante il numero di posti letto che abbiamo nelle rianimazioni. L’influenza tradizionale ci accompagna per circa 5 mesi, e il picco si limita a 150 giorni. In nostro sistema sanitario si è mostrato, e si mostra, in grado di sostenere i tradizionali picchi. Ma se si ammalassero quote di cittadini molto superiori, e comunque bisognose di cure intensive, il sistema non reggerebbe. Quindi bene fa il Governo ad assumere misure come la quarantena e l’isolamento, e i cittadini dovrebbero responsabilmente seguire le istruzioni che vengono date.

Dottoressa quali sono, in questi giorni, in queste ore, le maggiori criticità che si riscontrano dal punto di vista dei medici di medicina generale?
Una forte criticità che riscontrano i medici di medicina generale, gli ambulatori, i medici distrettuali, è la mancanza di presìdi: non abbiamo mascherine, non abbiamo tute, non abbiamo guanti, non abbiamo niente. Anche quando cerchiamo di reperirli a nostre spese, c’è grande penuria e i prezzi sono esorbitanti. Disinfettanti e mascherine sono orami introvabili.
Un’altra criticità è che le Regioni non si sono ancora adeguate all’ultima circolare che è stata emanata dal Ministero, e i numeri verdi messi a disposizione non funzionano. Noi medici di medicina generale dobbiamo valutare i pazienti a distanza, per via telefonica; diciamo loro di rimanere a casa, ma poi abbiamo molte difficoltà a mettere in atto tutte le procedure non mediche, ma burocratiche e amministrative, che servono in questa particolare situazione. Le Regioni sono impreparate a rispondere, mettendo in atto adeguati protocolli operativi. Tanti colleghi stanno chiamando il nostro sindacato per avere qualche indicazione. C’è poi il tema della certificazione per i primi cinque giorni di malattia: tanta gente accede agli studi medici per avere il certificato per sindrome influenzale, ma vista la situazione, potrebbe autocertificarselo e, quindi, evitare un accesso inutile. Altro problema che ci stiamo trovando ad affrontare è che le scuole richiedono le certificazioni ai medici di famiglia per gli alunni che devono essere riammessi in classe anche per periodi inferiori ai cinque giorni, anche per un solo giorno. Ma come facciamo noi ad emettere una certificazione di assenza di malattia, quando essa potrebbe essere asintomatica ed in mancanza di protocolli sul territorio che possono prevedere degli accertamenti tipo tamponi eccetera?

Come vanno gli afflussi nei vostri studi in questi ultimi giorni?
Si sono un pochino ridotti, però sono molto aumentati i contatti di tipo telefonico. La gente è molto disorientata, perché da una parte si dice di fare attenzione, di seguire le norme igieniche, evitare di spostarsi, dall’altra come abbiamo già detto il messaggio è che siamo di fronte ad un’influenza, solo un po’ più grave. E allora – ci si domanda – se è poco più grave di un’influenza ordinaria, perché tutte queste accortezze? Bisognerebbe dare un messaggio un pochino più univoco, evitando di cadere nella trappola della politicizzazione. Questo è il momento in cui la politica deve arretrare. Parla la scienza, parlano i tecnici, parlano i soggetti deputati a gestire questa situazione.

Dottoressa, al suo eventuale paziente che mostra sintomi riconducibili all’influenza “più cattiva”, cosa si sente di dire?
Di aspettare un attimo, di prendere i farmaci che normalmente si prendono per l’influenza (antinfiammatori, antipiretici). Se dovessero peggiorare i sintomi respiratori sarà mia cura, perché c’è il continuo contatto telefonico, provvedere ad allertare le autorità per vedere quali sono i protocolli da mettere in atto, anche se purtroppo in questo àmbito vige ancora la confusione.

È forte il rischio sanitario dei medici medesimi?
Il rischio sanitario per medici medesimi è alto. È alto perché si possono ammalare, ma è anche alto perché a loro volta possono fare da tramite, in quanto noi medici di medicina generale abbiamo a che fare con migliaia di persone. Per questo abbiamo chiesto un protocollo nazionale che venisse varato per gli operatori sanitari. Ad oggi, però, non sono state distribuite né mascherine, né guanti, né tute usa e getta. Non c’è governance periferica, e ciò mette in luce la défaillance delle Regioni cui viene affidato un compito così importante. Noi, anche per questo, auspichiamo controlli più stringenti da parte della Protezione Civile Nazionale, che certamente è in grado di operare con maggiore tempestività ed omogeneità in tutti i territori interessati.

ALBERTO BALDAZZI – leurispes.it