“CHI CI GUADAGNA?”, LA BRUTTA SCOPERTA SUI TAMPONI. COSA PROPRIO NON TORNA

Le differenze di prezzo tra i tamponi in Italia e all’estero, denunciate dall’europarlamentare della Lega Antonio Maria Rinaldi, sono inaccettabili. Qualcuno evidentemente sta lucrando alla grande sul Covid-19, mentre il ministro Speranza e il ministero dello Sviluppo Economico non si accorgono di quello che accade sotto i loro occhi.

Il Codacons è durissimo di fronte allo spread “a rovescio” esistente tra Italia e Germania, dove i tamponi rapidi costano qui otto euro, lì 3,75. Un fatto grave, e ancor più grave pensando che ai cittadini tedeschi spetta un test rapido gratuito una volta alla settimana (due volte per insegnanti e studenti che frequentano corsi in presenza). Considerando anche il differenziale in termini di reddito pro capite tra i due Paesi, l’iniquità è evidentissima. E non è la sola: basti pensare che il test Pcr per individuare la presenza del coronavirus, gratuito per i francesi, viene fatturato in media tra i 60 e gli 80 euro in Italia: tanto che i nostri turisti in Francia pagano meno il test oltralpe (49€) di quanto farebbero a solo qualche chilometro di distanza.

Le domande, di fronte a evidenze del genere, vengono di conseguenza. Come si motiva questa differenza, per un prodotto identico, in Europa? Quali scuse possono avanzare le società che in Italia producono questi tamponi per giustificare un tale sovra-prezzo? E cosa fanno le istituzioni, di fronte a casi del genere, che penalizzano i cittadini italiani?

Aspettando le risposte, consigliamo alle istituzioni di avviare finalmente un efficace monitoraggio dei prezzi applicati su prodotti e servizi legati al Covid-19, oggetto – non solo negli ultimi mesi – di fisiologica attenzione da parte dei cittadini: in un momento del genere è ancora più importante garantire prezzi equi per i tamponi, e in linea con gli standard europei.