Il cambiamento climatico non è più una proiezione futura, ma una realtà già attuale e quantificabile. Dalla rivoluzione industriale ad oggi, l’impatto dell’uomo sul clima è cresciuto in modo costante con conseguenze spesso irreversibili. L’aumento delle emissioni di gas serra, il surriscaldamento globale, le ricadute su ecosistemi e agricoltura, delineano uno scenario che le principali organizzazioni internazionali definiscono come una vera e propria crisi climatica.
Cambiamento climatico: una crisi già in atto
Le Nazioni Unite parlano del cambiamento climatico come «i cambiamenti a lungo termine delle temperature e dei modelli meteorologici». A volte, questi cambiamenti possono avvenire per mutazioni naturali del Pianeta. Tuttavia, gli studiosi sono unanimemente d’accordo nell’affermare che a partire dal XIX secolo le attività dell’uomo siano state la principale causa di questa variazione. L’attività maggiormente incriminata è quella relativa ai combustibili fossili come carbone, petrolio e gas. Tale attività rilascia gas serra nell’atmosfera, creando una sorta di “coperta” che avvolge la Terra, intrappolando il calore solare e facendo aumentare le temperature: è il cosiddetto “effetto serra” da distinguere da quello “naturale”.
La vita sulla Terra dipende infatti da tre fattori fondamentali: la giusta distanza dal Sole, il ciclo dell’acqua e la composizione dell’atmosfera. Quest’ultima gioca un ruolo cruciale, perché grazie all’effetto serra naturale mantiene il clima favorevole alla vita. In sostanza, quando i raggi del sole colpiscono la Terra, una parte viene assorbita dalla superficie e l’altra viene riflessa verso l’esterno. Grazie ad alcuni gas naturalmente presenti nell’atmosfera ‒ quali anidride carbonica, metano, vapore acqueo ed altri ‒ il calore dei raggi solari viene nuovamente reindirizzato sulla Terra aumentando la quantità di calore trattenuto. L’effetto serra naturale permette al nostro Pianeta di avere una temperatura media di circa +15° Celsius. Al contrario, senza questo fenomeno la temperatura sarebbe di circa -18° Celsius.
Un Pianeta sempre più caldo: dati e proiezioni
L’effetto serra antropico – che crea preoccupazione tra gli studiosi (e non solo) – è causato principalmente dalle attività dell’uomo a seguito della rivoluzione industriale. Si tratta di una sovrapproduzione di anidride carbonica e altri gas, che fanno trattenere sulla Terra molto più calore di quello necessario, creando il surriscaldamento globale.
Secondo dati pubblicati dal WWF, ogni anno dagli anni Ottanta in poi si registra un aumento della temperatura e ogni decennio è più caldo del precedente. Stando ai dati pubblicati nel 2022, «la concentrazione di gas serra nell’atmosfera ha raggiunto livelli record: l’anidride carbonica è aumentata del 147%, il metano del 259% e il protossido di azoto del 123% rispetto ai livelli preindustriali».
Il National Centers for Environmental Information (NOAA) calcola che dal periodo preindustriale, le attività umane abbiano causato l’innalzamento della temperatura media globale del nostro Pianeta di circa 1° Celsius e che questa sarà destinata ad aumentare dello 0,2 ogni decennio.
Secondo le ultime stime pubblicate dall’Enel, rispetto al periodo 1850-90, nello scenario di emissioni più basso, la temperatura globale nel 2081-2100 sarà più alta di 1°/1,8° Celsius; in uno scenario intermedio salirà di 2,1°/3,5°Celsius; nello scenario più alto di emissioni, la temperatura subirà un aumento di 3,3°/5,7° Celsius.
L’innalzamento delle temperature porta a un incremento delle ondate di calore, con stagioni estive più lunghe e inverni più brevi. Ciò comporta soglie di tolleranza critiche per l’agricoltura e la salute, un aumento dell’umidità, e impatti su venti, neve e ghiacciai. Anche le zone costiere, i mari e gli oceani ne risentiranno. Il surriscaldamento, infatti, causa un innalzamento del livello dei mari. Fra il 1901 e il 2020 il livello del mare si è alzato di 20 centimetri, con una crescita media dal 1901 al 1990 di 1,35mm all’anno, e di 3,7mm all’anno nel periodo 2006-2018. Possiamo parlare di una vera e propria crisi climatica.
Agricoltura: causa e vittima del cambiamento climatico
Uno dei settori maggiormente condizionati dal cambiamento climatico è sicuramente il settore agroalimentare. Secondo l’articolo pubblicato sul sito ARPAT (Area Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana), l’agricoltura emette nell’atmosfera metano (CH₄), protossido di azoto (N₂O) e anidride carbonica (CO2), principalmente per l’utilizzo del suolo, l’applicazione di fertilizzanti e la produzione zootecnica. Pertanto, si può dire che il settore agricolo sia tanto causa quanto vittima del suo stesso impatto ambientale in modo diretto o indiretto.
D’altronde, l’attuale sistema alimentare causa il 37% delle emissioni di gas serra. L’Italia e in generale i paesi del Mediterraneo, sono considerati tra i fulcri della maggiore produzione di CO2 dovuta al settore agricolo (WWF, 2023).
Nella relazione sul cambiamento climatico e le sue conseguenze, rilasciata dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), vengono esaminati gli effetti della crisi climatica sull’agricoltura: le rese del raccolto diventano sempre più instabili; il cambiamento delle temperature fa sì che i nuovi infestanti e patogeni si diffondano con maggiore facilità; le temperature più elevate e la scarsità di precipitazioni, aumentano il fabbisogno idrico del suolo. La scarsità delle precipitazioni influisce anche sulle capacità delle falde idriche sotterranee che stanno diminuendo.
Inoltre, l’avanzamento verso l’entroterra del cuneo salino marino del sottosuolo ne deteriora la qualità e innesca fenomeni come: salinizzazione dei suoli; specifiche colture subiscono uno sfasamento con riduzione del tempo a disposizione per terminare la raccolta e avere una buona resa; spostamento di aree idonee alla coltivazione di alcune colture specifiche, con conseguente cambiamento della distribuzione stagionale dei prodotti agricoli; impoverimento del suolo; diminuzione e perdita della biodiversità; creazione di specie aliene maggiormente in grado di adattarsi ai cambiamenti in atto.
Secondo dati pubblicati nel 2023 dal WWF, entro la metà del secolo i raccolti potrebbero ridursi del 3-12% a causa della crisi climatica. La domanda di cibo è costantemente in crescita e si stima che, nel 2050 la popolazione mondiale passerà da 8 a quasi 10 miliardi di persone. L’alterazione del suolo e del sottosuolo, dunque, così come la diminuzione della biodiversità e la siccità, provocano l’inaridimento dei lotti rallentando la produzione.
In questo contesto, il settore agroalimentare italiano è sceso al terzo posto nella graduatoria dell’Unione europea per valore alla produzione, peggiorando quindi il proprio posizionamento competitivo nel settore agricolo (Rapporto ISMEA (2024).
Il cambiamento climatico: una sfida sistemica
Il cambiamento climatico si conferma dunque come una sfida sistemica, capace di incidere sull’ambiente, sull’economia e sulla sicurezza alimentare globale. Il quadro che emerge è quello di un sistema sotto pressione, in cui il cambiamento climatico agisce da moltiplicatore di criticità già esistenti. L’agricoltura, in particolare, si trova a dover affrontare problematiche come la scarsità idrica e la perdita di biodiversità, continuando, tuttavia, ad avere un ruolo centrale nell’economia e nella sicurezza alimentare. In considerazione di questi elementi, la crisi climatica non può più essere considerata un’emergenza lontana, ma una realtà con cui fare i conti oggi, da affrontare con scelte politiche, economiche e produttive capaci di coniugare sostenibilità, competitività e tutela del territorio.
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