Anief contro i finti aiuti ai giovani: assurdo lavorare 50 anni per assicurarsi un assegno poco più alto di quello sociale

Il Governo starebbe lavorando per prevedere un assegno pensionistico minimo di 650-680 euro, in modo da aumentare la cumulabilità tra la pensione sociale e contributiva. Il problema è che le pensioni medie non supereranno di molto quella cifra. È esemplare l’assegno di quiescenza destinato agli ultimi docenti neo-immessi in ruolo: secondo l’Ufficio Studi Anief, gli assunti dal 2015 in poi, con l’entrata a regime della riforma Monti-Fornero e della Buona Scuola, sono destinati a percepire un assegno mensile decurtato tra il 38% ed il 45% rispetto a chi ha lasciato il servizio sino a quell’anno.

Anche perché, nel frattempo, gli stipendi dei dipendenti pubblici, fermi da nove anni, sono stati divorati dall’inflazione e non saranno certo gli 85 euro medi lordi in arrivo, sempre se e quando arriveranno, a risollevarli: versando meno contributi, legati al potere stipendiale, è infatti evidente che la pensione non potrà che uscirne ancora più penalizzata. Come, del resto, è accaduto a partire della fine degli anni 90, con il potere di acquisto delle pensioni che in soli tre lustri ha perso già il 33%. Purtroppo, la parabola discendente è solo all’inizio, visto che il sistema contributivo attuale prevede un’incidenza sull’accontamento previdenziale molto più sfavorevole al lavoratore rispetto ai modelli pensionistici pre-Fornero.

In termini pratici, significa che un docente che due anni fa oggi percepiva una pensione di 1.500 euro, verosimilmente non solo lascerà il servizio a a 70 anni suonati con 46 anni e mezzo di contributi versati, ma andrà a percepire una pensione collocata nella fascia 825 euro – 930 euro. E lo stesso vale per l’impiegato medio italiano. Se consideriamo che già oggi oltre il 40% dei pensionati percepisce un assegno di quiescenza che non supere le 1.000 euro al mese, il numero di cittadini italiani destinati a questo trattamento è pertanto destinato ad allargarsi a macchia d’olio.

Pesa sfavorevolmente sulla pensione, quindi, il fatto che da 10 anni per i dipendenti pubblici è rimasta illegittimamente bloccata pure l’indennità di vacanza contrattuale, che avrebbe assicurato almeno la metà dell’adeguamento (motivo per cui l’Anief ha fatto ricorso). Come non potrà che aggravarsi la situazione anagrafica del corpo docente: considerando che già oggi il più vecchio al mondo, con due insegnanti su tre oltre i 50 anni di età, ed alto rischio burnout, le condizioni professionali e retributive di chi insegna a scuola sono destinate a diventare ad assumere livelli da paesi arretrati.

“Anche se il provvedimento, per ora soltanto annunciato, sembra essere destinato ai lavoratori inseriti nel pieno sistema contributivo e con contratti saltuari – dice Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario confederale Cisal – per la prima volta i giovani assunti dopo il 1996 hanno ricevuto dallo Stato un chiaro messaggio: dovranno lavorare per quasi tutta la vita, con la semi-certezza di andare in quiescenza con il 50% dell’ultimo stipendio. Secondo noi, quello che serve è un nuovo patto sociale e scorporare, nel contempo, tutto quello che riguarda il welfare e gli ammortizzatori sociali del bilancio Inps, a cui lo Stato deve più di 20 miliardi di contributi figurativi. Al punto da generare un buco di bilancio che potrebbe mettere a rischio la stessa erogazione di pensioni e liquidazioni. Anche questo incide sulle loro pensioni irrisorie che sono sempre più in misura maggiore destinati a percepire. È questa la ricetta per salvare le nuove generazioni e garantire il turn over: le altre, sono solo palliativi a spese dei lavoratori”.

Da anni l’Anief chiede di svincolare dal bilancio Inps le spese per lo stato sociale: è una cifra che pesa tantissimo, per oltre due terzi, dalle uscite dell’ente nazionale di previdenza. Ricordiamo che i fondi Inps vengano assorbiti in larga parte dalla cassa integrazione in deroga, destinata quasi sempre ai dipendenti privati. Intanto, l’età di pensionamento cresce: da quota 96, sommando età anagrafica e contributi, si è passati attorno ai 105, con l’intenzione di arrivare chissà dove. Senza dimenticare l’irrisolto problema dell’esclusione dei lavoratori pubblici dal TFR in busta paga, perché lo Stato non ha mai versato in solido i contributi.

“La verità è che quello che Inps e Governo stanno preparando è un ‘piatto’ avvelenato – continua Marcello Pacifico – perché non solo stanno portando l’età pensionabile a 70 anni e più, ma stanno anche lavorando per collocarli in pensione con assegni da fame. Il paradosso è che l’Esecutivo Gentiloni si vanta di operare a favore dei giovani, i quali dovrebbero addirittura ringraziare di lavorare per una vita a stipendi ridicoli e ritrovarsi in pensione con la metà dell’ultima busta paga”.