Marcegaglia: Cambiare il lavoro è cambiare l’Italia

‘L’incontro è andato bene’. Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, non sceglie frasi di circostanza per dare una valutazione del vertice tra Governo, imprese e sindacati sul delicato tema della riforma del lavoro. Non c’è stato un documento comune delle parti sociali e il ministro ha detto: noi vogliamo l’accordo, ma se non si trova, la riforma la facciamo lo stesso. Confronto in salita? "E’ stato un bene – risponde all’inizio di una lunga intervista al SOLE 24 ORE – non avere documenti chiusi da parte di nessuno. Lo stesso ministro non ha portato documenti ma ha illustrato gli obiettivi del Governo che sono essenziali e totalmente condivisibili: creare occupazione e alzare i salari attraverso un recupero di produttivita’ delle imprese. E giustamente ha detto che l’obiettivo del Governo e – dico io – di tutti noi e’ quello di fare l’accordo. ‘Se poi – ha aggiunto sempre il ministro – cio’ non sara’ possibile, il Governo comunque varera’ la riforma. Mi sembra ragionevole e lo sottoscrivo. Il ministro Fornero ha dato tempi stretti per i confronti tecnici e noi siamo gia’ al lavoro: martedi’ vedremo le imprese, mercoledi’ ancora i sindacati. Lo spirito che sento da parte di tutti e’ davvero quello di cercare un cammino comune. Questa riforma e’ talmente importante che e’ giusto raccogliere attorno ad essa il massimo del consenso possibile. Di riforme il Governo Monti ne ha gia’ fatte tante e di grande impatto. Perche’ questa e’ piu’ rilevante delle altre? Perche’ il tema del lavoro e’ la principale preoccupazione degli italiani ed e’ sempre sul tema del lavoro che gli investitori di tutto il mondo misureranno il grado di cambiamento del nostro Paese.
Su questi temi siamo pressati dal Fondo monetario, dalla Bce, dall’Europa. L’ho visto a Davos dove moltissimi esponenti di multinazionali estere mi chiedevano se era davvero la volta buona per la revisione delle regole sul lavoro. Uno dei grandi timori, per chi investe da noi, e’ proprio legato ai rischi di una disciplina incerta e troppo vincolistica rispetto agli standard internazionali. Una buona riforma del mercato del lavoro sara’ il vero sigillo della rinascita italiana. Parliamo di flessibilita’ in entrata. Le forme di accesso al lavoro sono tante, forse troppe. C’e’ un sostanziale accordo tra di noi parti sociali e tra imprese, sindacati e ministro Fornero: tutti vogliamo distinguere – come dice il ministro – la flessibilita’ buona da quella cattiva. Bonanni dice che le flessibilita’ d’ora in poi costera’ di piu’. Assunzioni part time, con contratti a termine o con il lavoro interinale, gia’ oggi costano come una assunzione a tempo indeterminato, mentre partite Iva e cococo hanno minori oneri previdenz iali. Se ci sono partite Iva fasulle queste vanno contrastate. Fornero ha citato anche abusi sui contratti a termine Il tema vero e’ ragionare su forme di incentivazione per la trasformazione di quei contratti in altrettanti lavori a tempo indeterminato. La nostra normativa e’ perfettamente in linea con le direttive europee e noi utilizziamo questo strumento come gli altri.
Non mi risultano particolari abusi. Perche’ da noi, nonostante le varie riforme, il part time non decolla mai? La Germania ha aumentato enormemente il tasso di attivita’ proprio garanzie al part time. Direi che in Italia e’ un fatto condizionato dalla dimensione d’impresa. Le aziende sono troppo piccole per gestire grandi numeri di part time.
C’e’ ancora un uso limitato, magari per agevolare i rientri dopo le maternita’, ma e’ difficile che il lavoro a tempo parziale diventi un fattore usuale dell’organizzazione aziendale. Sono favorevole a sperimentare – come ha suggerito Fornero – il part time per le persone vicine all’eta’ di pensione, magari abbinando forme di lavoro a tempo a forme di assegno di quiescenza ridotto. L’apprendistato sembra essere la soluzione piu’ condivisa per gestire l’accesso al lavoro dei giovani. E’ cosi’? Si’, siamo tutti d’accordo che questo e’ il contratto che meglio di altri puo’ garantire un accesso ordinato dei giovani al lavoro. L’importante e’ che sia abbinato a formazione vera e a una gestione meno burocratica.
Oggi non e’ sempre fluido il rapporto con le Regioni cui fa capo la gestione di questo strumento. Sugli ammortizzatori sociali si e’ passati dall’idea del reddito minimo a una conferma degli attuali regimi di cassa integrazione. Un forte cambio di direzione. Il ministro Fornero ha disegnato una nuova architettura degli ammortizzatori che tutela di piu’ il reddito che non il posto di lavoro, come del resto avviene in tutta Europa. Noi condividiamo questo disegno ma evidenziamo che, in questo momento, la crisi e’ cosi’ forte che e’ impossibile procedere, da subito, a una sperimentazione cosi’ ambiziosa e radicale che, tra l’altro, con l’ampliamento dell’indennita’ di disoccupazione, comporterebbe un forte aumento di spesa pubblica. E’ importante che il ministro ci abbia rassicurato sul mantenimento della cassa ordinaria e straordinaria e degli strumenti esistenti come la mobilita’.
E’ chiaro che siamo tutti disponibili a disegnare un diverso sistema di ammortizzatori sociali, ma in questa fase ci aspettiamo ancora molti casi di ristrutturazione che solo la cassa straordinaria consentira’ di gestire al meglio. Non possiamo immaginare che ci siano persone che restino senza sostegno, senza salario e senza pensioni. Dunque sugli ammortizzatori resta tutto congelato? No. Si potrebbe anche immaginare di modificare da subito alcuni aspetti dell’attuale disciplina. Si tratta di facilitare il reimpiego anche attraverso una buona formazione, ad esempio attivando una politica di ricollocazione per chi sia in cassa straordinaria o in mobilita’, con la collaborazione di centri per l’impiego pubblici e agenzie private, istituti professionali e centri di formazione regionale. Potrebbe accadere, ad esempio, che chi sia in cassa integrazione straordinaria o in mobilita’ non possa rifiutare un eventuale posto di lavoro alternativo. O che chi sia in mobilita’ e si ricollochi rinunciando a parte dell’assegno ne possa avere una parte come incentivo o come premio al reimpiego. E’ una fase unica e difficile: e’ importante sperimentare soluzioni mai tentate prima. Il tema piu’ spinoso e’ la cosiddetta flessibilita’ in uscita, articolo 18 compreso. Il tema e’ la flessibilita’ in uscita ed e’ sul tavolo del confronto.
L’articolo 18 e’ diventato tema della campagna elettorale dei candidati alla presidenza della Confindustria. La riforma dell’articolo 18 e della flessibilita’ in uscita e’ tema oggetto delle deliberazioni unitarie della giunta e del direttivo di Confindustria. Ed e’ sulla base di questo mandato che porto avanti la posizione delle imprese su questo tema. La soluzione arrivera’ all’interno di questo negoziato.
Ognuno dei candidati alla mia successione, tre grandi imprenditori, legittimamente puo’ avere una sua opinione sul tema, ma questa riforma e’ talmente importante che giustamente Confindustria ha deciso di gestirla ora e in modo unitario. Qual e’ la posizione delle imprese dunque? Non intendiamo affrontare questo argomento con furori ideologici.
Non e’ in discussione una pretesa di liberta’ di licenziamento; non ci interessa, non ci appartiene, non e’ il nostro modo di fare e di essere imprenditori. Noi crediamo che anche l’Italia, pero’, debba adottare una normativa in linea con l’Europa. Questo, tra l’altro, toglierebbe una parte della cattiva flessibilita’ in entrata che penalizza i giovani e consentirebbe di attrarre molti piu’ investimenti di quanti non se ne presentino ora. L’importante e’ anche arrivare ad abbreviare i processi: la decisione su un reintegro deve arrivare entro un anno, non di più. Un’impresa non puo’ ritrovarsi, magari dopo sei sette anni, l’obbligo di pagare gli arretrati e di reintegrare il lavoratore, magari in un posto che non c’e’ piu’. Il processo deve durare al massimo un anno. Il reintegro, poi, deve valere per i licenziamenti discriminatori (genere, ede religiosa, credo politico, provenienza geografica) e per quelli nulli; e’ un fatto di civilta’ irrinunciabile. Ma per gli altri bisogna stabilire una forma di indennizzo secondo gli standard europei. Le casistiche sono molte, basta calibrarle sull’Italia. Fin qui le regole, ma il lavoro si crea con le imprese, con i mezzi e con le idee. Le riforme realizzate finora dal Governo Monti sono sufficienti? E’ molto importante la riforma previdenziale, cosi’ come le semplificazioni e le liberalizzazioni, comprese quelle per gli investimenti in infrastrutture e il taglio all’Irap sul costo del lavoro. Rilevante anche la defiscalizzazione dei fondi che aumentano il capitale d’impresa. Ora serve una spending review vera e incisiva: dobbiamo scendere a un livello di spesa pubblica sul Pil simile alla Germania, quindi va ridotta di 3-4 punti di Pil, ma non con la vecchia pratica dei tagli lineari. Finora e’ stato fatto poco sul miglioramento della macchina statale. Va abbattuto lo stock del debito; non basta la politica degli avanzi primari seppure lodevole. Vedrei bene un’operazione di cessione di parte degli asset pubblici. E’ facile a dirsi, lo so, meno facile a farsi: pero’ non e’ impossibile cominciare a dismettere immobili, a cedere alcune utilities a livello locale. Insomma, bisogna cominciare un percorso di cessione di parte dell’attivita’ pubblico. Il credit crunch, la stretta sul credito alle imprese, e’ la preoccupazione principale delle aziende. Tra poco la Bce fornira’ alle banche una nuova tranche di finanziamenti a bassissimo costo.
Come si fa a farli arrivare alle aziende e a evitare che finiscano, come e’ stato fatto finora, sul patrimonio interno degli istituti di credito o sui titoli di Stato? Questa del credit crunch e’ davvero la grande preoccupazione delle imprese italiane oggi. Stiamo lavorando con le banche per mettere a disposizione delle imprese strumenti concreti come la riapertura della moratoria sui debiti, l’allungamento delle scadenze sugli sconti degli effetti in caso di insoluto e un utilizzo efficiente del fondo di garanzia. Daremo vita a osservatori con le banche in ogni territorio, come abbiamo fatto durante la crisi del 2009, per gestire insieme il nodo della liquidita’. Capiamo i problemi delle banche ma stavolta quei fondi devono arrivare al sistema. Serve anche una politica industriale: politica dei fattori (fisco, infrastrutture, costo del lavoro, capitale umano) o dei settori? Come imprenditori preferiamo sempre una seria politica dei fattori perche’ il resto, in genere, lo fa il mercato. Tuttavia esperienze di razionalizzazione di fondi pubblici e di risorse private in settori considerati prioritari e strategici possono essere utili. Penso ad esempio ad alcune delle intuizioni di Industria 2015, piattaforme che hanno visto insieme imprese, centri di ricerca e universita’ su alcuni settori ad alto potenziale di crescita come la green economy, la mobilita’ sostenibile e il made in Italy, iniziativa bene avviata poi non piu’ finanziata. Credo che il ministro Passera stia studiano forme di incentivazione automatica per ricerca e innovazione accorpando forme di finanziamento oggi sparse su troppe micro-voci. Mi sembra una buona iniziativa. Lo spread e’ a 375. L’Italia e’ tornata il Paese da comprare. Ma che fiducia e’ questa dei mercati? Significa che le politiche fatte finora hanno pagato e cominciano a far arrivare i loro effetti sui mercati. L’Italia conta di piu’ nella definizione delle politiche europee e ha molto migliorato lo standing internazionale. La percezione e’ quella di un Paese che sta cambiando. Ma guai a considerare questa fiducia un punto di arrivo consolidato. Il momento resta difficile, il Paese e’ ancora in recessione, dobbiamo continuare e completare le riforme. Poi l’Europa deve fare il resto: serve un fondo salva-Stati con più capitale (almeno mille miliardi), serve una Bce che possa gestire meglio gli interventi sulla liquidità, servono gli eurobond per gli investimenti. L’Europa non può essere solo rigore, deve anche diventare sviluppo e crescita. Altrimenti si alimenta uno spirito anti-euro nei populismi e nei protezionismi di ogni Paese e l’Europa rischia di diventare un soggette odiato. A proposito di ribellismi. In Italia c’è stata la protesta dei camionisti, dei forconi in Sicilia, degli studenti contro Napolitano. Lei vede un’onda di reazione sociale che può travolgere le riforme? Vedo che il Sud ha problemi seri di sviluppo e lì il mercato del lavoro conosce una realtà davvero difficile. Vedo la reazione, prevedibile, di alcune cetegorie colpite dalle liberalizzazioni. Non vedo una marea montante generale e diffusa su larga scala. So, però, che solo le riforme per la crescita possono dare risposte vere a questo disagio. La mancanza di prospettive e di rilancio spaventa tutti. L’unica risposta è crescere, crescere, crescere".