Per decenni, molte malattie ereditarie e acquisite che minacciano la nostra vista sono state considerate una condanna, gestibili al massimo con cure palliative. Ma una nuova ed audace frontiera della medicina sta riscrivendo la storia di queste patologie. Si tratta della terapia genica, una delle più grandi rivoluzioni biomediche del nostro tempo, che nel campo dell’oftalmologia sta producendo un’impressionante e promettente crescita di attività clinica. Sebbene il primo “gene-farmaco” per una malattia genetica, il Voretigene Neparvovec (Luxturna), sia stato approvato nel 2017 dalla FDA, il campo è rapidamente esploso.
Si stima che, a livello globale, l’occhio sia il bersaglio di oltre 351 sperimentazioni cliniche attive o concluse che utilizzano la terapia genica per trattare una vasta gamma di disturbi: fino a marzo 2025 20 trial non avevano ancora iniziato il reclutamento, 160 erano in corso, 118 erano stati completati e 22 erano stati ritirati o interrotti (ClinicalTrials.gov)*. A fare il punto sullo stato dell’arte sono gli specialisti della Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (SISO) e dell’Associazione Italiana Medici Oculisti (AIMO), in occasione del congresso nazionale congiunto che si terrà dal 6 all’8 novembre a Roma.
“L’occhio è considerato un organo particolarmente favorevole per la terapia genica per la sua natura relativamente isolata, il che aiuta a limitare la diffusione del vettore genico ad altri organi, e per le piccole dosi di farmaco richieste – dichiara Francesco Bandello, Direttore Clinica Oculistica Università Vita-Salute San Raffaele Milano e consigliere SISO. Questa localizzazione riduce drasticamente gli effetti collaterali, rendendo l’approccio non solo efficace, ma anche notevolmente sicuro”.

L’intensa attività clinica riflette il successo di questo “modello oculare”: il numero di trial clinici per le distrofie retiniche ereditarie ha superato abbondantemente quota 60, con un numero crescente di studi che passano dalle fasi iniziali di sicurezza a quelle conclusive di efficacia. Diversi protocolli, specialmente quelli mirati alle distrofie ereditarie, sono ora in Fase III, l’ultima prima di una potenziale approvazione normativa. Inoltre, la ricerca ha identificato più di 250 geni le cui mutazioni sono associate a malattie ereditarie dell’occhio, fornendo un vasto “catalogo” di bersagli per le future terapie geniche.
Gli specialisti tracciano un panorama entusiasmante: non si parla più solo di speranze, ma di terapie in fase avanzata o già approvate che stanno trasformando la vita dei pazienti. “Il successo delle distrofie retiniche ereditarie, un gruppo di malattie rare, come l’amaurosi congenita di Leber, causate da un singolo difetto genetico, è certamente il più clamoroso”, spiega Stanislao Rizzo, Direttore Unità Operative Complesse (UOC) di Oculistica presso il Policlinico Gemelli IRCSS di Roma e consigliere SISO. In alcuni casi, come con l’approvazione del farmaco Luxturna, un’unica iniezione sottoretinica può ripristinare la funzione visiva in bambini e giovani adulti.
“Le implicazioni della terapia genica sono promettenti anche nel trattamento della degenerazione maculare senile, la causa principale di cecità nei paesi sviluppati – dichiara il Prof. Rizzo-. La ricerca si sta concentrando sull’uso della terapia genica per trasformare le cellule retiniche in ‘fabbriche di farmaci’”. L’idea è di introdurre geni che codifichino per proteine terapeutiche, come gli anticorpi anti-VEGF usati nelle attuali iniezioni mensili, in modo che l’occhio produca autonomamente il farmaco, eliminando la necessità di iniezioni ripetute. Per condizioni degenerative progressive come la retinite pigmentosa e la coroideremia, la terapia genica mira a rallentare o bloccare la morte dei fotorecettori, preservando il più a lungo possibile la vista residua”.
La ricerca si sta muovendo velocemente oltre la semplice “sostituzione genica”. “Le tendenze più promettenti includono l’editing genomico: tecniche come CRISPR-Cas9 promettono di correggere i difetti genetici direttamente nel DNA del paziente, con la tecnica del ‘taglia e incolla’, offrendo una cura definitiva a livello molecolare – sottolinea Mario Romano Direttore Clinica Oculistica Università HUMANITAS Milano – Bergamo – e consigliere SISO. Per i pazienti che hanno perso tutti i fotorecettori, come nella retinite pigmentosa e nella coroideremia, si sta invece sperimentando l’introduzione di geni che rendono le cellule nervose residue (come i neuroni bipolari o ganglionari) sensibili alla luce, trasformandole in sostituti dei fotorecettori”. Si tratta della cosiddetta optogenetica, una nuova frontiera nel trattamento di malattie degenerative della retina.
“Nonostante siano ancora numerose le sfide da affrontare, come l’ottimizzazione dei vettori virali, la gestione delle risposte immunitarie e l’accessibilità economica delle terapie, la strada è tracciata – conclude Bandello -. L’oftalmologia è pronta ad accogliere una nuova era in cui l’obiettivo non è più solo gestire la malattia, ma sconfiggerla”.
