
L’attività turistica è senza dubbio un’impresa. Le imprese hanno l’obiettivo sacrosanto di fare profitti, impiegando capitali e forza lavoro, a cui forniscono redditi proporzionati alla produttività. Hanno anche una responsabilità sociale, evidente proprio nel fatto che pagano stipendi, salari, interessi sui capitali e imposte e tasse. Anche produrre prosecco è un’attività imprenditoriale che produce profitti e redditi da lavoro. Che c’entra questo col turismo?
Nelle zone di produzione del prosecco – uno dei prodotti agroalimentari che contribuiscono di più al successo dell’export italiano – si inizia a lamentare il fenomeno della “prosecchizzazione” del paesaggio. Quasi tutto il territorio è destinato alla produzione vitivinicola con la conseguente semplificazione del paesaggio, espulsione di altre colture e prevalenza assoluta di una monocoltura, ricca quanto si vuole ma non sempre bella da vedersi. E’ vero: si può discutere che un paesaggio agricolo monocolturale sia bello o brutto, certo è che è a rischio estetico e pure economico. Se il contesto del mercato entra in uno stato di grave turbolenza, l’economia monocolturale può morire.
Pensare al turismo come unico motore dello sviluppo italiano è molto rischioso. Con fenomeni esterni ed interni. Le crisi improvvise mondiali (bolle immobiliari statunitensi, pandemia, terrorismo e guerre) possono mettere in ginocchio una economia monocolturale. Poi, una città tutta dedita al turismo diventa una città senza residenti, una città popolata solo da imprese e turisti. Siamo sicuri di volere proprio questo?
Ai turisti si dovrebbe dare un altro nome. Si dovrebbero vedere come residenti temporanei e come tali trattarli. Dovrebbero vedere e godere di un paesaggio urbano vissuto innanzitutto dai residenti e vivere come loro, non come alieni di passaggio.
E’ vero che le amministrazioni locali in tema di turismo hanno in qualche modo le mani legate di fronte al potere centrale. Il turismo è pur sempre materia di competenza concorrente, cioè condivisa tra Stato e Regioni. Questo non è un vantaggio per nessuno ed è fonte di continuo contenzioso. Ma è anche vero che gli enti locali hanno la possibilità di dare dei limiti alle concessioni e, soprattutto, vigilare sull’abusivismo e il rispetto delle leggi e dei regolamenti locali.
La questione non può essere ridotta a una contrapposizione tra imprese turistiche e titolari di affitti brevi, quanto piuttosto produrre una visione più allargata su come si possa vivere a Firenze, considerando tutte le componenti sociali e territoriali. Pensare che Sua Maestà il Turismo sia l’unico motore di sviluppo – operato da imprese e residenti “redditieri” – è sbagliato e rischioso. Il rischio più immediato (l’abbiamo sotto gli occhi) è che turisti cattivi e residenti cattivi producano un modello cosiddetto delle cavallette, che si mangiano tutte le risorse disponibili.
L’altra visione è quella del modello del “lichene”, quando due organismi viventi collaborano e convivono. Il primo passo da compiere è quello di considerare i turisti non come alieni da sfruttare ma come residenti temporanei. Serve tempo e dialogo tra le tutte parti.
Gian Luigi Corinto, docente di Geografia e Marketing agroalimentare nell’Università di Macerata, consulente Aduc