L’INTERVENTO: IL PROBLEMA DELLE FONTI NELLA GUERRA DI GAZA

Sul conflitto Israele-Hamas, qualcuno mi faceva notare che mi ostino a difendere l’indifendibile, cioè il diritto di Israele a difendersi. Intanto inizierei a pormi una domanda a proposito di informazione: perché ogni giorno dopo il 7 ottobre i tiggi di tutte le televisioni raccontano quello che succede a Gaza, come se di guerre c’è solo quella. Già questo potrebbe essere un indizio. Ho qualche dubbio che i manifestanti pro-Palestina, che ogni sabato scendono nelle strade a manifestare, a Torino lo hanno fatto addirittura durante la settimana, sono a conoscenza della verità sulla guerra tra Israele e Hamas.

Non è facile avere le notizie “giuste”. Io da tempo seguo alcuni canali che mi sembrano obiettivi a cominciare dal blog di atlanticoquotidiano. Recentemente Federico Punzi si occupa dell’informazione su Gaza. “Non è verosimile, infatti, che dopo tutte le bufale in cui sono inciampati in questi due anni, storiche testate e grandi network continuino a bersi, senza esercitare la minima cautela, le balle propagandistiche diffuse da Hamas attraverso le versioni a velocità della luce di fantomatiche “autorità di Gaza”. (Spari sulla folla a Gaza? Un altro giorno dell’infamia per i media occidentali, 4.6.25, atlanticoquotidiano.it) Peraltro ci sarebbe da indagare su chi governa a Gaza, sempre sullo stesso giornale, lo ha fatto Costantino Pistilli (Quale Palestina volete riconoscere? Hamas e gli altri provano a riorganizzarsi, 31.5.25) Il giornalista si interroga su chi rappresenta davvero i palestinesi oggi, A chi bisogna rivolgersi? Anp, Hamas e poi a una miriade di gruppi terroristici che infestano Gaza e la Cisgiordania.

Lo studio cerca di fare un quadro dei vari gruppi e soprattutto dei capi che hanno preso il posto di quelli che sono stati eliminati dall’esercito israeliano. Oltre ad Hamas ci sono almeno 15 gruppi armati che operano nella Striscia. “Alcuni sono legati all’Iran. Come la Jihad Islamica Palestinese (PIJ) resta la seconda forza più potente a Gaza. Conta su circa 10.000 combattenti e riceve milioni dall’Iran. I suoi vertici – Ziyad al-NakhalahMuhammad al-Hindi e Akram al-Ajouri – sono all’estero”. Pistilli fa l’elenco dettagliato di chi opera. Concludendo il suo studio, il giornalista, si chiede: Quale Palestina si vuole riconoscere? Chi rappresenta oggi davvero i palestinesi? A chi rivolgersi? Tra quei “figli di cane di Hamas” (cit. Abu Mazen) e Fatah c’è, e c’è stata, una guerra sanguinosa che va avanti da quasi vent’anni. Quale Stato palestinese si vuole riconoscere, dunque? Quello di Mahmoud Abbas, presidente dell’ANP, mai rieletto da quasi vent’anni? Quello degli autori del massacro del 7 ottobre? Quello per cui lo status di “rifugiato” è una rendita? Quello delle pedine dell’Iran? Stando alla Convenzione di Montevideo del 1933, standard giuridico internazionale sul riconoscimento degli Stati, devono essere rispettati quattro criteri: popolazione permanente, territorio definito, governo e capacità di relazioni con altri Stati. Quale Palestina ad oggi li soddisfa tutti? Chiamarla Stato non basta”. All’inizio del conflitto, schierandomi con Israele, senza se e senza ma, scrivevo che il Governo di Netanyahu combatte due guerre: una contro i terroristi di Hamas e l’altra contro i Media internazionali e il politicamente corretto.

È quello che ancora oggi sottolinea il direttore di Atlantico, c’è una sola spiegazione possibile: una volontà ben precisa di sabotare lo Stato ebraico e fiancheggiare Hamas. Punzi, riporta l’ultimo caso che rischia di diventare uno dei più eclatanti. “Domenica scorsa il mondo si è svegliato con la notizia di un altro presunto massacro di civili palestinesi frettolosamente attribuito a Israele. La fonte? Il solito, immancabile Ministero della sanità, ospedale o medico di Gaza. In tutti i casi, la fonte è Hamas, lo sanno tutti ma tutti scelgono di ritenerla attendibile. Stavolta, per di più, pare che i trenta palestinesi uccisi fossero in fila in attesa di ricevere aiuti umanitari. Davvero disumano, se fosse vero. Reuters, Washington Post, Cnn, Bbc, tutti hanno sparato titoli inequivocabili senza pensarci due volte, senza la minima cautela”. Certamente era necessario più cautela, in un teatro di guerra, non è facile, a volte impossibile verificare i fatti in tempo reale e gli innumerevoli precedenti, tipo l’attacco all’ospedale Al-Ahli del 17 ottobre 2023 avrebbero dovuto suggerire.

Ovviamente è seguita la pronta indignazione del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres e dei leader europei, che non perdono occasione per puntare il dito contro Israele e intimargli di fermarsi, quindi rinunciare a sconfiggere il suo nemico e, anzi, di premiarlo riconoscendo un non meglio precisato “Stato palestinese”. Punzi cita il presidente Mattarella che recentemente ha pronunciato un discorso, presumibilmente influenzato dalle cronache distorte di quelle ore, in cui in sostanza incolpava Israele della “fame disumana” a Gaza. “È disumano che venga ridotta alla fame un’intera popolazione, dai bambini agli anziani: l’esercito israeliano renda accessibili i territori della Striscia all’azione degli organismi internazionali per la ripresa di piena assistenza umanitaria alle persone”. Tutto sbagliato: “non è Israele che “affama” i palestinesi, ma Hamas, che come ormai dovrebbe essere chiaro a chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale lucra sui morti e sulle sofferenze della popolazione di Gaza, dal momento che più ce ne sono, più aumentano le pressioni occidentali su Israele. Scommessa vinta”. Mattarella sbaglia ancora perché non spetta a lui, ma al governo spingere per il riconoscimento di uno Stato palestinese, che ad oggi sarebbe un premio alle atrocità di Hamas. Tornando al massacro, sono bastate poche ore perché la versione del massacro iniziasse a scricchiolare, ma ovviamente nessuna retromarcia da parte degli stessi media che avevano già emesso la sentenza di condanna nei confronti di Israele. Tuttavia, scrive Punzi, “ad oggi non è nemmeno chiaro se vi sia stato un massacro, figuriamoci se Israele ne sia responsabile. Le Forze di difesa israeliane (Idf), la Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta da Stati Uniti e Israele, e l’ambasciata Usa a Gerusalemme hanno tutti smentito categoricamente che civili siano stati colpiti presso il centro di aiuti umanitari di Rafah. “Quei resoconti erano falsi”, ha tuonato lunedì l’ambasciatore Usa Mike Huckabee. In pratica atlantico da qualche tempo cerca di fare chiarezza su questa guerra, che certamente è sporca, non potrebbe essere diversamente. l’Idf intanto ha pubblicato un video ripreso da un drone in cui si vede un militante di Hamas a volto coperto sparare sui civili. Ed ha precisato: “Stamattina, durante lo spostamento della folla lungo i percorsi designati verso il centro di distribuzione degli aiuti – a circa mezzo chilometro dal centro – le truppe dell’Idf hanno identificato diversi gruppi sospetti che si dirigevano verso di loro, deviando dalle vie di accesso designate. Le truppe hanno dunque sparato colpi di avvertimento, ma i sospettati non si sono ritirati, sono stati sparati altri colpi in aria per impedire che avanzassero verso le nostre truppe”. Ma questo i nostri tiggì non lo hanno mai detto. Dunque, c’è un problema delle fonti. “L’amministrazione è a conoscenza di queste notizie e le stiamo verificando. Perché purtroppo, a differenza di alcuni media, non prendiamo per buona la parola di Hamas “, ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt.

Il problema è che questi media prendono per buone le versioni e le cifre di “fonti sanitarie locali”, o al più si affidano a corrispondenti locali, entrambi espressione diretta o sotto il controllo di Hamas”. Pertanto, “Non ci vuole un genio per capire che Hamas sta cercando di sabotare il nuovo sistema di distribuzione degli aiuti umanitari. Il nuovo sistema, infatti, gestito direttamente da Stati Uniti e Israele, mira a togliere dalle mani di Hamas la gestione degli aiuti, una delle sue rimanenti fonti di finanziamento e influenza a Gaza. Infatti, c’è un aspetto della questione del tutto trascurato nei resoconti dei media mainstream, eppure centrale proprio per le sorti del conflitto. Se infatti si riuscisse a sottrarre la distribuzione degli aiuti al controllo di Hamas, ci sarebbe una concreta possibilità di porre fine al loro potere nella Striscia e, quindi, di porre fine alla guerra”. Hamas preferisce che la popolazione civile muoia di fame piuttosto che lasciare che il sistema americano di distribuzione degli aiuti abbia successo.

DOMENICO BONVEGNA

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