
Il 26 aprile 2025, un boato scuote il porto iraniano di Bandar Abbas, snodo strategico per le rotte commerciali nel Golfo Persico. Un incendio in un container contenente perclorato di sodio, una sostanza chimica ossidante, provoca un’esplosione devastante: oltre 70 morti, più di 1.200 feriti, due crateri dal diametro di 50 metri, edifici sventrati a chilometri di distanza. Le autorità parlano di negligenza, mancata osservanza delle normative e tentano di contenere l’informazione.
Molti dei deceduti erano lavoratori portuali, alcuni senza documenti, privi di ogni tutela. In un Paese segnato da repressione e scarsa trasparenza, la stampa estera denuncia tentativi di censura.
Ma l’Iran non è l’Italia, si dirà. Eppure, l’Italia — Pesaro, in particolare — potrebbe non essere poi così lontana da una tragedia evitabile.
Nel capoluogo marchigiano, sta per essere autorizzato un impianto di liquefazione di gas naturale (GNL), cui si oppongono la società civile e la politica responsabili, nonostante l’indifferenza mostrata finora dalle istituzioni. A differenza dell’impianto iraniano, collocato in un’area industriale relativamente distante dai centri abitati, il sito previsto a Pesaro si trova in zona urbana, a soli 120 metri dalle prime abitazioni, a poche centinaia da scuole, attività artigianali, imprese industriali in una zona sismica e alluvionale, al massimo coefficiente di pericolosità (R4).
Il GNL viene stoccato a -160 °C; una sua fuoriuscita può generare nubi infiammabili o effetto BLEVE (Boiling Liquid Expanding Vapor Explosion). Studi autorevoli indicano che in caso di incidente, l’onda d’urto o l’incendio potrebbero estendersi per centinaia di metri, in un raggio che include zone densamente abitate, fino a raggiungere il centro storico. Finora è rimasto inascoltato l’appello da parte degli eminenti esperti del Comitato etico scientifico di Europa Verde, presieduto dal prof. Sergio Ulgiati, ricercatore nei campi della chimica ambientale e dell’economia circolare.
Il caso di Bandar Abbas, sito edificato lontano dall’abitato, pone gravi domande in termini di sicurezza dei lavoratori: un punto cruciale che a Pesaro viene completamente sottovalutato. In Italia, la sicurezza sul lavoro è regolata dal D.Lgs. 81/2008, e l’impianto dovrebbe rispettare la Direttiva Seveso (D.Lgs. 105/2015) per la prevenzione di incidenti rilevanti. Ma i dubbi sollevati dai cittadini e dal Comitato PESARO: NO GNL sono pesanti: il Piano di Emergenza Interno risulterebbe ancora quello del vecchio deposito di carburanti, non aggiornato al nuovo impianto; le valutazioni dei venti dominanti assenti; le planimetrie incomplete.
«Dopo la tragedia di Bandar Abbas – affermano in una nota Roberto Malini e Lisetta Sperindei del Comitato PESARO: NO GNL – è evidente che neppure la distanza dal centro abitato mette al sicuro, se la filiera industriale è opaca, i lavoratori non tutelati e le condizioni ambientali non rispettate. A Pesaro, l’impianto sorgerebbe nel cuore della vita urbana, in un’area già fragile. Il rischio sarebbe quotidiano».
Gli attivisti proseguono ricordando una tragedia che in troppi hanno dimenticato: «Riguardo alla tutela dei lavoratori, è strano come la Fox Petroli non abbia fatto tesoro di tragici incidenti del passato, fra cui la tragedia del 2006, che colpì l’operaio Giuseppe Pagliarone nella sede di Punta Penna. Investito da una fiammata, l’uomo fu ustionato sul 70% del corpo e morì dopo 14 giorni di agonia».
Il gas liquefatto non ha odore, non ha colore, non avvisa. Una fuga può saturare l’aria prima ancora che qualcuno se ne accorga. «Non vi è nazione al mondo – concludono Malini e Sperindei – in cui un impianto di liquefazione del metano, una delle strutture industriali più pericolose in assoluto – sia costruita accanto alle case, in una zona a elevatissimo pericolo alluvionale e sismico. Basta un guasto, un errore umano o un fenomeno alluvionale e il metano liquefatto si può sprigionare, può incontrare una scintilla ed ecco che la città viene colpita da fuoco e onde d’urto per centinaia di metri, anche uno o due chilometri. Allora si possono solo contare le vittime e constatare la distruzione. La storia insegna che i disastri industriali non attendono i grandi numeri per manifestarsi: bastano pochi minuti di disattenzione, una valvola difettosa, un corso d’acqua che esondi, una scossa di terremoto».
A Bandar Abbas, la linea rossa è stata superata. A Pesaro, è ancora tracciata sulla carta. Un’interrogazione parlamentare presentata da Europa Verde attende risposta, mentre Procura e Prefettura stanno valutando i rischi del progetto e la Commissione europea indaga sul perché sia stato autorizzato dal Ministero dell’Ambiente nonostante le criticità irrisolte e la carenza di analisi dei pericoli. Il Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, presentato dal Comitato con l’Associazione “Iniziativa per l’Europa e l’Ambiente”, assistiti dall’avvocato Andrea Filippini, chiamerà presto il Consiglio di Stato a decidere se annullare l’autorizzazione governativa. Il tempo per cambiare rotta, tuttavia, si restringe. E questa volta — a differenza dell’Iran — i cittadini vogliono vedere rispettati i loro diritti alla sicurezza, alla salute e alla vita.