Il trucco è servito: il servizio Sanitario nazionale è gratis…finché non ti ammali

L’attività libero-professionale intramuraria, partorita nel 1999 come rimedio miracoloso contro le liste d’attesa, oggi è un boomerang che svuota il pubblico invece di alleggerirlo. In almeno 70 aziende sanitarie e ospedali su circa 200, le visite private schiacciano quelle pubbliche, superando il tetto del 50% e trasformando gli ospedali in bazar a pagamento.

I dati Agenas per il 2023 confermano: l’intramoenia ha fruttato 1,286 miliardi di euro, con ricavi in boom del 11,7% annuo e oltre 4 milioni di prestazioni private – un’industria che galoppa mentre il SSN ansima.

Circa una visita su dieci in ospedale è privata, e il 53% di queste si sbriga in meno di 10 giorni, contro i 80-100 giorni di purgatorio nel Servizio Sanitario Nazionale.

Gli esempi? Un campionario di assurdità che farebbe arrossire un mago delle illusioni. A Trento, le visite ginecologiche private sono l’83% del totale – perché aspettare quando puoi pagare per un consulto VIP? Nelle Marche, le urologiche seguono lo stesso copione squilibrato; al Brotzu di Cagliari e al San Camillo di Roma, le prime visite cardiologiche private volano oltre il 70%, lasciando il pubblico a rosicchiarsi le unghie.

E in Sicilia? Il copione si ripete, impietoso, i costi schizzano e le attese crollano solo se tiri fuori il portafoglio. Gli esempi?  All’Azienda Ospedaliera Universitaria “G. Martino” di Messina, attesa di 90-120 giorni nel SSN (dati Sovracup 2024), ma ti ricevono in 10-15 giorni da privato, una visita cardiologica da 36€ di ticket arriva a 100-150€ in ALPI, per dire. Non va meglio negli altri ospedali messinesi,

Al Papardo, l’intramoenia, viene usata come un “salvagente” per le liste, ma è un salvagente bucato: da 120 giorni di purgatorio SSN per una visita cardiologica, con ticket a 36€, a 10-30 in privato a 100-150€, e con ecografie addome da 40€ a 120-200€. In pratica, l’intramoenia è un acceleratore selettivo: dimezza i tempi per chi paga il premium, ma lascia il resto a marcire, gonfiando i costi privati del 200-300% sul pubblico, un salasso che arricchisce pochi, mentre il SSN sanguina.

Il paradosso economico è una coltellata al sistema: i medici (e con loro infermieri e operatori sanitari) incassano stipendi pubblici netti medi di 2,500-3,000 euro al mese, tra i più bassi d’Europa, con specialisti italiani a 142 mila dollari PPP annui lordi, sopra la media OCSE ma 20-30% sotto Germania, Francia e Olanda, e netti erosi da tasse al 43-46% (OCSE 2025). Eppure, con l’intramoenia diventano un “bonus survival”: 300-500 mila euro annui lordi extra, con picchi oltre i 700 mila, roba da trader, ma spesso l’unica via per un reddito dignitoso in un SSN sottofinanziato. Non è solo avidità: è il cerino acceso dallo Stato, ossessionato dal pareggio di bilancio, che scarica su medici e pazienti l’integrazione di salari cronici. In Europa, stipendi pubblici più generosi evitano questo “doppio binario”, trattenendo talenti senza salassi privati.

E il cittadino? Paga quattro volte, come un sucker in un casinò truccato:

Con le tasse, che coprono il 76-78% del Fondo Sanitario Nazionale: 136,5 miliardi nel 2025, un record anemico.

Con i ticket, che nel 2024 hanno succhiato 3,2 miliardi alle tasche delle famiglie un balzello che sale del 9,5% annuo, come se la malattia non bastasse.

Con l’intramoenia, che nel 2024 ha incassato 1,45 miliardi (proiezione Corte dei Conti su trend 2023), di cui il 60-65% finisce dritto nei portafogli dei medici – un dividendo privato su infrastrutture pubbliche.

Con le assicurazioni private, stipulate da circa 18 milioni di italiani (il 30% della popolazione, in boom del 25% in cinque anni), che hanno pompato oltre 42 miliardi di euro nel 2024, un’industria che ingrassa mentre il pubblico si sbriciola.

Il quadro macro? Un disastro certificato: l’Italia spende per la sanità pubblica solo il 6,3% del PIL, fanalino di coda nel G7 e sotto la media OCSE del 7,1%.

La spesa totale (pubblica + privata) arranca all’8,8-9%, ma il trucco è servito: il peso è slittato dalle tasse progressive ai bilanci familiari, una privatizzazione strisciante che premia medici, cliniche e assicuratori, mentre il cittadino medio sborsa due volte per lo stesso diritto, una tantum con le imposte, e di nuovo al banco del privato. Risultato? Un meccanismo perverso, oliato alla perfezione per chi incassa miliardi, ma letale per il vero protagonista: il paziente, relegato a cliente occasionale.

In sintesi: l’intramoenia è il simbolo putrido di un SSN strozzato dal sottofinanziamento, dove il cittadino versa quattro volte per un diritto universale. Un banchetto per camici bianchi (costretti a servirsi da soli), ospedali e polizze, ma un salasso netto per la collettività. La radice? Non solo organizzativa, ma politica ed economica: il feticcio del pareggio di bilancio che amputa la spesa pubblica. Finché non si capovolge questa logica da quattro soldi, il SSN non declinerà, affonderà.

I politici, però, queste cose non ve le raccontano mai. Preferiscono urlarsi addosso in televisione, litigare (fare scena), su chi ha preso di più o su chi ha fatto più selfie con i camici bianchi, e quando sono spalle al muro, tirano fuori

il più grande spauracchio: “Eh ma abbiamo un grande debito pubblico” (come se uno Stato che emette la propria moneta, o che potrebbe farlo, potesse mai fallire come una famiglia o un’azienda. Il default volontario non è un destino: è una scelta politica). “E c’è il pareggio di bilancio in Costituzione!”,
(che loro stessi hanno votato nel 2012, sapendo perfettamente che avrebbe tenuto la sanità, la scuola e le infrastrutture perennemente a dieta). Risultato? Invece di spiegare ai cittadini che il sistema è stato costruito apposta per farti scegliere tra aspettare sei mesi o pagare 300 euro lo stesso medico per la stessa prestazione, continuano a recitare la solita commedia delle responsabilità scaricate.

La prossima volta, chiunque bussi alla vostra porta per un voto, fategli una domanda sola, semplice semplice: “mi spiega perché lo stesso dottore che nel pubblico mi dà appuntamento a Natale, in intramoenia mi visita la settimana prossima facendomi pagare dieci volte di più… e perché lei non ha mai avuto il coraggio di dirlo chiaro in questi anni?”. E mentre ci siamo, mi spiega anche come mai il “non possiamo stampare soldi” vale solo per chi ha rinunciato alla sovranità monetaria entrando nell’euro, oppure per chi, pur avendo ancora la possibilità teorica di riprendersela, fa finta di non averla più per continuare a tenere la sanità, la scuola e i salari pubblici sotto ricatto.

Perché è molto più comodo dire “non ci sono i soldi” che ammettere “non vogliamo spenderli”.

Ecco, quella sarebbe una campagna elettorale vera. Il resto è solo teatro.

bilgiu