Il basket a modo mio: salviamo la Viola Reggio Calabria

Tra un ricorso e l’altro da qualche settimana nel mondo del basket e non solo, si parla del caso Viola Reggio Calabria Ssd, con una disinvoltura raggelante.

Per quanti non hanno ben chiara la vicenda ricordiamo che Viola Reggio Calabria, storica società di pallacanestro è stata punita dagli organi di giustizia sportiva, per via di quella fidejussione non corretta che ha spinto la Corte Federale di Appello a confermare le decisioni del Tribunale Federale che, di fatto, retrocedono la storica compagine alla Serie B. Chiaro? Tutt’altro. Per quelli che vanno oltre le cose però ci sono dettagli che lasciano perplessi su regole, controlli e decisioni: ma davvero ci vogliono tanti mesi per controllare una fidejussione bancaria o assicurativa? La risposta è ovviamente: no. Il caso Viola porta a galla una grande  problematica tipicamente italiana: non funziona il sistema di controllo. Perché? Dovremmo interrogarci prima di tutto su questo: chi controlla il controllore?

A prescindere dal fatto che la fidejussione falsa o meno non giustifica dieci mesi di tempo per verificare una cosa di una semplicità disarmante. Emblematica perplessità.

Ci mancava pure questa tegola per mettere di nuovo in discussione la Federazione pallacanestro. Come dimenticare il caso tesseramento stranieri nella scorsa C Silver e Gold?

Atleti che giocarono partite su partite pur senza regolare permesso di soggiorno e che dunque falsarono – disputandole – gli esiti di gare e a cascata dello stesso campionato ma che fu liquidata dagli organi federali con squalifiche lievi per i presidenti di quelle società non in regola con i tesseramenti. Le società sportive che usufruirono delle loro prestazioni sportive non subirono penalizzazioni. E stiamo parlando di atleti professionisti: può mai avere una logica ripensando ai 34 punti tolti alla Viola per via di quella fidejussione?

Nello sport si dice che il campo, solo il campo, è il vero giudice

Qual è allora il confine tra astuta gestione e furbizia? Perché questo sport è immerso fino al collo nell’assenza di regole? Che si squalifichi il presidente per due, tre, cinque anni ma perché prendersela con gli atleti e lo staff tecnico? Perché condannare una città? No, peggio ancora, la maglia che ha più storia e suggestione, che ha un vecchio profumo di poesia. Se davvero esiste una Federazione che ama lo sport, i tesserati, gli appassionati, insomma il cuore, l’anima, avrebbe dovuto salvaguardare il cuore Viola dal primo censore che passa. La triste verità è che il basket italiano, stagione dopo stagione perde di credibilità, è bene che il presidente Gianni Petrucci ne prenda atto. Lo so che è un discorso che non garba i vertici, che porta più in là: milioni di euro, arroganza, cinismo. Elementi di valutazione che hanno preso il posto di competenza, civiltà, rispetto. Non si può far finta di nulla per esempio sul doping delle scommesse che imbeve lo sport in genere, ma che nel calcio e nel basket vive stagioni floride senza che qualcuno (seriamente) intervenga. Non prendiamoci in giro: non possono essere quell’operazione di polizia ogni due o tre anni, a sanare la scabrosa situazione. Che ci sia qualcosa di poco chiaro  è sotto gli occhi di tutti, che a molti sta bene, purtroppo: è un doping che non ha a che fare con l’ematocrito, non è sottoposto a controlli. Dilaga. è la sola legge. I soldi.

Magari per qualche smemorato di Palazzo si tratta di semplici paste di mandorla e nulla più.

D’accordo federali: i soldi nel calcio, nel basket ci sono sempre stati, ma anche il senso del limite che adesso non c’è più. Le regole, nemmeno. Per il momento paga la Viola. Peggio, una città, una bellissima tifoseria. Una attenta riflessione è il minimo, e bello sarebbe che si concludesse con un colpo di scopa che ci liberasse di tanti personaggi indesiderati. Ma l’avranno mai questo amore di verità?