Insulti e gioco violento, dov’è finito il diritto a uno sport pulito?

Quale elemento unisce in maniera sorprendente il basket, la lotta di classe, l’educazione sportiva e non? Quale elemento cioè salda buona parte della nostra esperienza quotidiana nella programmazione di un tranquillo sabato messinese di febbraio? L’idea che quello che uno cerca di fare non sia infantile ma educativo verso atleti e spettatori. E che si rispettino le regole civili e non quelle dettate dall’ambiente nel quale si cresce. Salvare una piccola forma di apparenza dovrebbe riguardare anche coloro che non riconoscono il rispetto per l’avversario ma solo l’uso di atti scorretti pur di vincere. Il dibattito immaginiamo sulla lealtà sportiva si presta a mille interpretazioni dopo quello che è accaduto in Milan – Juventus (giustificare il nascondere del gol da parte di un giocatore, specie se è il capitano della Nazionale, equivale a educare ai giovani: mai siate leali con gli avversari!), ma forse è il caso di limitarci a quello che spesso accade nei palazzetti, circoscrivendo l’analisi alle elementari norme di buon senso. Quello che vediamo è spesso uno sport violento dove chi allena (!) educa i propri giocatori a colpire l’avversario per fargli male al fine di renderlo docile, remissivo, pauroso. Se tale comportamento è da deprecare tra i professionisti, pensate come si possa tollerare tra i ragazzi. Infatti non si può, non si deve assolutamente far passare il messaggio che chi si comporta da bulletto da quattro soldi possa alla fine passarla sempre liscia e così vincere la partita. Direte: e l’arbitro non dovrebbe tutelare chi subisce tale trattamento? In teoria sì, ma nella pratica spesso non accade, si tende a tollerare insulti, gioco violento e a far finta di non vedere ciò che è evidente. Si ha paura di decidere perché le gare spesso si svolgono in campetti dove il pubblico è formato da “rumorosi maleducati” a cui piace non rispettare avversari e arbitri. E poco importa se si tratta di una sfida valida per tornei giovanili… Il fatto più grave è comunque che gli organi preposti preferiscono far finta di nulla invece di intervenire e sanzionare, una volta per tutte, chi si comporta in maniera poco civile. E come se ormai comunicasse soltanto attraverso un alfabeto primordiale fatto di insulti, di applausi, di gomitate al ventre, di ciarlatanate. Invece di evolvere, lo sport come purtroppo la politica è in piena fase regressiva. E a prescindere da come uno intenda la cultura, compresa quella sportiva, a prevalere sono nettamente le valutazioni negative, rispetto a quelle positive. Chi scrive è convinto che per vincere – sul campo e sugli spalti – non si deve perdere di vista la decenza; altri che pur di vincere è giustificabile qualunque mezzo, anche quello scorretto. Gli eventuali genitori fautori di questo tipo di scelta tattica sono avvertiti. Sbagliare è umano, perseverare diabolico… e in quel caso, peggio per loro.