CONTRATTO: Evitare la catastrofe annunciata

A leggere la dichiarazione ufficiale sulla stato dell’arte della trattativa contrattuale del Segretario generale del nostro sindacato unico, la FNSI, che vuole cercare di rassicurare la categoria tutta, si trasecola. Sembra scritta dagli editori. Visto che invece è opera di Franco Siddi, appare una bella “giustifica” (come si diceva a scuola) per gli editori.
Eh, poverini. La crisi incombe…Già ma negli anni passati, quando gli editori avevano cospicui introiti e i manager, e non solo, venivano liquidati a suon di milioni di euro? Nessun accenno. Neanche al fatto che i padroni della più grande casa editoriale di questo Paese, la RCS, avevano intenzione di consegnare un bel bonus al loro manager tagliatore di teste (per altro un esempio già seguito in altre case editrici). Certo che ora il contratto è difficile! Dopo tutti gli errori commessi dal sindacato, ci vorrebbe Mandrake per raddrizzare la trattativa e rimediare ai danni pluriennali di questa classe dirigente. Ecco che noi diciamo che se ne deve andare. Via! Lascino la loro poltrona a qualcuno che potrebbe ribaltare la situazione, scoprendo quegli altarini degli editori che loro non vogliono assolutamente scoprire. Bisogna proprio rinfrescare la memoria a tutti (anche se ogni volta che noi lo ricordiamo veniamo regolarmente insultati): il primo passo celere verso il baratro di oggi è stato dato dalla firma dell’ultimo contratto. Allora quasi nessun editore era in crisi, bei guadagni, manager e direttori strapagati, eppure il sindacato tolse ogni e qualsiasi paletto alla richiesta di stato di crisi. Cioè se prima per poter dichiarare lo stato di crisi bisognava dimostrare di avere almeno due anni di bilancio in rosso, da quel momento sarebbe bastato prevedere un calo di vendite o degli introiti di pubblicità o qualsiasi altro evento ipotizzabile (meglio, inventabile con poca fantasia) nel futuro prossimo per chiedere, e ottenere, lo stato di crisi. E, guarda caso, proprio da quel momento gli stati di crisi veri o fittizi che fossero si sono susseguiti uno dopo l’altro. Unico vero scopo eliminare i giornalisti che costano senza d’altra parte assumere nuove leve. E Franco Siddi per convincere a ingoiare un boccone amaro parlava di “patto generazionale”. Ma quale patto? Migliaia espulsi dalle redazioni, in cambio di poche decine di assunzioni.

Ed ecco come quindi si arriva ai numeri da apocalisse citati dal Segretario. Ma mentre si precipitava in caduta libera, il sindacato dov’era? Nella lettera Franco Siddi dichiara che molti colleghi terrorizzati non si rivolgono nemmeno più al sindacato. Noi abbiamo raccolto molte testimonianze di colleghi che non sanno se avere più paura degli editori o dei danni che può fare il loro sindacato. Certo, per quello scellerato contratto ci fu un referendum. Ma si trattò, come hanno capito in molti, di una consultazione addomesticata. Basti a dimostrarlo il fatto che persino i freelance risulterebbero aver approvato un contratto che di fatto aveva buttato via tutta la parte che li riguardava! I colleghi della Rai poi arrivano sempre in massa a sostenere la dirigenza, tanto il Contratto Nazionale non li riguarda proprio. Loro si fanno poi le loro trattative ad hoc con l’azienda. E veniamo alle testimonianze della famigerata giornata della riunione della Commissione Contratto, lo scorso 17 aprile, e i testi letti qua e là non possono che far pensare quanto in fretta stiamo progredendo verso la fine non solo dei giornalisti ma anche dello stesso giornalismo. Collaboratore "economicamente dipendente", Carneade chi era costui? Non si capisce bene da dove salti fuori questa suggestiva definizione, la palla rimbalza tra sindacato e Ordine. Fatto sta che gli editori, veloci come il fulmine, hanno sposato la brillante idea e ne hanno pure fissato i termini. E’ il giornalista che guadagna (ben) tremila euro. All’anno e lordi!! Quindici pezzi al mese, 180 all’anno, per un bel gruzzoletto (come no!!), 16 euro a pezzo. Sempre lordi. Ma c’è qualcuno che si chiede dove andrà a finire la qualità dell’informazione?
Come si fa con quel ritmo e a quelle cifre a fornire un servizio professionale e corretto a tutela del cittadino utente? Come si fa a controllare le fonti, a rispettare etica e deontologia, dovere di un bravo giornalista? E un vicesegretario afferma che oggi c’è chi fa 40/50 pezzi al mese per la stessa testata. Da rimanere basiti. Ma questa dirigenza che conosce queste situazioni perché non ha ancora preteso l’assunzione ex articolo 1? E se l’azienda si rifiuta perché non si è rivolta a un avvocato per ottenere dai giudici queste assunzioni? Il segretario però va oltre e precisa le caratteristiche del collaboratore “economicamente dipendente”. Guarda caso assomigliano incredibilmente alle caratteristiche dell’articolo 2. Ecco scoperto il gioco degli editori che vogliono da anni abolire gli articoli 2. E il sindacato che fa? Invece di fare il suo dovere, cioè pretendere la stabilizzazione tramite l’articolo 2 tout court, li asseconda. Bene ha fatto chi ha contestato la dirigenza in Commissione contratto e ne ha chiesto pure le dimissioni. E poi come mai si parla di tariffe? Sta a vedere che nel contratto ora ci si occupa anche di equo compenso (anche se qualcuno dei dirigenti dice che non è vero!). Si sa mai che il nuovo sottosegretario all’editoria, Luca Lotti, più illuminato del nostro sindacato, capisca che per permettere al cittadino utente di ricevere un’informazione seria e non guidata dai poteri forti, bisogna mettere i giornalisti nelle condizioni di guadagnare bene. E non solo a quella strana specie di collaboratore “economicamente dipendente”, ma anche a tutti i freelance, cioè a tutti i lavoratori autonomi, deve essere garantito un compenso decente. Forse Lotti conosce l’antica, ma sempre attuale, regola dettata dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ), regola che la nostra dirigenza sindacale ha scordato: “Chi lavora fuori dalle redazioni deve “costare” agli editori più di un contrattualizzato”. Loro lo dicono da vent’anni! E allora, FIEG e FNSI, devono aver pensato: meglio prevenire, ed ecco quindi una proposta che include minimi vergognosi e sicuramente non degni di un serio professionista, tanto per non sbagliare. Speriamo che il sottosegretario Lotti capisca l’inganno e metta un freno alla caduta libera del giornalismo decretata da FNSI e FIEG. Altra stravaganza del sindacato: piazzare i Co.Co.Co. ben dentro al contratto e fissare pure un tot di pezzi da fare nell’arco del mese. La dirigenza non parla più di riconoscimento di status di articolo 1 o 2, ma si impegna a cercare il riconoscimento dello status del CoCoCo. Di che stiamo parlando?
Ma in futuro quale sarà quell’editore che avendo a disposizione una manovalanza a bassissimo costo, assumerà ancora un articolo 1 o 2? I Co.Co.Co. non devono assolutamente entrare nel contratto dei giornalisti. La proposta di Senza Bavaglio è eliminare tout court la figura dei Co.Co.Co. dal contratto giornalistico. Chi fa lavoro di redazione travestito da Co.Co.Co. o da falsa partita IVA deve essere stabilizzato come articolo 1 (redattore con obbligo di orario) o articolo 2 (giornalista senza obbligo di redazione).
Il tentativo degli editori è quello di cancellare gli articoli 1 e 2, non assumere più nessuno con la vecchia formula e inquadrare tutti come Co.Co.Co. E il sindacato non se ne accorge o fa finta di non accorgersene?
E dove andrà a finire l’INPGI, se il trend sancito sarà quello di contributi di entrata sempre più scarsi e pensioni in uscita sempre più numerose?
EX FISSA
Dieci anni di attesa per ricevere quei soldi maturati a fine rapporto. Quei soldi corrispondono a un tot di mensilità a seconda del “grado” acquisito al momento della risoluzione del rapporto. La ex fissa viene erogata dall’INPGI che funge solo da gestore di un Fondo FNSI/FIEG in cui gli editori dovrebbero, per contratto, versare regolarmente denaro.
Il “buco” degli editori ormai ha raggiunto cifre da capogiro, centinaia di milioni di euro… Quindi la ex fissa eliminanda est. Ma alcune domande sorgono spontanee e le rivolgiamo a chi parla di “fallimento della ex fissa” : come mai in tutti questi anni in cui il debito degli editori via via aumentava nessuno ha mai detto nulla? Perché nessuno mai una volta, in nessuna fase contrattuale, ha chiesto agli editori di sanare il debito? Come mai gli editori potevano bellamente non versare soldi nel loro fondo per la ex fissa senza che nessuno di questi dirigenti sindacali che ci governano da un’eternità si sognasse di sollevare il problema prima che fosse troppo tardi? Eppure fino a 4/5 anni fa gli editori erano ricchi, molto ricchi e avrebbero potuto pagare la loro quota agevolmente. La catastrofe della ex fissa – che ora viene pagata a distanza di dieci anni dal momento in cui finisce il rapporto di lavoro – è da addebitarsi solo ai nostri dirigenti sindacali che è ora di mandare a casa. Certo può apparire anacronistico difendere la ex fissa oggi, mentre più della metà dei colleghi – specie precari e freelance – si trova in condizioni economiche svantaggiate, ma non si possono buttare a mare diritti che un sindacato serio dovrebbe lottare per estendere a tutti.
Comunque i giornalisti della RAI la ex fissa la prendono subito dopo la risoluzione del rapporto di lavoro. Non saranno giustamente molto contenti di vederla cancellata d’acchito per gli errori di un sindacato imbelle. Molti colleghi dell’azienda di Stato che hanno votato questa dirigenza sindacale, speriamo si rendano conto del loro errore. A differenza del sindacato, suggeriamo ai colleghi che sono in lista d’attesa della ex fissa di rivolgersi a un giudice per accelerare i tempi. Non ci arrivano notizie invece di aggiornamenti sull’articolo 33. Unico del nostro contratto, che andrebbe eliminato. Intanto ci ha pensato la Cassazione. CASSAZIONE (sezione lavoro): in base all’articolo 4 della legge n. 108/1990 dichiarata la nullità della norma (fissata nell’articolo 33) del Cnlg che prevedeva, nel luglio 2002, la possibilità di licenziare il giornalista che avesse compiuto l’età di 60 anni e avesse conseguito un’anzianità contributiva di 33 anni. La Suprema Corte ha confermato le sentenze di merito del Tribunale e della Corte d’appello di Roma sancendo il diritto del lavoratore di rimanere in servizio fino all’età di 65 anni prevista per il conseguimento della pensione di vecchiaia. Il giornalista (redattore dell’Ansa) reintegrato nel posto di lavoro.
Nel frattempo, l’età per la pensione è passata a 70 anni. Quindi o l’articolo 33 si adegua oppure dovrà intervenire di nuovo la Cassazione. Lo dimostrano la quantità di vertenze vinte dei giornalisti che hanno chiesto di restare al lavoro fino a 70 anni.
Un tempo la possibilità di accedere alla pensione prima dell’età richiesta per legge, poteva essere un’opportunità per i giornalisti che avevano la possibilità di andare in pensione in anticipo. Oggi invece è diventata una jattura, perché viene utilizzata quotidianamente dagli editori per sbattere fuori dalle redazioni più giornalisti possibile, perché costano troppo, non importa poi chi farà il giornale e quale sarà la qualità dell’informazione, l’importante è liberarsi di chi costa. E ancora una volta ci si dimentica che sono proprio i giornalisti più anziani a versare dei bei contributi all’INPGI.
A PROPOSITO DI INPGI
Comunque sia, qualunque ipotesi o spiegazione del contratto di cui si legga in questi giorni, tutti affermano la necessità di un accordo che punti alla salvaguardia del nostro Istituto. Questa sì che è una buona notizia. Era ora. Già perché dopo averlo prosciugato a furia di accettare prepensionamenti e di firmare CIGS e Contratti di solidarietà, alla fine, probabilmente solo perché costretti dalla dirigenza dell’INPGI, i leader del nostro sindacato avranno pensato che va bene svendere la categoria ma mandare in malora pure l’Istituto e servirlo su un bel piatto d’argento all’INPS, forse non era proprio il caso. Almeno di questo dobbiamo rallegrarci.

Senza Bavaglio
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