COME PUò ESSERE DANNOSA L’INFORMAZIONE

di Orietta Antonini

Dopo la cattura dell’uomo che ha confessato l’omicidio, le prime notizie riportate da alcune testate giornalistiche contenevano informazioni ‘difettose’ al punto che si sono scatenate molte proteste tra colleghi soci di cooperative sociali e operatori dei servizi pubblici, riportate puntualmente anche sul sito www.forumsalutementale.it E’ stato scritto che l’assassino fosse in cura dai servizi psichiatrici e tale notizia ha anche trovato qualche appassionato che auspicava il ritorno dei manicomi. Ho il sospetto che dietro questa affrettata informazione – rivelatasi appunto errata – ci sia stato un atteggiamento non solo ingenuo e imprudente, ma anche volgare. Sarebbe da ingenui sottoporre una tesi investigativa priva di qualunque fondamento statistico: probabilmente c’è più attinenza tra pericolosità e pressione alta che tra pericolosità e disagio mentale. Sarebbe peraltro da imprudenti tentare di associare ‘profili’ di persone, o provenienze, o diagnosi ad elementi di pericolosità sociale, come peraltro già accaduto in passato, ad esempio, con alcune categorie tra cui gli extra comunitari; tanto varrebbe additare come pericolosi gli studenti universitari fuori corso, privi reddito, che vivono ancora con uno o entrambi i genitori. Sarebbe, ancora, da imprudenti – se la notizia non è adeguatamente verificata – riportare che l’omicida è in cura presso i servizi psichiatrici, perché, così facendo, si rende più difficile il lavoro di tutti coloro che ruotano intorno ai problemi della sofferenza mentale, dagli operatori del servizio pubblico a quelli del privato sociale – evidentemente sospetti, eccezionalmente colpevoli di non poter prevedere l’imprevedibile –, fino alle persone che del servizio hanno bisogno. Di cosa sarebbe colpevole una persona che ha una malattia o un disturbo mentale? E di cosa sarebbe colpevole chi cerca di prendersi cura delle persone con una sofferenza mentale? Imprudenze imperdonabili per chi si occupa di informazione e non si rende conto (o non si assume) della responsabilità della propria professione. A suscitare l’atteggiamento di paura, che fa auspicare un ritorno alle barriere dei manicomi, non c’è solo l’ottusità ma anche la cattiva informazione. Sarebbe invece volgare l’eventuale tentativo di ancoraggio mediatico con l’omicidio, avvenuto nei primi giorni di settembre, di una psichiatra di un centro di igiene mentale di Bari, accoltellata da un paziente. Da ciò che ho letto sempre sulla stampa (e, a questo punto, ammesso che sia vero), l’uccisione della giovane udinese è stata la conseguenza di un reato – un tentativo di rapimento a scopo di estorsione – non so quanto meditato ma verosimilmente pianificato, dove la vittima è stata scelta solo in quanto donna, e quindi più indifesa e più attaccabile. Che alla base di questa efferatezza vi sia una disfunzione non v’è dubbio, ma è un abuso utilizzare termini come ‘il folle gesto di un pazzo’, come se ciò fosse contemporaneamente un’assurda giustificazione e una diagnosi. Vi saranno certamente persone competenti a stabilire se l’omicida in questione abbia o meno malattie mentali.
Oltre al lutto e al dolore delle famiglie, oltre al ‘dovere di cronaca’, un’informazione di valore dovrebbe indurre riflessioni che riguardano le molte altre malattie della società che toccano tante sfere e riguardano tutti, ciascuno con le proprie responsabilità, dalla famiglia all’educazione formativa dentro e fuori le scuole, alla responsabilità di chi si occupa di informazione.