Che cosa significa, oggi, vivere in Italia? Quali emozioni, giudizi e aspettative animano il senso di appartenenza – o di distanza – degli italiani nei confronti del proprio Paese? In un’epoca segnata da incertezze globali, mutamenti demografici e transizioni ancora incomplete, l’identità collettiva si ridisegna lungo coordinate sempre più soggettive, spesso oscillanti tra affetto e disincanto, tra radicamento e desiderio di altrove.
L’immaginario italiano resta fortemente ancorato a dimensioni affettive e culturali: bellezza del paesaggio, ricchezza storica e tradizione gastronomica rappresentano ancora oggi i principali pilastri di un senso di orgoglio condiviso. Si tratta però di un orgoglio selettivo, che si fonda più su elementi simbolici e identitari che su una piena fiducia nelle Istituzioni.
L’Italia appare come un luogo ricco di valori simbolici, ma privo, per molti, di strumenti concreti per costruire il proprio futuro. È all’interno di questo scenario che si colloca l’indagine dell’Eurispes, con l’obiettivo di esplorare i vissuti legati al “vivere in Italia”, tra orgoglio culturale e spinte alla mobilità.
Vivere in Italia tra legame e disillusione: i dati riflettono una riscoperta dell’appartenenza e del valore simbolico dell’identità nazionale
L’immaginario positivo legato all’Italia continua a esercitare una forza evocativa, ma non sempre riesce a colmare la distanza tra le aspirazioni individuali e la realtà quotidiana. I dati della rilevazione dell’Eurispes (2025) restituiscono con precisione questa ambivalenza. Più di sette italiani su dieci, la maggioranza (72%), considerano una fortuna vivere in Italia, mentre il 28% esprime un’opinione opposta, segnalando la presenza significativa di un sentimento critico che coinvolge quasi un terzo della popolazione. Si tratta di un sentimento di disaffezione più vivo fra i giovanissimi (39,3%), mentre la fortuna di vivere in Italia è più sentita nelle fasce d’età anziane (tra gli over 64 il 79,1%). Rispetto ai dati raccolti nel 2011, quello attuale segna un’evoluzione positiva: allora, solo il 62,9% considerava una fortuna vivere in Italia. Il dato sembra riflettere una riscoperta dell’appartenenza e del valore simbolico dell’identità nazionale.
Perché è una fortuna vivere in Italia?
In cima alla lista delle ragioni citate si collocano le bellezze naturali (21,6%), seguite dalla tradizione artistica e culturale (19,6%) e dalla buona cucina (14,8%). A questi si aggiunge la libertà d’opinione e di espressione (13,2%). Seguono, con percentuali più contenute ma non trascurabili, la situazione climatica favorevole (12%) e il carattere accogliente della popolazione (7,1%). Nettamente più basso, invece, il dato relativo al benessere economico (3,7%). La percezione positiva, dunque, è fortemente radicata in elementi simbolici e immateriali (ambiente, cultura, stile di vita) piuttosto che in aspetti materiali o economici. Il confronto con i dati del 2011 evidenzia un cambiamento nella gerarchia dei valori che gli italiani associano al vivere bene nel proprio Paese. Se quattordici anni fa al primo posto figurava la libertà d’opinione ed espressione (26,8%), nel 2025 questa motivazione perde centralità, dimezzandosi e scendendo al 13,2%. Contestualmente, si affermano con forza elementi legati all’estetica e all’identità culturale: le bellezze naturali, che nel 2011 raccoglievano il 16,6% delle preferenze, salgono al 21,6%, diventando il primo motivo indicato; segue la buona cucina, che quasi triplica il proprio valore (dal 5,8% al 14,8%). Il “benessere economico” resta marginale tanto nel 2011 (3,1%) quanto nel 2025 (3,7%).
Per il 45% degli italiani vivere in Italia significa soprattutto difficoltà legate al lavoro e alla situazione economica
Tra chi considera il vivere in Italia una sfortuna, i fattori economici rappresentano la principale fonte di malcontento. Le condizioni economiche generali (23,2%) e la precarietà lavorativa (22,7%) occupano i primi posti tra le ragioni indicate. Complessivamente, oltre il 45% dei cittadini riconduce, dunque, la propria insoddisfazione a difficoltà legate al lavoro e alla situazione economica, elementi che toccano direttamente la dimensione esistenziale e progettuale degli individui. A queste si aggiungono altri fattori che riflettono una sfiducia nel funzionamento di un sistema distante e inefficace: la classe politica (12,4%) e la corruzione (12,3%) vengono percepite come segni di un disagio diffuso. Anche la criminalità (11%), il deficit di senso civico (8,1%) e le carenze del welfare (7,1%) concorrono a disegnare un quadro di fragilità in rapporto non solo al piano economico, ma anche a quello civico e relazionale. Il confronto con il 2011 mostra una riorganizzazione delle priorità più che una loro attenuazione. Se nel 2011 prevaleva un malcontento morale e valoriale (corruzione, inciviltà), nel 2025 domina la preoccupazione per la tenuta materiale del Sistema Paese, in cui lavoro, economia e servizi rappresentano i principali fattori di vulnerabilità percepita.
I giovani dai 18 ai 34 anni di età sono i più propensi all’idea di trasferirsi all’estero
Sebbene la mobilità attiva degli italiani risulti oggi tra le più basse in Europa, il desiderio latente di “altrove” non si è dissolto. Rimane particolarmente presente tra i giovani e tra chi possiede competenze elevate, attratto dalla possibilità di condizioni di vita migliori, sviluppo professionale e maggiore sicurezza economica. Negli ultimi dieci anni, secondo i dati AIRE, oltre 1,2 milioni di cittadini hanno lasciato il Paese. Nel 2025, secondo la rilevazione dell’Eurispes, quasi quattro italiani su dieci (39,5%, erano il 40,6% nel 2011) affermano che si trasferirebbero all’estero se ne avessero la possibilità, a fronte di un 60,5% che preferirebbe restare. La variabile anagrafica si conferma decisiva nel determinare l’inclinazione a lasciare il Paese: i giovani dai 18 ai 34 anni di età sono i più propensi (il 56% circa). L’idea di trasferirsi all’estero è più forte al Nord-Est (43,5%) e nelle Isole (40,5%), mentre i valori più bassi si rilevano al Centro (37,6%) e al Sud (36,9%). Decisamente marcate sono le differenze legate alla condizione occupazionale. Il desiderio di trasferirsi all’estero raggiunge i livelli più alti tra chi si trova in una situazione di instabilità o transizione: il 59,2% di chi è in cerca di una nuova occupazione, il 58,1% di chi cerca la prima, il 57,1% dei cassaintegrati e il 54,2% degli studenti dichiarano che emigrerebbero se ne avessero la possibilità.
I motivi che porterebbero ad una vita all’estero: opportunità lavorative e costo della vita
I motivi che spingerebbero a costruire una vita in un altro paese sono: la ricerca di maggiori opportunità lavorative (29,8%), il minore costo della vita (17,1%) e il desiderio di offrire maggiori opportunità ai figli (13,9%). Accanto a questi elementi più “strutturali”, emergono anche spinte di natura ideale o valoriale: il bisogno di maggiore sicurezza (8,8%), la libertà d’espressione (7,2%), un clima politico più favorevole (7,2%) e un contesto culturale più vivace (6,2%) delineano un orizzonte più ampio, in cui il trasferimento è pensato anche come scelta di vita. Curiosità (4,7%) e il contatto con la natura (2,2%) completano il quadro, aggiungendo una componente esplorativa e individuale. Il confronto con il 2011, conferma alcune tendenze ma evidenzia anche spostamenti significativi nel sistema di aspettative e valutazioni che alimentano il desiderio di emigrare. In entrambe le rilevazioni, le maggiori opportunità di lavoro si confermano la motivazione principale, anche se con una lieve flessione. Cresce invece sensibilmente il peso del costo della vita (dal 7,5% al 17,1%), che diventa la seconda ragione indicata nel 2025, segnalando una crescente difficoltà a sostenere il tenore di vita nel contesto nazionale. Al contrario, le motivazioni valoriali mostrano una tenuta stabile o un leggero calo.
www.leurispes.it
