Tasse, evasione e galera. L’inutilità delle decisioni in atto

Sembra che tutti i politici della maggioranza siano contenti. Certo, ci sono i distinguo come quelli fatti da alcuni esponenti del partito di Matteo Renzi, ma poi votano tutti insieme. Possiamo annoverare una nuova conquista del “partito conduttore” dei nostri ultimi due governi: dopo aver abolito la povertà e la corruzione, ora hanno abolito l’evasione fiscale. E ci dicono di avervi provveduto prevedendo maggiore galera per alcuni evasori, quelli eccessivi.

 

A nostro avviso si tratta di un meccanismo psicologico – trasmigrato per la bisogna alla politica –  che commuta il desiderio in realtà. Avete presente quando uno viene preso da una fissazione, credendo che tutto intorno sia finalizzato al proprio bene o al proprio male, più o meno condito da influenze astrali e/o religiose? E’ quanto ci sembra stia accadendo.
Sentiamo già una voce grossa che sovrasta questo nostro approccio: “che fai? Presti la spalla agli evasori?”. E ci sembra che anche questa voce grossa faccia parte dello stesso meccanismo psicologico trasferito alla politica.
Ci facciamo una domanda: ma veramente qualcuno crede che aumentando le pene per un reato lo stesso non verrà più commesso? Ci vengono in mente quelle sentenze che comminano al reo due o tre ergastoli… qualcuno crede che in questo modo ci sia stata più giustizia di quella che ci sarebbe stata nel caso in cui al reo fosse stato comminato un solo ergastolo? Suvvia!

Nel caso dei giustizieri del nostro governo non stiamo parlando di reati per cui sia previsto l’ergastolo… ma qualcuno crede che se ad un evasore fiscale venga comminata una pena di 20 anni al posto di 10, questo evasore si senta più timoroso nel commettere questo reato? Suvvia! E’ quasi ovvio che starà solo più attento, che raffinerà il suo metodo delinquenziale, che aumenterà le mazzette da elargire a man bassa, etc etc.
Il problema a nostro avviso è che, così come siamo messi oggi, ci saranno sempre e comunque dei funzionari disposti a prendere e chiedere delle mazzette. Così come ci saranno sempre dei contribuenti che, per un motivo o per un altro, evaderanno. Un motivo: facile arricchimento; altro motivo: se pagano le tasse non stanno dietro allo standard di vita che tutt’intorno gli viene fatto credere (o lui crede) sia funzionale al suo specifico status.
E quindi? Ci teniamo l’evasione e continuiamo a curarci il cancro con l’aspirina?
Ovviamente no.
Chi scrive non ha formule magiche perché domani siano tutti ligi a pagare le proprie tasse. Ma chi scrive vive in questa società, in questo sistema economico. E vive e percepisce il disaggio di tutti coloro che sono contribuenti e cittadini. Ci sono alcune isole felici, ma mediamente l’amministrato si sente preso in giro vedendo e constatando che l’uso di queste tasse da parte della pubblica amministrazione è “sgradevole”…. e il conseguente rigetto/allontanamento dal sentirsi parte della comunità è quotidiano.
Questo a nostro avviso è il punto centrale.

Con il corollario di un sistema giudiziale che dimostri il suo funzionamento grazie alla sua celerità e incisività. Prerogative che per essere tali non hanno bisogno che le pene siano di venti anni invece che di dieci. Con l’aggiunta che non possiamo escludere che un giudice, di fronte al dover comminare una pena di venti anni chieda più tempo rispetto ad altrettanta pena di dieci anni.
Quello a cui accenniamo non è impresa facile. Ma intende contribuire ad individuare dove occorre attaccare il nostro sistema per far sì che l’evasione abbia sempre meno ragioni d’essere: giustizia e semplificazione amministrativa.
Nel frattempo, le pene stratosferiche sono solo fumo negli occhi, erogato da chi, per se stesso e per gli amministrati, si accontenta di dichiarare.

Vincenzo Donvito, presidente Aduc