STORIA & POLITICA QUALE EGEMONIA CULTURALE IN ITALIA?

C’è ancora qualcuno che è convinto che in Italia c’è il “telemeloni”, in pratica la televisione italiana è in mano al governo. Certo la presidente del Consiglio cerca di difendersi in tutti i modi, magari mordendosi la lingua dopo tutti gli insulti personali che subisce, gli slogan, i cartelli, che la rappresentano come una pericolosa donna appartenente a chissà quale genia di criminalità. Le manifestazioni di questi giorni per il cosiddetto “genocidio di Gaza” dimostrano che c’è un odio diffuso, un odio ideologico della sinistra che assomiglia molto alle piazze degli anni ‘70, che sfocia in aggressioni per ora nei confronti delle forze dell’ordine, che stanno resistendo comportandosi in maniera professionale.

Ma c’è un aspetto ancora molto più grave scrive Enrico Cipriani su Destra.it, “che non riguarda soltanto la sicurezza nelle piazze, bensì il controllo delle coscienze. Se da una parte è vero che una parte della sinistra non ha mai smesso di coltivare una cultura della delegittimazione e dell’intimidazione, dall’altra è altrettanto vero – e perfino più inquietante – che esiste una vera e propria cupola intellettuale che domina larga parte della cultura italiana”. (A proposito di egemonie culturali e libertà di pensiero, 1.10.25, destra.it) E Cipriani fa un quadro dei vari tipi di intellettuali collocati sempre a sinistra, che domina gli ambienti culturali dal giornalismo all’università, “Sono gli eredi, biologici e culturali, di una tradizione che non ha mai fatto i conti con le proprie responsabilità storiche”. Sono quei “cattivi maestri” che hanno alimentato gli anni di piombo, tipo quelli che hanno firmato la condanna del povero commissario Luigi Calabresi nel 1972.

Cipriani individua queste figure come “Figli di ex partigiani o di ex militanti della sinistra più radicale, di coloro che, come ormai, fortunatamente, si è largamente appurato, durante e dopo la guerra approfittarono della “caccia al fascista” per compiere vendette personali, soprusi e persino stupri su innocenti. Sono coloro che provengono da quegli ambienti che, negli anni Settanta, inneggiavano agli assassinii politici, difendevano i responsabili del rogo di Primavalle, dove bruciarono vivi, sotto gli occhi dei genitori, i due figli di Mario Mattei, segretario locale del MSI, esultavano quando spararono a Montanelli, scagliavano molotov nelle strade”. Ebbene, gli eredi di questi individui “oggi siedono in cattedra. Occupano posizioni apicali nel mondo intellettuale e accademico, soprattutto in quelle discipline che più orientano l’opinione pubblica: la critica letteraria, la filosofia, la pedagogia, la giurisprudenza. Sono loro a stabilire chi può parlare, chi può scrivere, chi può avere accesso a una carriera accademica. Provate, oggi, a dichiararvi di destra in università o in certi ambienti editoriali: sarà la fine di ogni prospettiva”. Sono loro a esercitare un controllo ferreo sul dibattito pubblico, con una mentalità che non ha nulla da invidiare, per fanatismo, a quella dei fascisti che dichiarano di combattere. Pertanto, è giusta la vigilanza contro le frange violente della sinistra, ma è necessario un altro tipo di vigilanza, che è certamente più importante. Mi riferisco a quella battaglia culturale, delle idee, che si gioca nelle “università, nei giornali, nelle case editrici, nei luoghi in cui si forma il pensiero e si educano le nuove generazioni. È lì che bisogna riportare equilibrio, libertà e pluralismo, epurando quegli ambienti da chi, con il pretesto dell’antifascismo, ha imposto per decenni una dittatura culturale”. Perché, se i violenti delle piazze sono pericolosi, i fanatici delle cattedre lo sono ancora di più: plasmano le coscienze, legittimano un’unica visione, e perpetuano un sistema di potere che soffoca ogni vera libertà di pensiero. E’ quell’egemonia culturale che una volta era guidata dal più forte Partito comunista dell’Occidente e oggi è rimasta sempre in mano agli stessi. E qui si apre un altro discorso fondamentale, per le forze politiche di centrodestra, è possibile creare un’area culturale (giornali, libri, fondazioni, associazioni, etc) che abbia un certo peso per formare per esempio una nuova classe dirigente del centrodestra? Per creare un consenso d’opinione nell’elettorato che vota il centrodestra? Qualcuno obietta che non bisogna avere la pretesa di andare a voler sostituire l’egemonia culturale dominante della sinistra. Ma che possa competere ad armi pari mi sembra una giusta aspirazione. In uno dei numeri del prezioso settimanale di cultura, Il Domenicale, ho trovato un articolato studio del senatore Marcello Dell’Utri, cofondatore insieme a Silvio Berlusconi di Forza Italia. (La Politica deve fare formazione, 15.9.2007 Il Domenicale) Nelle riflessioni del senatore si possono trovare ottimi spunti per il nostro tema. Dell’Utri era convinto che era il momento di dare corpo a un nuovo progetto culturale che possa sostenere il futuro del Centrodestra da contrapporre all’egemonia comunista. Nello studio l’ex senatore sostiene che nel secondo dopoguerra il concetto di “formazione” appare estraneo alla cultura del Centrodestra. Infatti, per certa cultura di sinistra che ti guarda dall’alto in basso, essere di destra significava stare dalla parte degli incolti, forse essere addirittura contro la cultura. Dell’Utri contesta questa tesi elencando una serie di nomi di uomini di cultura del Novecento italiano, tutti ipoteticamente di destra. Poi l’analisi dell’uomo politico si ferma sul Pci, il più grande partito di massa dopo il Pnf. In particolare, fa riferimento a Togliatti, alla “scuola politica” che si è sviluppata a sinistra, che aveva copiato il modello del Guf durante il fascismo. Nasce un progetto egemonico, dove la cultura viene utilizzata a fini politici, i padri di questo progetto sono Gramsci, Togliatti, e persino Berlinguer. Gramsci capì che soltanto avendo in mano la cultura si poteva condizionare la politica. Ecco perché i successivi leader del Partito comunista accordarono enorme spazio alla “formazione culturale”, intesa come fondamento dell’attività politica. Circolava un aneddoto negli anni Cinquanta: la Dc si accontentava di “100 posti di bidello“, il Pci ne preferiva 1 solo, per esempio la presidenza di una facoltà universitaria.

Per questo scrive Dell’Utri, tutti i funzionari, anche quelli periferici e di basso rango, vennero obbligati a un cursus studiorum formativo, con sedi e seminari e docenti. Oggi la sinistra vive di quel lavoro pluridecennale che ha fatto il Pci e continua a condizionare la vita italiana. Il Pci fu una vera e propria macchina politica, grazie alla formazione culturale dei suoi quadri e dei suoi dirigenti. Secondo Dell’Utri hanno attuato il metodo che ha eseguito la Chiesa cattolica per arginare la cosiddetta Riforma protestante, con il controllo geo-politico del territorio. Il Pci ha costruito una specie di chiesa che sapeva far crescere e rinnovare i suoi quadri senza problemi.

DOMENICO BONVEGNA

dbonvegna1@gmail.com