Salvini e il bluff della crisi di “ferragosto”. Il Papeete è un format politico

MASSIMILIANO CANNATA

 

Governi instabili, tecnici, di scopo, accordi balneari, appoggi esterni, patti di desistenza: la storia politica della nostra Repubblica è da sempre caratterizzata da un vocabolario ricco, quale strumento necessario per descrivere formule “fantasiose”. In tanta creatività mancava una fattispecie: la “crisi di ferragosto”, con inclusa, una possibile inversione a “U”. Matteo Salvini, il protagonista di questo “mistero buffo” che lo scorso 8 agosto ha generato lo strappo della compagine giallo-verde che guida l’esecutivo, sembra averci già ripensato. Nelle ultime ore ha manifestato la volontà di fare un passo indietro e ritirare la mozione di sfiducia indirizzata al premier Conte. Il dado è tratto probabilmente, difficile dire come finirà quello che molti quotidiani hanno chiamato un grande bluff. Per cercare di capire qualcosa in più, abbiamo chiesto un parere a un cronista di razza, editorialista e firma di punta del Corsera, fine conoscitore della politica di casa nostra: lo dimostrano ampiamente i saggi pubblicati (L’Italia de noantri, Basta piangere, I 70 italiani che resteranno, solo per citare i più recenti); entriamo, dunque, nel vivo dell’analisi di questa delicata fase politica, che rischia di gettare il Paese nel caos con conseguenze facili da immaginare.

L’asse giallo-verde si è rotto, in Senato si è persino palesata una nuova maggioranza che ha nel Pd e nei 5S i suoi maggiori azionisti. Adesso che Salvini sembra voler fare un passo indietro, che cosa succede?
Al momento, mi pare molto difficile che si possa creare un governo politico 5S-Pd; i due partiti sono, infatti, troppo distanti, i due stessi leader non lo vogliono. Di Maio capisce, infatti, molto bene, che un governo politico con il Pd nascerebbe senza di lui, che sarebbe costretto a fare a un passo indietro, cosa molto lontana dalle sue intenzioni.

Dunque si apre il sipario delle elezioni?
Credo sia molto più probabile che Mattarella, una volta preso atto che non ci sono le condizioni per fare un governo politico, incaricherà un uomo o una donna (speriamo una donna, se vuole il mio parere) di sua fiducia, con un profilo istituzionale non legato a nessun partito, con l’incarico di formare un governo di garanzia, che possa portare il Paese al voto.

Un esecutivo che avrà vita breve, a che cosa potrà servire?
Non è assolutamente detto, perché un governo con queste connotazioni, una volta che otterrà la fiducia, sarà pienamente legittimato. Ritengo che sia strano, oltre che improbabile che il Pd possa votare contro un governo indicato dal Presidente Mattarella. Una cosa è certa: Renzi lo voterebbe subito, a quel punto non potrebbe tirarsi indietro nemmeno Zingaretti.

I grillini, che in questa crisi stanno cercando di riprendere tono, quale strategia dovrebbero adottare?
I grillini non aspettano altro. Se si formasse un eventuale governo di garanzia, al quale potrebbe arrivare il soccorso di Forza Italia, lo voterebbero senza esitazione. A quel punto il Parlamento potrà andare avanti con la riforma che porta alla riduzione dei parlamentari. Si andrebbe poi a votare probabilmente con nuove norme, cosa che richiederebbe un ridisegno dei collegi, un eventuale referendum e una nuova legge elettorale di stampo proporzionale. È evidente che i tempi si allungherebbero, con un probabile slittamento delle elezioni alla primavera del 2020.

Salvini avrebbe dunque clamorosamente sbagliato i suoi calcoli?
Più passano i giorni, più il suo azzardo si rivela sempre più tale. La mia impressione è che Salvini abbia sbagliato i tempi. Forse avrebbe fatto meglio ad aprire la crisi dopo le elezioni europee.

La rottura nel governo giallo-verde quando è divenuta realmente insanabile?
Fin dall’inizio si sapeva che le due compagini non avevano in comune nessun aspetto programmatico, l’unico trade union che li avvicinava e li avvicina è la cultura populista di stampo antisistema, il loro accordo si è fondato essenzialmente su questo. Salvini e Di Maio hanno portato avanti, durante la comune esperienza di governo, quel poco che potevano con due misure come il reddito di cittadinanza e quota 100, dirette più ad acquisire consenso che a creare sviluppo. Andare, però, avanti a queste condizioni ha poco senso. I due leader appaiono divisi non solo sulla TAV (questione che è stata in fondo facilmente risolta con la retromarcia dei 5S) ma anche sull’autonomia per il Nord, la giustizia, la flat tax.

Non c’è allora da stupirsi se il “banco” è saltato…
No, perché i rapporti tra gli esponenti giallo-verdi erano già incrinati da tempo. Resta il fatto che Salvini avrebbe potuto e dovuto scegliere un timing diverso, e ricordarsi soprattutto che esiste un istinto di conservazione nel Parlamento molto alto, che la Lega è rappresentativa solo per il 17% dell’Assemblea, e che per di più il centro-destra non è maggioranza. Il leader leghista ha dovuto, così, rincorrere Berlusconi con cui i rapporti erano, come è noto, interrotti per cercare di arrivare al voto subito. Operazione che non è bastata. Anche se… Mai dire mai in politica.

Questa crisi aperta lo scorso 8 agosto, di fatto, a chi giova?
Sicuramente non al Paese. Purtroppo ciascun leader si sta muovendo in base ai propri interessi, non di partito ma esclusivamente personali. Salvini vuole andare a votare per capitalizzare il consenso, come lui stesso ha detto a Conte che lo ha riferito ai giornalisti. Grillo e 5S non vogliono invece la prova delle urne, perché sanno che dimezzerebbero i voti, per questo hanno lanciato un segnale ai nemici del Pd.

Segnale raccolto da Renzi, come mai?
Renzi, che pure è il maggior nemico dei 5S, è stato il più reattivo, non vuole, infatti, perdere il controllo dei gruppi parlamentari. Il più ostile a questo richiamo, guarda caso, è Zingaretti, che a sua volta vuole andare alla prova del voto, pur se sicuro di perdere contro Salvini, almeno per controllare i gruppi parlamentari. Quanto a Berlusconi, sarebbe disposto ad appoggiare Salvini solo a seguito di un accordo elettorale, altrimenti rinvierebbe volentieri la verifica delle elezioni, per tutelare i suoi deputati e senatori, molti dei quali difficilmente andrebbero incontro a una riconferma.

Tutti contro tutti insomma, ma all’Italia chi pensa?
Nessuno purtroppo, questo è desolante. Siamo un Paese a crescita zero, i giovani continuano ad andare via, un Paese indebitato, che paga molto per finanziare il suo debito, che presenta oggi poche opportunità di sviluppo e tanto malcontento.

Che cosa deve e può pensare un giovane che si sta affacciando al mondo del lavoro (lo stesso Cazzullo se lo chiedeva in un editoriale apparso sul Corsera lo scorso 12 agosto n.d.r) di fronte alla combustione degli ideali e al trionfo di interessi personali contrapposti che, diciamolo francamente, danno uno spettacolo pessimo e poco edificante della Nazione?
In realtà chi fa politica ha sempre pensato ai propri interessi. Se guardiamo all’estero cosa sta succedendo, per esempio in Inghilterra dove pure la democrazia rappresentativa è stata inventata, ci rendiamo conto del degrado che a tutti i livelli si sta verificando. Da noi però c’è qualcosa di più, individuabile in questo narcisismo di massa, che è la manifestazione della crisi della democrazia rappresentativa. Esiste in questo momento storico l’incapacità di concepire che una persona faccia qualcosa nell’interesse di qualcuno che non sia se stesso o un suo caro. Nessuno si fida più dell’altro, questa è la dura verità.

Ha ragione il filosofo Salvatore Natoli: viviamo nella continua sindrome legata al “rischio di fidarsi”?
Proprio così. Sta trionfando la sfiducia complessiva nel Paese, nel futuro, negli altri, che parte da una sfiducia in se stessi. Gli italiani facevano più figli alla fine della grande guerra, quando gli uomini al fronte morivano sul Piave e le donne perivano tra le pareti domestiche per la febbre spagnola.

Come si può reagire a questa malattia che è prima esistenziale e morale e poi sociale e politica?
C’è bisogno di una svolta. Occorre più fiducia nel futuro, fiducia che non può venire dalla politica. Non sarà un nuovo governo a cambiare i destini del Paese. Dobbiamo ritrovare dentro di noi la voglia di rinascere, di essere italiani, questo può avvenire se acquisiamo più consapevolezza delle nostre potenzialità, che sono enormi. Il mondo globale, come ho scritto più volte, ha “fame” di italianità. Noi possiamo giocarcela sul terreno della competizione se ridiamo ossigeno alla nostra creatività e torniamo ad avere la voglia e la fame di crescita che abbiamo avuto nel dopoguerra.

Però, se torniamo all’attualità, il sogno si sgonfia e sbattiamo contro i numeri che hanno sempre la testa dura. I sondaggi danno il partito di Salvini al 40% del consenso, non c’è solo un declino delle classi dirigenti che va analizzato, ma probabilmente è l’Italia stessa che si sta trasformando. Che cosa pensa al riguardo?
Un cambiamento negli italiani si è verificato, inutile negarlo. Per avere l’idea della trasformazione in atto, basti pensare che Berlusconi intende chiamare il suo movimento “altra Italia”. Fatto singolare perché il Cavaliere è stato sempre “questa Italia”, ha incarnato il Paese in tutti i suoi aspetti. Questa scelta è dettata dal fatto che l’italiano medio non si riconosce più in lui – come è successo nel ’94, l’anno della celebre discesa in campo – perché si riconosce in Salvini. È evidente che a cambiare non è stato Berlusconi, ma l’italiano.

Il declino del Cavaliere ha accelerato questa mutazione?
Il logorio, per uno che è stato 25 anni sulla breccia seguendo soprattutto i suoi interessi e quelli del suo gruppo, è un fatto direi fisiologico. Salvini non è solo un Berlusconi che parla in maniera più tagliente o che fa promesse ancora più irrealizzabili, è anche il rappresentante più riconoscibile dalla massa che esprime una mutazione del linguaggio della politica. Il Cavaliere parlava la lingua della televisione, il suo argomentare era spesso facondo, pieno di numeri, sicuramente incontenibile in un tweet. Nei suoi discorsi c’erano spesso citazioni impegnative da von Heyek, von Mises, Popper; faceva magari governi strampalati, poi però mandava in Europa personalità del calibro di Emma Bonino o Mario Monti, preside della Bocconi. Salvini, seguendo criteri assolutamente opposti, non mostra di preoccuparsi di nessun pedigree, il suo candidato ideale per l’Europa era infatti Centinaio sottratto al giro della Sardegna in moto.

I new media quale peso hanno avuto in questa mutazione epocale cui Lei faceva riferimento?
La rivoluzione della Rete, che pratica un linguaggio violento e aggressivo sta incidendo molto sui metodi e le strategie della battaglia politica. Salvini padroneggia molto bene i social, che alimentano nuovi meccanismi di identificazione politica. Berlusconi si chiedeva recentemente a chi potesse interessare vedere i filmati social in cui il leader della Lega mangia la nutella. La sua perplessità era mal posta, alla gente piace infatti questa identificazione, certificata da comportamenti della quotidianità anche vuoti e banali. Il narcisismo di massa, cui facevo prima riferimento, ha così finito col mandare in tilt la democrazia rappresentativa, alimentando un processo di identificazione fondato sulla diffusione di culture trash.

È in virtù di un contesto che vive un’alterazione profonda dei simboli e dei linguaggi che sostanziano la politica che si possono chiedere pieni poteri passeggiando in spiaggia a torso nudo, come ha fatto Matteo Salvini?
Forse esagerava Aldo Moro ad andare in spiaggia in giacca e cravatta, ma probabilmente anche Salvini fa una cosa a dir poco fuori luogo, quando lo si vede impegnato a dirigere il coro delle cubiste mentre intonano l’inno di Mameli, poco vestite. Non è in questione il diritto di andare in spiaggia, capiamoci bene, il problema è che il Papeete beach è diventato un format politico, attraverso cui il leader leghista sta dicendo agli italiani: sono uno di voi, nel linguaggio, nella nutella, a torso nudo ballo sulla spiaggia, come fanno in tanti in un’estate magari torrida come questa.

I sondaggi gli danno però ragione, mentre le opposizioni fanno poco per ridarsi una strategia efficace e vincente. Un atteggiamento suicida non crede?
Un meccanismo che porti a una rivisitazione delle strategie e dell’azione politica deve essere messo in campo prima di tutto dal Pd se vuole tornare forza di governo. Al di là di questo aspetto non più differibile, credo non sia corretta la cultura che ci porta ad affermare che gli italiani sono sempre gli altri, come diceva Cossiga, secondo cui «l’Italia alle vongole è reale», ma ne esiste una ideale fatta di tutt’altra sostanza. Io amo gli italiani per come sono, senza invocare nessuno stato di eccezione o di diversità presunta. Ritengo, tuttavia, che lo stile di Salvini e i suoi atteggiamenti non siano consoni a quelli che dovrebbe tenere un uomo di stato. Uno che definisce gli altri esseri umani “zecche”, parla un linguaggio da capetto di un gruppo estremista del 2%, non certo da leader di una forza che ha il 40% dei consensi e che aspira a governare una grande paese come l’Italia. Su questo aspetto Salvini dovrà riflettere, rivedendo molte cose, altrimenti alla lunga potrebbe pagare un prezzo molto più alto di quello che in questo momento può immaginare.

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