Referendum giustizia. La tentazione di non partecipare al voto

A marzo si dovrebbe tenere il referendum per convalidare la legge approvata dal Parlamento per la cosiddetta separazione delle carriere tra magistrati e pubblici ministeri (1).  Scadenza che ha provocato – e questo è un bene – una notevole mobilitazione di ogni parte e luogo sui problemi della giustizia. Purtroppo si sentono anche – e spesso – cose da brivido, dai sostenitori del Sì e da quelli del No. Le più amene sono cose tipo “finirà l’indipendenza della magistratura”, “è un colpo di Stato”, “è la riforma delle riforme”, “finalmente i giudici sapranno che non possono fare quel che vogliono”.

Il problema è che questa riforma non incide  sullo stato comatoso della giustizia. Dove i maggiori problemi continuano e continueranno ad essere, oltre al quesito referendario e qualunque sia l’esito dello stesso referendum, i tempi dei processi, la burocrazia, la mancanza di personale, la responsabilità civile dei magistrati e l’obbligatorietà dell’azione penale.

Di questi argomenti non se ne parla, non ci sono progetti di legge che stanno per essere approvati, non ci sono stanziamenti, ammodernamenti, razionalizzazioni. Il tutto, al momento, è incentrato, con rare eccezioni, sul fatto che si vota al referendum per dire Sì o No alla riforma del governo Meloni. Quindi, se 2+2 continua a fare 4, non essendo previsti particolari sconvolgimenti di strategie e proposte di chi oggi è all’opposizione, il referendum non potrà far altro che approvare la legge approvata in Parlamento.

Mentre ci viene il dubbio che il referendum sia in questo caso un inutile e costosa  chiamata alle urne, ci poniamo anche una domanda: sarà utile andare a votare?

Consapevoli che per questo referendum non ci sarà, come per quelli abrogativi, un quorum sotto il quale la consultazione non è valida, e che anche se va a votare il 10% degli aventi diritto il risultato sarà valido, a cosa serve che qualcuno manifesti il proprio dissenso non partecipando al voto?

Per la norma oggetto di referendum non servirà a nulla. Per coloro che sono attenti al corpo elettorale, alla partecipazione dei cittadini al consenso e alla legislatura, potrà servire a valutare i necessari cambiamenti perché si inverta il continuo aumento della non-partecipazione dei cittadini ai momenti elettorali. Sempre consapevoli che alla maggior parte eei nostri rappresentanti istituzionali, questo interessa poco… ci sarà pure un limite oltre il quale, pur facendo finta di nulla e proclamarsi vincenti quando, per esempio nelle elezioni amministrative e politiche, si raggiunge il 30% del 50% degli aventi diritto al voto… ci sarà un limite oltre il quale potrebbe scattare la consapevolezza di partecipare ad un gioco dove le regole e le proposte sono solo per chi fa parte del proprio club.

La nostra non partecipazione al voto referendario è una tentazione, tra il gesto disperato e il beau-geste, sperando che la minaccia (paura?) possa servire da stimolo perché da qui a quando si terrà la consultazione referendaria, non solo le varie parti si pronuncino e facciano promesse per una reale giustizia giusta, ma perché mettano in moto un meccanismo di riforme (come è stato fatto per la separazione delle carriere) che divenga inarrestabile.

Questo appello vale per chi sostiene il governo, chi ne è all’opposizione, per gli operatori di ogni livello della giustizia, per tutti i cittadini, lavoratori, imprese… ché la giustizia non è cosa da soli addetti ai lavori, auspicando che nessuno se ne renda conto solo dopo esserci incappato, foss’anche solo per un ricorso contro una multa al codice della strada.

 

ps

per meglio capire, a noi la riforma votata dal Parlamento in linea di massima ci piace (1), ma abbiamo il vizio di concretezza e realtà.

 

1 – https://www.aduc.it/articolo/giustizia+giusta+separazione+carriere+come+usare_40099.php

 

 

Vincenzo Donvito Maxia – presidente Aduc