
di Andrea Filloramo
Il progetto del Ponte sullo Stretto continua a dividere l’opinione pubblica della Città Metropolitana di Messina, ma ancora non riesce a coinvolgere tutti i cittadini, molti dei quali non si sono resi ancora conto di essere di fronte, non a un progetto infrastrutturale utile o addirittura indispensabile, ma a un imbroglio politico di mastodontica grandezza, a una macchina di consenso, utile soprattutto a raccogliere voti e a riaccendere i riflettori sul Sud.
Basta poco per capire, infatti, che il progetto è un contenitore di retorica, un gigantesco cantiere di spesa pubblica, utile a distribuire appalti e poltrone e non a migliorare la vita quotidiana dei cittadini, un’illusione evocata dal governo come simbolo del futuro che cerca di trasformare, quindi, un’idea mai compiuta perché di difficile o impossibile realizzazione, in un mito soltanto elettorale.
Non è, quindi – come più volte detto da Salvini, che la sostiene, una promessa di sviluppo ma è la prova che la politica preferisce vendere illusioni piuttosto che affrontare la realtà.
Il Ponte sullo Stretto viene venduto come un sogno, ma per Messina il progetto del Ponte, nell’ipotesi malaugurata che fosse realizzato, diventerebbe un incubo. La città, infatti, diventerebbe il cuore del cantiere, il terreno sacrificato in nome di un’opera che ha solo il sapore della propaganda.
Proprio qui si misura la posizione del sindaco della Città dello Stretto, Federico Basile: non basta per lui e per la sua Giunta dire “sì” o “no”, ma deve scegliere – e forse già l’ha fatto – se difendere la città o lasciarla in balia di decisioni prese altrove. La città certamente non può subire. Il punto è chiaro: Messina deve avere voce in capitolo, non può essere ridotta a spettatrice muta mentre le ruspe e i cantieri ne stravolgono quartieri e coste.
Fa bene il Sindaco a chiedere – e non so se è già avvenuto – di poter entrare nei luoghi dove si decide davvero, fino a pretendere un posto nel consiglio di amministrazione della società che gestirà l’opera. È questa una richiesta di dignità politica prima ancora che urbanistica: Messina non può essere trattata come periferia sacrificabile.
Il sindaco sa che senza garanzie immediate, il Ponte rischia di seppellire la città sotto anni di lavori, disagi e caos. Ecco perché insiste sulle cosiddette “opere compensative”, cioè degli interventi che il governo deve finanziare e avviare subito e cioè strade, ferrovie, riqualificazioni urbane. Non orpelli, ma condizioni minime di sopravvivenza. Se queste opere non dovessero partire e concluse prima degli ipotetici cantieri, il ponte si trasformerebbe in una condanna per Messina.
A tal proposito occorre, però, dire la verità: le compensazioni richieste possono essere una solenne presa in giro. Esse possono essere solo balsamo per lenire i danni. Sappiamo come vanno queste storie: promesse oggi, lavoro mai; intanto, nel caso in cui cominciasse la costruzione del ponte, Messina soffocherebbe nel traffico, nei quartieri martoriati, nelle case travolte dal rumore e dalla polvere. Non servono liste di opere su carta ma serve il coraggio di dire che il prezzo da pagare è insostenibile.
Eppure, anche con tutte le promesse possibili, resta il fatto imperdonabile che il progetto del ponte è stato riproposto da Salvini e dal governo senza ascoltare la città. Basile lo ha detto chiaramente, definendo il progetto “devastante” e liquidandolo come una “cartolina politica”. Non c’è stato dialogo con il territorio, non c’è stato confronto sugli impatti ambientali, sociali, culturali. È un’opera che sembra parlare più ai palazzi romani che ai cittadini messinesi.
Alla fine, il sindaco si trova davanti a un bivio: essere il custode della città o il notaio di un’opera decisa altrove. Finora sembra che – e politicamente si comprende – ha scelto una via intermedia, oscillando tra critiche severe e diplomazia istituzionale.
Concludiamo affermando che il Ponte sullo Stretto è la grande illusione che qualcuno a Roma spaccia come progresso; per Messina è una condanna, una devastazione, uno scempio. Non è un’opera di sviluppo, ma una colata di cemento che consumerà la città per anni, lasciandole in eredità ferite irreversibili. Occorre che la città venga riconsegnata ai cittadini, che dovranno sentire il dovere di custodire in tutti i modi consentiti dalla Legge, la bellezza intangibile di uno Stretto che a loro la natura ha regalato.