PIU’ CHE L’ESITO DEL VOTO, PERCHE’ NON ANALIZZIAMO “L’ESITO DEL VUOTO”?

Dopo la chiusura delle urne, più che l’esito del voto, come sostiene Giordano, bisognerebbe analizzare “l’esito del vuoto”, perché un italiano su due è rimasto a casa. Perché molti elettori di centrodestra non si sono presentati al seggio? Le risposte sono tante e articolate. Ne ho trovato alcune interessanti in un editoriale di atlanticoquotidiano.it, (Roberto Ezio Pozzo, Troppi candidati “civici” improvvisati: così i partiti adattano la politica alla propria inadeguatezza, 6.10.21).

L’astensione può essere attribuita a diversi fattori, certamente “non possiamo negare che una considerevole fetta dell’elettorato sia ormai stufo e disilluso rispetto alle promesse di cambiare l’andazzo generale”. Circolano abusati concetti, slogan un po’ stupidotti, come: “cambiamo la città”, “per una città nuova”, “amiamo la città”, che non convincono più nessuno e assomigliano pericolosamente alle pubblicità degli yogurt”.

Sostanzialmente la realtà è che “i partiti tradizionali sono morti e sepolti da anni, e quel che ne residua è un’accozzaglia di unioni di scopo e alleanze di comodo tra persone che non riuscirebbero nemmeno a sopravvivere ad una cena senza mettersi le mani addosso”.

A costo di apparire un populista, credo che il forte assenteismo alle urne, con il conseguente disinteresse per chi ci dovrà amministrare sembra dovuto, quasi esclusivamente “ai tanti schieramenti raccogliticci ed improvvisati che ci vengono contrabbandati come vere e proprie liste elettorali”. Le liste civiche, tipiche dei paesini della sterminata provincia italiana, secondo Pozzo, “ora stanno dilagando anche nelle ben più popolose città e gli stessi grandi partiti sempre più assomigliano a grandi liste civiche (improprie) che raccolgono persone delle più svariate colorazioni politiche e sempre meno appartenenti al medesimo gruppo cementato dalla stessa base ideologica”.

Così l’appartenere ad una lista civica (non soltanto locale) sembra essere diventato un merito ed una patente di imparzialità e correttezza, da cui ne deriverebbe la certificazione di essere degni di governare dalla cittadina alla nazione.

Pertanto, si mettono assieme candidati incompatibili, facendoli apparire come “civici”. “ci vengono proposte senza ritegno aggregazioni di pluri-trombati in precedenti elezioni, espulsi da vari partiti, rampanti imprenditori del nulla e presuntuosi ragazzotti sospinti dall’onda social che ci vorrebbero governare, almeno formalmente non rispondenti ad alcun partito, ma rigorosamente in linea con un preciso orientamento di parte che, evidentemente, non conviene loro sbandierare”.

Certo nessuno osa pensare che questo potesse accadere all’epoca dei vecchi partiti, o della prima Repubblica. Dietro allo slogan del “cambiamento” si stanno mettendo in mostra persone delle quali sappiamo poco o nulla, che ci vengono proposte al voto con una campagna elettorale che di tutto tratta, tranne che dei loro meriti personali e delle loro reali competenze.

C’è un aspetto sociologico dell’attuale andazzo politico, considerato da Pozzo, che non dovrebbe essere trascurato. E qui nella sua forte provocazione si intravede la crisi dell’istituto democratico: “non tutti dovrebbero aspirare a governare, almeno in uno Stato ideale. Stare al governo non è cosa di poco conto e non per tutti attuabile in un dato momento storico. Se non si capisce questo concetto si rischia assai. Essere al comando del vascello non è cosa per tutti ed in ogni momento della propria esistenza. Quando si vedono dei candidati, “signori nessuno”, potrebbero accontentarsi, “dell’indispensabile e nobilissimo ruolo dell’opposizione parlamentare”, soprattutto, “quando non si abbiano candidati con la necessaria esperienza amministrativa e culturale, la dovuta capacità in politica, il necessario consenso a livello personale”. In questo clima, troviamo formazioni politiche, timorose di non farcela, si portano dietro piccole liste di poco peso elettorale, con schiere di peones senza futuro politico. Lo so è un discorso è impopolare, lo possiamo fare perché non abbiamo nessuna ambizione a essere candidati.

Continuando con le provocazioni politiche, Pozzo si interroga sul flop elettorale di alcuni candidati. Non sarà colpa che i partiti di oggi, “sono troppo protesi a curare esclusivamente l’immagine del loro leader più che cercare esponenti di secondo piano di indiscutibile valore e competenza che possano portare a casa dei voti per merito proprio più che quelli del capo di quella coalizione?”. Non ho mai condiviso l’utilizzo del nome, del leader, nel simbolo elettorale. Si focalizza troppo sul capo e si trascurano gli altri esponenti del partito. Una abitudine diffusa anche nelle trasmissioni tv, si tende sempre a far parlare il leader.

L’ultima osservazione di Pozzo la condivido in pieno. Forse è quella che ha tenuto lontani dalle urne molti elettori del centrodestra. Che “cos’è questa storia che al governo ci si voglia stare per “controllare” i propri nemici storici? Coi quali si condividono i ministeri? Chi è al governo, governi, e chi sta all’opposizione faccia opposizione. Rimettiamo le cose a posto, una buona volta”.

DOMENICO BONVEGNA

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