LA DISTINZIONE TRA REGIMI FASCISTI E AUTORITARI

Tra le tante domande chiave che il testo che stiamo analizzando di Stanley Payne, “Il Fascismo”, (Newton Compton editori, 2006) c’è quella sul perché del trionfo del Nazismo in Germania. Una vittoria di un movimento così estremo come il nazionalsocialismo hitleriano, in un paese con un livello di scolarizzazione, di tecnologia e di cultura alto come quello della Germania, non aveva assolutamente eguali.

Ancora oggi il fenomeno desta meraviglia e curiosità tra gli studiosi. Spesso si attribuisce alla disoccupazione la spiegazione del successo nazista, Payne a questo proposito pubblica una tabella, dove la disoccupazione in Germania non presentava sintomi più gravi di altri Paesi europei, peraltro democratici. Anzi quello tedesco era l’indice più basso.

Tuttavia uno dei fattori che consentì a Hitler di prendere il potere sono state le rivalità, le divisioni e le gelosie dei gruppi della destra presenti nel Paese. Hitler propugnava una rivoluzione razziale, che doveva sostituire il vecchio sistema, attraverso le nuove leve della razza proveniente dal volk tedesco. In nazionalsocialismo non è solo un movimento politico o religioso, è la volontà di creare l’uomo nuovo. Un tema che ritorna sempre. Payne nelle pagine dedicate al regime nazista racconta come Hitler organizzò il Partito e a quali uomini di fuducia si è affidato a cominciare di Rudolf Hesse, Martin Borman e perfino ad una donna Gertrud Scholtz-Klink che capeggiò la Nationalsozialistische Frauenschaft (NS), ideata per costituire i quadri delle donne naziste che dovevano svolgere le funzioni di dirigenti delle tedesche e supervisionare l’indottrinamento e l’addestramento politico. Un discorso a parte per le SS (Schutz Staffeln), le “squadre di difesa”, con le uniformi nere, divennero la più importante organizzazione nazista, “uno Stato nello Stato”. Un gruppo che forse non ha eguali nelle altre dittature, anche se un pò si avvicina la Cheka-OGPU-NKVD sovietica.

A capo delle SS fu messo Heinrich Himmler, un fanatico credente dell’ideologia razziale nazista, che subito immaginò il suo movimento come gruppo d’assalto della sua rivoluzione razziale. Attraverso la “Volksgemeinschaft” si doveva costruire l’uomo nuovo, tutte le classi sociali furono ridotte a dipendere dallo Stato. In pratica, scrive Payne, “l’obiettivo della Volksgemeinschaft di Hitler non era volto semplicemente a una popolazione di tedeschi come si prospettava in quel momento, ma a una comunità razziale biologica in un momento indeterminato del futuro”. Pertanto si cominciò a segregare gli ebrei, poi con l’eliminazione di tutti coloro che erano fisicamente e mentalmente minorati. Di questa campagna contro gli ebrei, Hitler era certo di raccogliere consensi in tutta Europa. Ben presto in Germania si impose una campagna radicale di eugenetica, attraverso “la sterilizzazione di coloro che venivano inclusi nella categoria dei più turbati o fisicamente degenerati. Il secondo momento fu la campagna per l’eutanasia al fine di eliminare i malati terminali e i disabili”. Un particolare viene riportato dal professore americano, “Nella primavera del 1939 furono fatti morire circa 5.000 bambini con problemi mentali e gravemente disabili, mentre in una seconda fase, in autunno, vennero eliminati circa centomila ‘malati incurabili’”. Tutto questo per Payne rappresenta, “ una sorta di prova generale della Soluzione finale, vennero costruiti sei impianti speciali per l’eutanasia, completi di ‘docce’ funzionanti con gas letale, mentre una parte del personale in servizio in seguito sarebbe stato impiegato per uccidere gli ebrei”.

Per quanto riguarda la cultura e la propaganda, sia il fascismo che il nazismo cercarono di utilizzare la propaganda più dei comunisti dell’Urss, per cercare di persuadere e mobilitare le proprie comunità, attraverso elaborate cerimonie pubbliche e comunicazioni visive. “La fruizione dei mezzi di comunicazione di massa fu tra  le più sensazionali caratteristiche della mobilitazione culturale nazista e, in tale strategia, il Dott. Paul Joseph Goebbels divenne il più famoso ministro per la Propaganda del secolo”. Questi aspetti della propaganda del regime nazista sono importanti da studiare, utili per certi versi per comprendere quello che viene fatto oggi dai grandi sistemi di informazione tecnologica, più sosfisticati rispetto a quei tempi.

Nella Germania nazista ci fu grande attenzione all’arte, all’architettura, alla cultura fisica e allo sport. Per quanto riguarda il rapporto del nazismo con la religione cristiana in particolare fu molto burrascoso. In pratica Hitler intendeva distruggere il cristianesimo. “Io sono un uomo religioso – diceva – ma non nel senso comune del termine”. Martin Borman, segretario del partito nazista, poteva dichiarare che “la concezione nazionalsocialista e quella cristiana sono incompatibili”. Per Borman, il nazionalsocialismo si basa su principi scientifici, mentre il cristianesimo, le Chiese cristiane cercano di tenere gran parte dell’umanità nell’ignoranza. In pratica ripete il solito mantra di tutte le ideologie atee del Novecento. Naturalmente la Chiesa cattolica di Roma protesto contro le persecuzioni naziste e nell’aprile del 1937, il Papa di allora Pio XI, scrisse un’enciclica, la “Mit brennender Sorge” (Con cocente dolore) che denunciava il razzismo e le persecuzioni.

Altri fattori da evidenziare del nazismo razzista era il suo forte ambientalismo, “il regime tendeva all’obiettivo di un ambiente più pulito, basato su una vita all’area aperta, e teorizzava la possibilità di una massiccia  presenza della popolazione nelle piccole città e nelle fattorie”. Il nazismo si vantava di essere moderno, di una tecnologia all’avanguardia. “Hitler era ossessionato dalla velocità e dalla rincorsa di sempre di nuovi primati”. Per il professor Payne, “le idee di Hitler affondavano parzialmente le radici nel moderno scientismo delle teorie biologiche e zoologiche germaniche degli ultimi anni del XIX secolo […]”. In particolare Hitler rifiutava molto della cultura europea dell’età medievale, in particolare tutto il cristianesimo storico, irridendo duramente alla ‘superstizione’ premoderna. Certamente tutte le idee politiche di Hitler risalgono all’Illuminismo, del culto della ragione, fondamento dell’Illuminismo, “Hitler non fa altro che spingerlo alle sue estreme conseguenze”. Per lo storico Bell, il trionfo della volontà in Hitler lo fa diventare un tipico prodotto della modernità. E questo contrasta con tanti studiosi che invece lo considerano antimoderno, semplicemente antiliberale; per questi studiosi doveva “essere stato necessariamente ‘reazionario’ non rivoluzionario”. E questo approccio è tipico degli studiosi di sinistra, “in base alla aprioristica supposizione che il concetto di rivoluzione debba riferirsi, ipso facto, a un progetto positivo o creativo. Ma è chiaro che le rivoluzioni sono, di frequente, distruttive. E’ un problema che ha studiato meglio Karl D. Bracher identificando il nazionalsocialismo come movimento rivoluzionario in sette punti. Oppure basta leggere le opere di un altro studioso, J. Ellul che rinvia alle opere di D. de Rougemont, il quale dimostra l’esatta corrispondenza fra il regime hitleriano e quello giacobino, a tutti i livelli.

Certo il nazismo viene identificato come la “dittatura, i massacri, i campi di concentramento, il razzismo, la follia di Hitler. Occorre invece ribadire che il nazismo è stato una grande rivoluzione, contro la burocrazia, contro i vecchi e in favore dei giovani, contro le gerarchie ben salde, contro il capitalismo […] contro la società consumistica, contro la morale tradizionale, a difesa dell’istinto, del desiderio, della passione […]”. E primo di concludere il capitolo Payne insiste nell’indicare il concetto di totalitarismo, che si può attribuire al nazismo, soprattutto nell’ultima fase, ma non al regime di Mussolini che non fu affatto totalitario. Tuttavia seguendo la storica Hannah Arendt, quando afferma che, “un totalitarismo completo, equivalente al modello sovietico, poteva verificarsi solo dopo la vittoria della guerra, a causa delle opposte priorità rivoluzionarie di Hitler a fronte di quelle di Lenin e di Stalin”.

Comunque sia, per Payne solo il sistema socialista o comunista poteva essere totalitario. Ad alcuni osservatori parve evidente che il nazionalsocialismo e il fascismo avessero molte analogie, ma secondo Payne emergono le differenze più delle somiglianze (ne descrive cinque fondamentali). Propongo la 2a. “Nel 1934 Hitler divenne incontrastato capo di Stato e dittatore a tutti gli effetti, una posizione mai assunta da Mussolini”. Per il prof americano, “il regime italiano rimase, in buona misura, uno Stato giuridico semipluralista, con una legislazione ufficiale, e, pur avendo creato il termine totalitario, non tentò di controllare tutte le istituzioni […]”. Gli scrittori e gli artisti italiani potevano produrre liberamente, l’importante che non sfidassero il regime a livello politico. Mussolini fu costretto a rispettare una maggiore autonomia religiosa. Le azioni della polizia erano limitate, in Italia non ci fu mai un vero e proprio sistema di campi di concentramento. Non ci fu mai vera coercizione violenta, per questo secondo Payne, gli avversari del Duce, poterono rovesciarlo. In conclusione Payne descrive in 10 punti, la contiguità tra il nazionalsocialismo e il comunismo sovietico.

Il 7° capitolo (la trasformazione del Fascismo italiano, 1929-1939) facendo riferimento agli studi del professor De Felice, ad Emilio Gentile e a tanti altri, descrive il regime fascista in Italia, i rapporti con la Chiesa, il culto della Romanità, la tentata creazione dell’uomo nuovo o almeno degli italiani nuovi. L’attenzione del fascismo all’istruzione, allo sport, all’arte, al cinema e poi la politica economica, quella estera e il tentato espansionismo, il voler creare a tutti i costi l’Impero. In questo capitolo emergono aspetti interessanti, che devo trascurare, come i rapporti di Mussolini con gli Usa del presidente Roosevelt, ma anche con Hitler, la difesa dell’Austria del Primo ministro Dolfuss, il Manifesto del razzismo italiano del 1938.

Capitolo 8° (I Quattro maggiori varianti del Fascismo) Meritano attenzione secondo Payne i casi dell’Austria del leader cristiano-sociale, Engelbert Dollfuss, che intendeva realizzare gli ideali cattolici dell’ultima enciclica papale Quadragesimo Anno (1931), una figura straordinaria che esaltò i valori cattolici e occidentali del proprio governo, distinti da quelli pagani e razzisti della Germania nazista, un politico che meriterebbe più attenzione da parte degli storici. In Austria si tentò di costruire un sistema corporativo autoritario cattolico-conservatore simile a quello del Portogallo, piuttosto che seguire il modello italiano o tedesco. “Si evitarono le dottrine e i fini caratteristici del fascismo, perché non vi era alcuna intenzione di formare un rivoluzionario ‘uomo nuovo’, distinto da quello autriaco di matrice cattolica mentre furono categoricamente respinti il militarismo, la violenza gratuita e qualunque politica estera di aggressione”.

In Spagna ci fu il movimento intorno alla Falange Espanola, fondata da Josè Antonio Primo de Rivera, che difese più a lungo una certa idea di fascismo. Anche se per la verità il falangismo differiva dal fascismo per la sua identità cattolica. C’erano diverse posizioni politiche della Destra, anche contrapposte, tra tutti emerge il Carlismo e i monarchici sostenitori di Alfonso. Oltre a Jose Antonio di distinsero diverse figure importanti della politica spagnola, a cominciare da Calvo Sotelo, Ernesto Gimenez Caballero, il D’Annunzio spagnolo.

Il testo naturalmente affronta la Guerra Civile del 1936-39, con la vittoria del generale Francisco Franco, nasce così il suo regime che non poteva essere considerato fascista per tanti motivi, descritti nel testo. Dopo la Spagna si dà spazio all’Ungheria, dove si sviluppa il gruppo che maggiormente si avvicina al fascismo, le Croci frecciate di Ferenc Szalasi. Infine la Romania dove c’era la presenza della Guardia di Ferro di Corneliu Zelea Codreanu. Un movimento molto particolare che genericamente viene classificato come fascista, ma presentava caratteristiche individuali proprie. Anche Codreanu meriterebbe più attenzione, una figura mistica religiosa, avendo fondato anche la Legione dell’Arcangelo Michele. Qui nel libro di Payne che si appoggia alle descrizioni di Ernst Nolte si dà un’immagine fortemente negativa del movimento e di Codreanu stesso, ritenendolo un fanatico maniacale. Addirittura si paragona la Guardia di Ferro ad una setta cristiana ereticale, anche perchè c’era una forte esaltazione della Legione al martirio dei suoi seguaci. Nella mia prima giovinezza ho letto più di un libro e mi sembrava un’altra cosa il movimento fondato da Codreanu.

Il 9° capitolo (I movimenti minori) C’è un dato di fatto, secondo Payne, tra le due guerre, in Europa, si registrano più regimi autoritari che parlamentari.

Il libro descrive i vari movimenti che si ispirano al fascismo all’interno di regimi democratici. Si comincia con la Francia. Il Belgio, dove troviamo la figura chiave di Leon Degrelle. Quindi la Gran Bretagna, per passare al Portogallo, dove dovremmo soffermarci un poco per descrivere il particolare governo autoritario del professore universitario Antonio Oliveira Salazar. Questo libro di Payne è importante perchè credo che non ripete il cosiddetto “politicamente corretto” su questi governi autoritari o movimenti che sono stati sbrigativamente considerati “fassisti”. Su Salazar e il suo governo ho già presentato uno studio qualche anno fa, purtroppo non esiste quasi niente in italiano. La pubblicistica se ne guarda bene di studiarlo e di farlo conoscere. Eppure meriterebbe essere conosciuto. Salazar era cattolico e ostile a qualsiasi forma di radicalismo, “cercò di coniugare il corporativismo economico con un liberalismo politico semiautoritario controllato […]”. Lo Stato e la Chiesa rimasero separati. Salazar rifiutò il “cesarismo pagano”, delle forze neofasciste presenti in Portogallo, i cosiddetti nazionalsindacalisti.

Il libro di Payne si occupa anche del Fascismo fuori dell’Europa (Giappone, Cina, Sudafrica, America Latina, Stati Uniti).

Nella seconda parte il testo affronta il tema dell’interpretazione degli studiosi del fascismo. Per comodità il libro li riassume in tredici categorie, a volte coincidenti tra loro. Naturalmente lo studioso americano si appoggia ai vari studiosi come De Felice, Nolte, Griffin, Del Noce, Gregor e tanti altri. Del resto il libro propone una ricca bibliografia di oltre 50 pagine.

DOMENICO BONVEGNA

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