
In queste settimane i media fanno abbondante uso del termine “genocidio” per quello che sta succedendo a Gaza, ma i veri genocidi sono altra cosa, a cominciare da quello armeno all’inizio del Novecento, nel 1915, in Turchia con lo scopo di “liberarla” della presenza armena. In questa estate ho preso in esame un libretto edito nel 2006 dalle edizioni Angelo Guerini e Associati S.p.A., “Metz Yeghern. Breve storia del genocidio degli armeni” di Claude Mutafian. E’ un opuscolo pubblicato dal Comitè pour la Commemoration du 24 april 1915, sotto l’alto patronato della Chiesa armena.
Il testo si legge agevolmente, si tratta soltanto di 79 pagine con alcune foto e soprattutto con 2 cartine che documentano la pulizia etnica che ha colpito la popolazione armena. Il testo presentato da Mario Nordio sostiene che il genocidio non ha motivazioni religiose, così come quello voluto da Hitler per il popolo ebraico. Una prima domanda che il testo pone è perché? Cerca di rispondere alla complessità della materia, l’autore, che intende operare per fare giustizia a un popolo che è stato praticamente sacrificato, da chi sapeva e non ha fatto niente. E’ stato l’ONU a definire nel 1948 il massacro degli armeni come genocidio, perché si è trattato di un massacro di massa con una volontà sistematica e pianificata da parte dei dirigenti turchi. Le due domande che ci si pone: perché e i che modo è stato fatto. Ben presto se ne aggiunge una terza: come si spiega che alla fine del XX° secolo questa tragedia, che ha cancellato dalle carte il nome di un popolo intero, non sia ancora registrata dalla Storia?
A queste tre domande il testo di Mutafien cerca di dare una risposta. Al massacro degli Armeni dedica un capitolo del suo libro un giornalista inglese, Robert Fisk, corrispondente del quotidiano The Indipendent, definendolo “il primo olocausto” a pagina 385. Il corposo volume di ben 1180 pagine, pubblicato da Il Saggiatore nel 2006, (riedito nel 2023) ha per titolo, “Cronache Mediorientali”. Fisk, uno dei più celebri corrispondenti di guerra al mondo, racconta cento anni di scontri, occupazioni, trasformazioni in Medio Oriente e in tutto il bacino del Mediterraneo. Protagonisti sono le popolazioni del Medio Oriente a partire dall’Afghanistan, l’Iran, la Palestina e poi tutti i fronti mediorientali. Nell’introduzione Fisk scrive che esistono i Buoni, “i Brutti e i Cattivi, i vincitori, i vinti. Naturalmente tra questi, i nomi eccellenti che circolano nelle pagine del libro sono Bin Laden, Saddam Husseini, Khomeni, Yasser Arafat, Hassan Nasrallah, Hafez Assad, lo Scià di Persia Reza Pahlevi, George Bush, Mikail Kalasnikov, l’inventore del famoso fucile automatico più famoso del mondo. Interessante la storia descritta su Haj Amin (Il Gran Mufti di Gerusalemme) che ha collaborato con i nazisti. Il testo inevitabilmente è corredato da una serie di cartine geografiche. Fisk da buon giornalista sa raccontare e sa coinvolgere il lettore.
Ma torniamo agli Armeni, Fisk inizia il suo racconto, partendo dalla collina di Morgada nel deserto orientale della Siria, qui c’è un fiume, l’Habur. In questo luogo la fotografa Isabel Ellsen ha documentato una scena macabra: crani ovunque, scheletri interi, ossa dappertutto. “In questo piccolo macello furono assassinati forse 50.000 armeni; ci vollero un paio di minuti perché Ellsen e io ci rendessimo pienamente conto di stare in mezzo di una fossa comune”. Praticamente Morgada, come altri migliaia di villaggi in quella che era l’Armenia turca, “sono l’Auschwitz del popolo armeno, il luogo del primo, dimenticato, olocausto della storia”. Il confronto con Auschwitz è tutt’altro che forzato. “Il terrore turco contro il popolo armeno – scrive Fisk – fu il tentativo di distruggere un’intera razza. Morirono quasi un milione e mezzo di armeni”. I Turchi cercano di giustificare il loro delitto, dicendo che si è trattato di “reinsediamento” della popolazione armena, come fecero più trdi i tedeschi con gli ebrei in Europa. Fisk porta dei documenti come prova: il 15 settembre 1915 il ministro degli Interni Taldat Pasha telegrafa al prefetto di Aleppo. In questa telefonata si affermava che il Governo turco decise di eliminare completamente le suddette persone residenti in Turchia. Devono cessare di esistere, senza riguardo alcuno per età o sesso, né scrupoli di coscienza. Sono le stesse parole di Himmler nel 1941 rivolte agli assassini delle SS. Fisk fa parlare ancora quei pochi superstiti dello sterminio, Boghos Dakessian sa tutto sulla collina di Morgada: “I Turchi portarono qui intere famiglie per sterminarle. Andò avanti per giorni. Li legarono insieme a file, uomini, bambini, donne, quasi tutti stremati dalla fame e dalle malattie, molti nudi. Poi li spingevano nel fiume e sparavano a uno di loro. Il peso del morto trascinava a fondo gli altri, che annegavano. Costava meno. Bastava una sola cartuccia”. E’ lo stesso metodo che poi userenno i titini comunisti con gli italiani scaraventati nelle foibe. Ma anche con gli annegamenti dei vandeani durante la Rivoluzione francese. Sorvolo sugli altri racconti. “La storia del genocidio degli armeni è una sequela di orrori perpetrati da soldati e poliziotti turchi entusiasti di aver avuto l’ordine di sterminare un popolo cristiano del Medio Oriente”. La Turchia accusava gli armeni di stare con i nemici degli Alleati nella Prima Guerra mondiale. Prendendo il potere i Giovani Turchi, la situazione politica muta. Questi erano un movimento nazionalista, razzista, panturco, votato alla creazione di una nazione musulmana. Per questo i turchi si accanirono contro gli armeni con la stessa furia con cui, vent’anni dopo, i tedeschi si sarebbero accaniti contro gli ebrei.
Il 24 aprile si decisi di arrestare e assassinare tutti i principali intellettuali armeni di Costantinopoli e poi la totale e sistematica eliminazione del popolo armeno. Ci sono racconti raccapriccianti di Fisk riportati nel libro, come quello della gola di Kemakh a Mayremi, dove i soldati curdi della Brigata di Cavalleria turca macellarano più di 20.000 donne e bambini. A Bitlis i turchi annegarono nel fiume Tigri più di 900 donne. Il massacro di Erzinjam fu tale che il corso del fiume Eufrate deviò per un centinaio di metri a causa di una barriera formata dalle migliaia di cadaveri. Fisk riesce a documentare l’esistenza di diversi campi di sterminio in Siria, in pratica piccole Auschwitz. In una grotta fu individuata una tomba dove trovarono la morte oltre cinquemila armeni, col metodo del fumo tossico proveniente dal fuoco acceso all’imboccatura della grotta. E’ la prima camera a gas del Novecento. Fisk è convinto che ci sono molte analogie tra il genocidio armeno e quello ebraico. Ci sono studiosi armeni che hanno fatto la mappa dettagliata della persecuzione, in particolare dell’uso delle linee ferroviarie. I diplomatici americani furono i primi a documentare l’olocausto armeno. A cominciare da Leslie Davis., che ci ha lasciato uno spaventoso resoconto dei suoi viaggi nelle terre della morte. Ci furono anche tedeschi tra i testimoni dei massacri. Furono i primi a vedere con i loro occhi i primi carri bestiame per la deportazione di esseri umani, come quelli poi utilizzati da nazisti con gli ebrei. Fisk documenta senza risparmiarsi le crudeltà degli eccidi dei turchi ma anche da parte dei macellai curdi. I sopravvissuti all’olocausto ormai sono morti, ma i loro figli ne raccolgono le storie. Tuttavia, Fisk ricorda che il primo a raccontare il genocidio degli Armeni fu Winston Churchill. Non esiste nessun dubbio che questo crimine fu pianificato ed eseguito per motivi politici. Tra gli studi più approfonditi Fisk individua quello dell’armeno Vahakn Dadrian che riporta il Rapporto dettagliato di un tedesco von Scheubner Richter, tra l’altro, un ispiratore del Nazismo. Descriveva i metodi dei turchi, come intrappolare gli armeni, il ricorso alle bande di criminali. Non sappiamo se Hitler sapesse dell’olocausto armeno tramite il suo amico von Scheubner. Fisk dà conto anche dei vari tribunali che furono poi istituiti per punire i responsabili di questi orrendi crimini. “Ma ai Tribunali turchi – scrive Fisk – mancò la volontà politica di andare avanti”. Anche perché gli alleati occidentali, non avevano interesse a farlo. Si preferì silenziare il genocidio pianificato degli armeni.
L’ultima parte del capitolo si occupa degli altri massacri che hanno caratterizzato il Novecento prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il mondo pullula di genocidi, grandi e piccoli. Interessante quello avvenuto tra il 1930 e il 1933 in Ucraina, morirono 11 milioni di persone nella “fame del terrore”. Non c’è solo quello ebraico, ma ci sono altri olocausti con la “O” maiuscola che meritano essere ricordati. Quando Giovanni Paolo II accennò al genocidio degli armeni, preludio degli orrori in a venire, un giornale turco lo vilipese in prima pagina con un titolo: “Il Papa da demenza senile”.
DOMENICO BONVEGNA
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