Il “Centro” tra cartelli elettorali e conventicole di cartone. Riflessione dedicata e indirizzata non a nostalgici “ex” ma attivi “in”

Il dato. Il Centro non è più plasticamente riconoscibile negli emicicli del Parlamento.

Il punto interrogativo. È possibile una “ri-composizione ” di un’area cristiano-sociale, popolare e riformatrice?

 

Il senso. Non sia stampella elettorale di coalizioni posticce in disegni scombinati. Non si rispolverino categorie novecentesche. Non ci si rivolga ad un ipotetico elettorato moderato, ad assunto pacato ceto medio, a una mollacchia borghesia conservatrice.

Perché?

Perché vi sono steccati e cortine più insidiose rispetto a quelle  post-belliche.

Nessuno teme il fascio. Tutti paventano lo sfascio che proviene da destra e da sinistra, dalla deriva anarcoide e dalla ortodossia massimalista, da saluti romani e da rinvii sempre a domani, da promesse e tradimenti statali, da misure del pubblico senza misurarsi con il rischio delle imprese, delle professioni, delle partite iva.

Può suonare stonato ma le persone e le personalità di Centro sono storicamente rivoluzionarie. Oggi ancora di più tra eguaglianza e libertà.

È davvero difficile ricercare sviluppo e nella sicurezza senza solidarietà e sussidiarietà. 

Difficile l’equidistanza tra ricchi e poveri, alti e bassi, forti e deboli, emancipati e sottomessi, eguali e diversi.

Insomma tra primi e ultimi. Primi negli arrivi ma non nei blocchi di partenza. 

Prima di domandarci se una terra di mezzo può rigenerarsi nella offerta politica, occorre – tuttavia  – chiedersi se sussiste ne mare della domanda politica.

Talune categorie concettuali appaiono superate o svuotate per un verso in guisa della globalizzazione della economia e per altro di proposte di partito e di governo legate a gigantografie di  individualità.

È inevitabile sottomettersi a sovranismi, centralismi, populismi, razzismi, localismi? È inevitabile cedere il passo agli intemperanti, agli odiosi, ai livorosi? È inevitabile accedere a letture e azioni striscianti e/o belligeranti?

Di certo occorre calarsi in rivolgimenti sociali inediti. Quale storia viviamo?  Quale novità ci attende?

A questo punto vi sono due possibilità: strumentalizzare le paure di un elettorato diffusamente antisistema e incazzato o distillare speranze in un corpo sociale che può sorprendere. Questo corpo sociale è, infatti, intimamente convinto della necessità di un vivere sociale improntato ai valori della Costituzione.

Dicevamo speranze … ma  realisticamente (programmaticamente e fattivamente) senza illudersi senza illudere.

Invocare il “Centro” non è sufficiente anzi non è utile.

Mentre la casa brucia gli unici che, tuttavia, possono non solo pregare ma anche studiare nella ribellione e nella visione sono di Centro.

Prima della scena pubblica vi è la prova sia per il calpestio della scena sia per l’empatia con il pubblico … che neppure a teatro si limita ad assistere perché è davvero il protagonista da coinvolgere e con cui fare i conti.

Si chiama prepolitica. Ciò che abbiamo abbandonato. 

Ritornare al prepolitico si può. Ritornare all’associazionismo di base per la formazione della classe politica, si può. Si deve. Si vuole? Ripensare ai fondamenti del funzionamento delle democrazie, si può. Si deve. Si vuole? Recuperare in sapienza il concetto di centralità della persona all’insegna del Magistero, si può. Si deve. Si vuole?

Irrilevante ed insignificante (meglio dannoso) è solo considerare le scelte di politici politicanti alle prese sempre con le prossime elezioni nonché di elettori funzionali alle prese sempre con crampi allo stomaco a cui demagoghi demiurghi sanno parlare.

Comunque sia gli spezzatini di “noi moderati” e di “Italia sul serio”, come concepiti o tradotti, sono già decotti tra istinti di sopravvivenza e ormoni autoreferenziali in circolo.

 

Emilio Fragale