VOTO IN LOMBARDIA: DE BENEDETTI GIOCA LA CARTA MORATTI LETTA CALA LA “SCARTINA” MAJORINO

Il Partito democratico non ha da tempo un’ideologia, bocciata dalla storia, che negli anni s’è annacquata passando da una sigla a un altra e non ha più quella base che ne determinava la forza elettorale.

I sondaggi delle ultime ora raccontano di un assestamento intorno al 17per cento. C’è chi vorrebbe riformarlo e chi, più semplicemente, cerca solo le spalle di un altro segretario sulle quali caricare il peso della gestione delle fameliche e litigiose correnti mosse da un eterno tutti contro tutti. Dove gli ex comunisti, che prudentemente si tengono sempre in seconda fila, non possono rassegnarsi alla mutazione della Ditta, per cui la loro missione ha un unico obiettivo: azzoppare chiunque non venga dalla loro storia. Dimenticandosi che a inglobare quel che rimaneva della ormai inesistente Democrazia cristiana furono proprio loro, per semplicistiche ragioni elettorali.
Da Prodi fino a Letta, passando per Renzi e Gentiloni hanno bruciato tutti i nomi spendibili con matrice Dc-Margherita, personaggi di indiscusso valore che hanno traghettato gli ex comunisti nella sempre più affollata area di centro. Hai voglia a chiamarla sinistra, di sinistra ormai non c’è più nulla. Ne è la riprova l’attuale segretario dimissionario che, nonostante i tradimenti e le porte in faccia, in un interminabile e stantio gioco dell’oca, continua a vedere il futuro – suicida – nella sudditanza al Movimento dei 5 Stelle. Che, piaccia o no, del Pd sarebbe la fine.
E, infatti, la cosa che più sorprende è il totale disinteresse di Enrico Letta sembra avere per il risultato elettorale. Per un leader politico è un difetto non da poco. Specialmente dopo i palesi errori strategici del 25 settembre. Ora è il momento di provare a vincere. Lo dimostra che sul caso Lombardia abbia voluto dire la sua perfino il proprietario della tessera numero uno del Partito democratico, Carlo De Benedetti che ha invitato tutti a riflettere sulla candidatura di Letizia Moratti.
Se la politica è l’arte del compromesso, il cambio di campo dell’ex presidente della Rai ed ex ministro di Forza Italia, potrebbe essere l’unica carta vincente sul tavolo per conquistare il palazzo della Regione e assestare un micidiale colpo da ko a Salvini e alla Lega. Indubbiamente la mossa potrebbe creare qualche prurito nell’elettorato già deluso del Pd. Ma l’alternativa è una sconfitta certa che rafforzerebbe maggiormente la destra e che consegnerebbe il Partito democratico a una crisi dalla quale sarebbe difficile uscire. Il calcolo da fare è molto semplice: il Pd perderebbe più elettori con una nuova sconfitta o, finalmente, con una vittoria?
Il livore di Letta nei confronti di Renzi (soprattutto) e Calenda gli impedisce di ragionare freddamente e appoggiare una candidatura sulla quale i due riformisti hanno immediatamente appoggiato il cappello. Meglio un’altra sconfitta pare volere il segretario dimissionario, piuttosto che un compromesso, piuttosto che fare politica. E così dal cilindro ammaccato del Partito democratico spunta fuori il nome di Pierfrancesco Majorino, buon scrittore, ma sconosciuto ai più, vittima sacrificale della miopia politica di Enrico Letta.
Nicola Forcignanò