I conti con il passato: Giada Lo Porto, la mafia è un virus che colpisce chi non reagisce alle ingiustizie

Il convoglio di autovetture blindate fu sollevato in aria come fuscello nella tempesta. La più classica e ignobile delle imboscate si stava consumando sull’autostrada A/29 tra Punta Raisi e Palermo. Pochi secondi prima, le tre Fiat Croma erano ordinatamente in fila: la prima era di colore blu, quella in mezzo di colore bianco, l’ultima di colore azzurro. L’esplosione provocò una onda d’urto sulla corsia opposta che fece volare detriti per un raggio di duecento metri. Il commando di Cosa Nostra aveva centrato l’obiettivo facendo brillare una carica esplosiva di circa cinquecento chili sotto la carreggiata. Il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della sua scorta, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, non ebbero scampo. E’ il 23 maggio 1992. Mancano meno di tre minuti alle diciotto. Per la precisione sono le 17 e 56 e 48 secondi.

Lo scenario che salta fuori in questi lunghi anni di inchieste, storie e ricostruzioni è di una drammatica devastazione morale. Alla fine tutti hanno tradito, chi per soldi, chi per ambizione, chi per paura. Nelle aule di giustizia italiane fa bella mostra di se l’immagine della bilancia con la scritta: “La legge è uguale per tutti”. Sovviene forse il dubbio che non tutti sono uguali di fronte alla legge. Da tanti che in questo lungo tempo si sono impegnati a non tradirne la memoria, da tanti che sentono, più o meno legittimamente, di averne raccolto l’eredità, ma anche, giusto dirlo, dai troppi estimatori postumi. Sarà la storia a dire chi è stato all’altezza dell’esempio e chi no, noi non ne abbiamo l’autorità, però ci piace l’idea di ricordare Giovanni Falcone, e con lui Paolo Borsellino che 57 giorni dopo ne ha condiviso consapevolmente la vita e la morte e con loro gli angeli custodi che li seguivano per proteggerli e per farlo incontriamo Giada Lo Porto, giornalista e scrittrice, siciliana, molto sensibile a queste tematiche sociali. La volontà di cambiamento passa attraverso azioni concrete e i giornalisti non possono che esserne interpreti principali.

Giada Lo Porto, l’Italia, la Sicilia celebra, come ogni anno, l’anniversario della Strage di Capaci e a luglio si ricorderà i martiri di via D’Amelio. Falcone e Borsellino eroi per sempre: cos’è rimasto del loro percorso?

Più che eroi mi piace definirli persone normali che hanno svolto il loro lavoro e hanno sacrificato la loro vita per la nostra terra, la Sicilia. Lo faccio quando ne parlo ai ragazzi a esempio o dal palco del Festival Falcone e Borsellino di Capaci, perché credo che ciò che è rimasto del loro percorso sia proprio l’insegnamento più puro di tutti: lo spirito di servizio che un magistrato, un uomo di Stato, deve onorare perché non può fare diversamente, a qualunque costo. Falcone e Borsellino lo hanno fatto, fino all’ultimo respiro, sempre, perché l’eroismo in fondo è questo: avere il coraggio di essere persone normali che svolgono il lavoro che hanno scelto e che amano, senza scendere a compromessi, anche se la vita ti mette alla prova, anche se hai paura, perché si è umani ed è normale averne, continuare, non fermarsi. Sono un grande esempio per i nostri giovani.

Che cosa ti inquieta di più?
Le ombre che si intravedono e restano sulla porta, ferme, sull’uscio, le verità scomode. Insomma, da un lato la lettura è ormai sotto gli occhi di tutti: Falcone e Borsellino non sono stati eliminati solo da Cosa Nostra ma per una serie di interessi convergenti. Dall’altro questa verità che non arriva, questa giustizia che non arriva, e l’angoscia anche solo di pensare che potrebbe non arrivare mai.

Se dovessi spiegare a un ragazzino delle medie la mafia che cosa diresti?
Credo che racconterei una storia. Probabilmente direi che la mafia è una sorta di virus, come quello che in questi mesi ci ha costretti in casa, e che colpisce chi non reagisce alle ingiustizie, chi vede qualcosa di sbagliato e non parla, chi subisce senza aprire bocca il potere dei bulli della scuola a esempio, visto il contesto, direi pure che si può essere immuni da questo virus reagendo, parlando, anche se si ha paura, che non ci si deve vergognare di avere paura, perché è proprio attraverso il silenzio delle persone che il male continua a diffondersi. E invece può essere sconfitto e ognuno di noi deve fare la sua parte, anche se sei ancora un ragazzino che magari sogna di diventare un’astronauta o un calciatore.

Non ho mai compreso il motivo per il quale chi scrive storie di criminalità deve avere la benedizione dei soliti noti altrimenti è lettera morta. Davvero siamo diventati così cinici e opportunisti da non vedere il valore delle idee?
Guarda, a questo proposito consiglierei a chiunque di leggere le parole di un giornalista polacco che parla proprio di cinismo e opportunismo in ambito giornalistico, ovvero Ryszard Kapuscinski. Secondo lui il cinico non è adatto a questo mestiere e anzi bisogna essere empatici e sostanzialmente “buoni” per farlo. Devi avere sensibilità per raccontarla, per entrare dentro ai fatti e alle storie. Purtroppo non è proprio così che va e per rispondere alla tua domanda, sì, a volte il valore delle idee non si vede, nella mia esperienza personale però posso dirti che ho sempre trovato persone che si fidavano delle mie idee e che mi hanno dato l’opportunità di crescere professionalmente e dimostrare quello che sapevo fare, anche perché sono testa dura e se mi incaponisco su una cosa, sono guai.

L’attualità ci racconta che le istituzioni spesso non sono state così rigide nel combattere il crimine: dalla politica alla sanità, dall’antimafia di facciata alle stesse forze di polizia: possibile che non esistono gli anticorpi?
Beh, proprio stamattina abbiamo dato la notizia dell’arresto di Antonino Candela per corruzione, manager della Sanità e oggi coordinatore per l’emergenza coronavirus in Sicilia. Veniva definito il manager anti-tangenti, per anni ha vissuto sotto scorta, adesso è lui accusato di corruzione. È stato intercettato mentre diceva: “Io sono il capo condominio della sanità”. Credo che la risposta a questa domanda sia collegata a quelle precedenti: gli anticorpi ce li creiamo da soli, non ci vengono mica dall’esterno, siamo noi responsabili delle nostre scelte, e qui riprendo il concetto dell’eroismo delle persone normali che svolgono il loro lavoro senza scendere a compromessi.

I magistrati quando vanno in televisione si dicono preoccupati per la cosiddetta zona grigia: come si distingue il confine tra la paura e la convenienza?
Credo che sia tutta questione di leggersi dentro, qui non c’entrano gli altri, ognuno alla fine della giornata deve guardarsi allo specchio e non tutti possono farlo, come ho detto prima è giusto provare paura, è umano, ma se so qualcosa che è fondamentale per dirimere una questione “annodata” e non la dico per paura allora lì la paura sfocia in convenienza.

Da giornalista impegnata mi spieghi perché ogni vicenda che parla di mafia, dai pentimenti alle rivelazioni, dal caso Montante al litigio tra Bonafede – Di Matteo, si tinge di giallo? Ma la verità non ci rende liberi come dice Gesù Cristo?
Beh qui, riprendo te, e a proposito di confini, ti dico, che bisognerebbe capire quello tra libertà e convenienza…