FEDERPETROLI ITALIA: RIAPRIRE IL RUBINETTO DEI GIACIMENTI DI GAS

Anche se può sembrare poco politically correct, quello che il ministro Cingolani dice oggi noi di FederPetroli Italia lo ribadiamo da anni. Su Chicco Testa resto un po’ perplesso, è stato a capo……

La situazione è molto semplice: in Italia ci sono pozzi a olio e gas già perforati e “tappati”. Vuol dire che basta aprire il famoso rubinetto e possono entrare in produzione facendo transitare gas che arriva nelle nostre case e olio diretto alle raffinerie.

Un passo importante nel settore è la collaborazione estera della nostra azienda energetica nazionale Eni che con la nuova nata Plenitude e Copenhagen infrastructure partners (Cio) che sarà impegnata per le gare nell’eolico offshore in Polonia.

 

Il prezzo della benzina e delle bollette legate al consumo di energia è salito a livelli catastrofici. Tra le soluzioni che si leggono in questi giorni, la più concreta – ed è tutto dire – è l’annuncio dell’entrata in funzione di un impianto dimostrativo per la produzione di energia tramite la fusione nucleare. L’impianto, progettato dalla canadese General Fusion, entrerà in funzione nel 2025 a Culham, nel Regno Unito. La General Fusion è finanziata dal magnate Jeff Bezos e ha trovato un accordo con la Uk Atomic Energy Authority (Ukaea), l’agenzia governativa che si occupa di fusione nucleare. Sarebbe una svolta epocale come l’invenzione del motore ad acqua, perché il nucleare da fusione è sicuro e non inquina, anche se non è ancora dietro l’angolo. Comunque sia, nei Paesi nordici e anglosassoni la ricerca nel campo delle nuove energie non è ferma ai pannelli fotovoltaici cinesi, come avviene in Italia.

A proposito dei rincari del prezzo dell’energia, tema che riguarda i conti di ognuno come la politica internazionale, L’Opinione delle Libertà ha intervistato Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, uno dei pochissimi nel nostro Paese in grado fare chiarezza.

Presidente Marsiglia, la Casa Bianca ha raccomandato ai petrolieri americani di produrre di più. In Italia, il ministro Cingolani dichiara che “non si tratta di trivellare di più, ma di usare giacimenti esistenti, che sono chiusi e possono essere riaperti in un anno”. Aggiunge Chicco Testa: “Non si può pensare che lo Stato continui a stanziare miliardi di aiuti per gli aumenti delle bollette e del carburante”. Senza nuovi investimenti nell’estrazione o un ritorno al nucleare civile non ne usciamo. Cosa propone FederPetroli?

Anche se può sembrare poco politically correct, quello che il ministro Cingolani dice oggi noi di FederPetroli Italia lo ribadiamo da anni. Su Chicco Testa resto un po’ perplesso, è stato a capo di Legambiente e poi membro del Cda di un’azienda mia cliente nell’estrazione petrolifera internazionale, e questo genera un po’ di confusione. La situazione è molto semplice: in Italia ci sono pozzi a olio e gas già perforati e “tappati”. Vuol dire che basta aprire il famoso rubinetto e possono entrare in produzione facendo transitare gas che arriva nelle nostre case e olio diretto alle raffinerie. Tutto questo porterebbe a oltre il 45 per cento di diminuzione di costo sulla bolletta energetica delle famiglie italiane. La situazione Usa è corretta: nonostante la politica green di Joe Biden, non si trascura un’industria che ancora oggi è fondamentale e dà vita economica e fabbisogno energetico all’America, quella dell’Oil & Gas. Le politiche di Transizione sono delicate e vanno curate, altrimenti si entra in situazione di crash, con enormi danni alle aziende e all’occupazione.

Si possono compensare i rincari migliorando i contratti e le relazioni coi Paesi più vicini, cioè Libia e Algeria, anche se hanno problemi politico-sociali drammatici, in Libia come in Algeria? Sono previsti nuovi oleodotti, nuovi contratti?

Compensare i rincari con la politica estera è anti-economico e fuori da qualsiasi disciplina finanziaria. Ben venga il consolidamento dei rapporti esteri, della cooperazione e delle relazioni internazionali ma ogni Stato deve curare la propria Politica energetica da sé, senza ovviamente far mancare quell’approvvigionamento estero che permette di avere materie prime diverse. Nuovi progetti e linee di collegamento come le pipeline sono condizionati dagli assetti politici e interni dei Paesi ospitanti. È di qualche giorno fa la notizia che in Libia un gruppo armato minaccia alcuni politici, ottenendo così il conseguente sabotaggio delle elezioni politiche. FederPetroli Italia non ha mai nascosto il suo appoggio a Saif Gheddafi, addossandosi le accuse di voler fare una “politica petrolifera di terrorismo e appoggiando personaggi poco cristallini all’estero”. Vediamo cosa succederà.

Sono d’accordo: ci vuole realismo, e se aspettiamo un San Giovanni presidente della Libia vuol dire che non ci rendiamo più conto della realtà… La Germania vuole “mettere in pausa” Nord Stream 2, in relazione alla crisi in Ucraina, forse anche per fare pressioni sulla Russia sul prezzo delle forniture energetiche. Si possono ipotizzare altre forme di pressione sui Paesi produttori, anche se questi non sono più riuniti in organizzazioni monolitiche come l’Opec di una volta?

La storia del Nord Stream 2 non è nuova alle cronache: un continuo tira e molla tra Germania e Russia. Meglio starne fuori, problemi politici tra di loro. I Paesi produttori restano forti e solidi, specialmente quando si parla dei paesi arabi, grandi produttori. Con Opec o Opec+ è evidente che la politica petrolifera che regna è quella mediorientale.

È vero che i tempi e i modi della transizione energetica anti Co2 hanno prodotto gli attuali rincari, e in che modo?

È vero che ogni Transizione genera dei costi, e più veloce si va e più i costi aumentano. I rincari di oggi sono figli di una pandemia e di diversi lockdown che nel tempo hanno generato una nuova politica industriale. Ci siamo dovuti in breve tempo adeguare a una nuova situazione mondiale, non parlo solo dell’Oil & Gas ma di tutti i settori. Sì a una fase di Transizione ma con regole, leggi, e politiche chiare, altrimenti anche le date dei vari Cop26 resteranno vane.

Nonostante i proclami, ancora oggi la Germania produce la maggior parte della sua energia col carbone: 450 g per Kw/h contro i 100 della Francia. Non parliamo di Cina e India. La Norvegia invece, nonostante abbia grandi riserve di idrocarburi, ha i parchi eolici più imponenti d’Europa. Da noi siamo fermi alla mitologia dei pannelli fotovoltaici, per niente competitivi col petrolio. Ora sembra che si possano fare, in zone ventose come la Sardegna, offshore. Come conciliare politiche per l’ambiente e insieme permettere a fabbriche e famiglie di avere energia, luce e calore invernale?

La cosa più importante è quella di saper sfruttare nel migliore dei modi il mix energetico, ovvero tutte le energie disponibili che possano interagire tra di loro. Una corretta e definita Strategia energetica nazionale. Il grande problema dell’Italia è quello di voler usare, il più delle volte solo per una propaganda politica, solo un tipo o massimo due di forme energetiche. Tutto questo non è politica energetica ma ignoranza. Si sarà sempre in perdita. Se alcune zone del nostro Paese sono idonee all’eolico ben venga, come altre forme di energia. La Sardegna per posizione geografica ha sempre avuto grandi potenzialità energetiche. Un passo importante nel settore è la collaborazione estera della nostra azienda energetica nazionale Eni che con la nuova nata Plenitude e Copenhagen infrastructure partners (Cio) che sarà impegnata per le gare nell’eolico offshore in Polonia.

Il Sole 24 Ore scrive: “Il ministero dell’Ambiente – oggi della Transizione ecologica – aggiorna periodicamente il Catalogo dei Sad e dei Saf , cioè i Sussidi ambientalmente dannosi e i Sussidi ambientalmente favorevoli. La catalogazione di 171 voci nasce dal presupposto etico (ideologico?) secondo l’effetto che viene attribuito. Per esempio, benzina e gasolio sono penalizzati da disincentivi fiscali pesantissimi (circa il 200 per cento rispetto al costo industriale), ma il disincentivo che colpisce il gasolio è definito “sussidio” pari a 5,15 miliardi perché è un po’ meno severo dell’accisa che penalizza la benzina, ed è raggruppato fra quelli che danneggiano l’ambiente (il motore diesel emette meno Co2 ma più polveri fini rispetto al motore a benzina). Come contrastare l’ambientalismo “social” che non capisce che l’Iva al 10 per cento sul metano per uso domestico non è un incentivo all’inquinamento, ma permette alle famiglie più povere di scampare, senza doversi indebitare per comprare cucine a induzione e pannelli fotovoltaici? Ora dicono che lo sgravio fiscale è un finanziamento e un incentivo a chi inquina…

Mi viene in mente un periodo di un bel po’ di tempo fa, quando la Commissione europea licenziò degli incentivi agli agricoltori per la produzione del latte mentre un’altra divisione della stessa Commissione stanziò incentivi a chi avesse contribuito a una razionalizzazione nella produzione di latte. Era il periodo delle “quote latte” con mille manifestazioni nel Paese. Due mani che fanno l’esatto contrario, si chiama “controsenso”. Un po’ quanto esposto nella sua domanda. Gli oneri di sistema sono una Tachipirina ma non una soluzione al male. Bisogna riconoscere che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sta facendo di tutto per non fare una brutta figura e per viaggiare su un piano di equilibrio che tuteli le famiglie ed il tessuto produttivo italiano. Qui si tratta di Politica, niente più e niente meno. Non si gioca con le famiglie italiane e le imprese per prendere qualche voto in più in Parlamento. Non è giusto. La discussione sui sussidi è ancora troppo articolata e confusa. Ribadiamo che per noi e per le compagnie petrolifere ci vogliono leggi e decreti chiari, altrimenti è solo propaganda.

Meglio i carburanti fossili tradizionali: l’auto con motore a biocarburante inquina l’aria più di quella tradizionale. Punto e a capo: lo dicono fonti pro-Transizione ecologica.

La dichiarazione del Ceo di Toyota è stata chiara. Il petrolio inquina, anche l’elettrico inquina e se andiamo a guardare tutte le forme energetiche hanno un loro gap. Anche il cemento inquina ma questo non vuol dire che da qui al 2026 vivremo tutti in palafitte.

 

Paolo Della Sala