ENCICLOPEDIA DEL FASCISMO E DEGLI STATI AUTORITARI

Il nazionalismo radicale moderno, scrive lo storico americano Stanley Payne nel suo “Il Fascismo”, (Newton Compton editori, 2006) raggiunse la prima volta la sua piena espressione nella fase giacobina della Rivoluzione Francese, che lottò per creare un uomo nuovo, un nuovo tipo di cittadino, tentativo che poi venne seguito da altri successivi nazionalismi rivoluzionari. Questo per precisare da dove derivano i nazionalismi esasperati dell’inizio del Novecento.

Il testo di Payne, prima di trattare la Prima guerra mondiale, analizza le tendenze della politica di alcuni Paesi europei a partire dalla Francia, dove si è sviluppata l’Action Francaise, prototipo della destra monarchica radicale, guidata da Charles Maurras, che sostanzialmente si rifaceva alle dottrine corporativistiche. Intanto per quanto riguarda la Germania, Payne individua nella politica uno sviluppo culturale di pre-nazismo. Avviata anche da alcuni intellettuali che hanno accolto le teorie mistiche del razzismo nordico. Ben presto si è sviluppato anche un pensiero, chiamato “Volkisch”, che si riferisce al popolo tedesco. Caratterizzato da un rifiuto del Cristianesimo in favore di un senso panteistico del cosmo e della natura. Probabilmente il paesaggio tedesco, sostiene Payne,  ha stimolato queste caratteristiche culturali. La Germania predicava una specie di rifugio nella natura, la purificazione culturale e l’unità sociale. E in questo clima culturale comincia a venir fuori l’ideologia del nazionalsocialismo. Intanto in Italia si parla di “Rivoluzione mancata”, dopo le fasi del Risorgimento. Anche da noi nasce il nazionalismo con i militanti più in vista, appartenenti all’avanguardia culturale fiorentina dei vari Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini e con l’immancabile Gabriele D’Annunzio. Tutti questi esponenti auspicano una rigenerazione spirituale e culturale, attraverso una religione laica. Esaltavano l’elitarismo, la guerra, l’ideale dell’impero e la violenza rigeneratrice. Bisognava amare la guerra e la violenza che veniva vista come una cura morale. Si sentiva la necessità di una grande impresa nazionale. Nel 1913 dal giornale “Lacerba”, questi uomini di cultura tuonavano: il futuro reclama sangue. Reclama vittime umane, carneficine. La guerra intestina e la guerra esterna, la rivoluzione e la conquista[…] il sangue è il vino dei popoli forti, il sangue è l’olio per i congegni di questa grande macchina che vola dal passato al futuro. Poi c’era il movimento del futurismo ancora più assetato di sangue, basta leggere il suo manifesto del 1909, dove si proclama che la guerra è l’igiene del mondo. Con queste prospettive culturale e ideologiche si prepara la Prima Guerra Mondiale. Siamo al 3° capitolo. I principi fondamentali della politica vennero alterati, con la conseguenza dell’imbarbarimento della Politica stessa. La guerra viene salutata con entusiasmo, accolta positivamente soprattutto dagli intellettuali. Payne propone un interessante riassunto in 12 punti delle conseguenze della guerra. Forse la conseguenza peggiore è stata quella di consegnare la Russia nelle mani dei bolscevichi di Lenin. Il 4° capitolo si descrive la nascita del fascismo italiano.

Ci sono alcuni passaggi interessanti che il nostro autore evidenzia, intanto alcune analogie dei progetti politici di Mussolini con quelli di Lenin, che ha acclamato la vittoria di Mussolini. I due progetti politici si basano sulla lotta intransigente al parlamentarismo borghese, alle politiche riformiste e al compromesso. Entrambi teorizzavano un gruppo guida composto da una minoranza di rivoluzionari di professione, che dovevano suscitare un sentimento rivoluzionario di massa.

Il capitolo affronta dopo la guerra della nascita i vari passaggi che portarono ai fasci di combattimento, e poi all’impresa di Fiume di D’Annunzio. L’organizzazione del Partito nazionale fascista (PNF), definito “una milizia volontaria posta al servizio della nazione e che svolge la sua attività poggiando su tre cardini: ordine, disciplina, gerarchia”. Payne descrive la ritualità del nuovo movimento rivoluzionario, lo stile tipicamente fascista, le marce e poi la cura maniacale delle cerimonie funebri per i caduti, “un elemento fondamentale del rituale fascista, che univano i vivi con i morti”. Erano presenti sempre i grandi miti della Roma antica che doveva condurre a una nuova Roma. Sempre caro ai nazionalisti italiano è quello dello “Stato Nuovo”. Le camicie nere venivano riorganizzate sul modello delle antiche legioni romane, coorti e centurie, con emblemi bene in vista. Presente il culto della giovinezza e della violenza. “L’azione violenta serviva a tenere vivo lo spirito della guerra patriottica attraverso la ‘comunione’ delle squadre e, infine, avrebbe portato alla giustizia nazionale in Italia”.

Payne precisa che, “la marcia su Roma era stata una sorta di pronunciamento, o imposizione politica, ma non un violento colpo di Stato. Le Camicie nere non avevano preso Roma; Mussolini salì legalmente al potere, a capo di una normale coalizione parlamentare pluripartitica”. Mussolini ricopriva la carica di Primo Ministro, solo tre dei tredici membri del Consiglio dei ministri erano fascisti. Sembrava un governo normale e Gaetano Salvemini affermò che questo governo non sarebbe stato diverso dai precedenti, anche perché tutta l’amministrazione italiana è sempre stata elitaria e dittatoriale. “Nulla o poco faceva pensare a un leviatano in marcia”. Intanto Payne fa notare che i militanti fascisti incalzavano Mussolini perché iniziasse la “Rivoluzione fascista”. Il movimento fascista si presenta abbastanza variegato, esistono diverse correnti, dai fascisti cattolici a quelli monarchici. Naturalmente non intendo raccontare i vari passaggi che portarono al regime, però ci sono alcune notizie che meritano attenzione, soprattutto raccontano un altro fascismo. Intanto nell’amministrazione statale con Mussolini cambiò poco: “le province erano ancora amministrate dai prefetti, non da ras fascisti e, a livello locale, le funzioni erano ancora assolte più frequentemente da conservatori e notabili del posto”. Per quanto riguarda le condanne il professor Payne riporta numeri quasi irrilevanti per essere una dittatura. Fino al 1940 ci furono solo nove esecuzioni capitali per ragioni politiche. Tuttavia durante la guerra il regime “fu brutale ma non omicida e sanguinario”. Se pensiamo all’Urss o al nazionasocialismo nazista, le cose cambiano.

Payne insiste su questo aspetto, il nuovo sistema fascista fu un compromesso autoritario, “la monarchia, la Chiesa, le forze armate, gli interessi economici e, in qualche grado, anche il potere giudiziario, rimasero tutti in carica”. Sono importanti le notizie che offre il professore americano. “Il partito non aveva mai organizzato rilevanti quadri tecnici per procurarsi il personale qualificato”, pertanto, molti furono i nuovi opportunisti all’interno del partito.

Nel 1925 quando inizia la dittatura e si usò il termine “totalitario”, il paradosso però è che come sostengono diversi studiosi dei sistemi totalitari, “l’Italia fascista non divenne mai totalitaria sul piano strutturale”. Nello stesso tempo la dittatura leninista consolidata da Stalin in Unione Sovietica si delineava “un sistema statale socialista con un controllo de facto in termini definitivi, pressoché totale dell’economia e di tutte le istituzioni, così da raggiungere la soggezione della società allo Stato: qualcosa di certo non confrontabile con la situazione dell’Italia fascista. Pochi anni dopo il regime di Hitler in Germania, creò un regime nazionalsocialista, molto simile a quello comunista, mentre “l’Italia di Mussolini aveva poche analogie con entrambi”. Lo stesso Partito fascista era quasi del tutto burocratizzato e non dominava il potere centrale. I grandi affari, l’industria e la finanza mantennero una vasta autonomia, soprattutto nei primi anni. Anche le forze armate usufruirono di una considerevole autonomia. La milizia fascista fu posta sotto il controllo militare. Peraltro la polizia continuò ad essere comandata da funzionari statali che mai vennero sostituiti dai capi del partito, come in Unione Sovietica e nella Germania nazista. Non si pose mai il problema di sottomettere interamente la Chiesa, come in Germania o il controllo totale in Urss. Per quanto riguarda “i prigionieri politici raggiungevano le centinaia (il totale non ammontò mai a più di qualche migliaio) al posto delle decine o delle centinaia di migliaia come accadeva in Germania nazista o dei milioni nella Russia di Stalin”.

IL professore continua nella sua lucida descrizione, dei regimi, “rispetto alle alle grandi dittature del XX secolo, il regime di Mussolini non fu né particolarmente sanguinario né eccessivamente repressivo”. Payne precisa che “Mussolini era giunto al potere per un tacito compromesso con le istituzioni già presenti, e non fu mai completamente in grado di liberarsene”.

Intanto affiorano le prime interpretazioni e critiche del fascismo da parte degli studiosi liberali e poi dai teorici comunisti a partire dagli italiani Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, i quali riconobbero che il fascismo era un vero e proprio movimento di massa, per alcuni aspetti più una conseguenza che una causa della sconfitta della sinistra rivoluzionaria.

Sostanzialmente il fascismo veniva visto come un’eresia del marxismo rivoluzionario che una sfida mortale a esso. L’atteggiamento dei comunisti nei confronti del fascismo era ambiguo: da un lato sembravano essere i primi a usare il termine peggiorativo e polemico di “fascista”. “Dall’altra a Mosca i commenti iniziali della stampa sulla formazione del primo governo Mussolini non erano esageratamente antifascisti, nonostante il Duce parlasse di una ‘rivalità rivoluzionaria’ con Lenin”. Payne ci tiene a precisare che “il governo di Mussolini fu tra i primi dell’Europa occidentale a riconoscere ufficialmente l’Unione Sovietica nel 1924”. Altro particolare importante che Payne racconta, “nel caso della Germania, il nazionalismo radicale tedesco, anche nella sua variante nazista della prima ora, era ritenuto utile per l’URSS e, al XII Congresso del partito a Mosca nel 1923, Nicolai Bukharin sottolineò che il Partito nazista aveva ‘ereditato la cultura politica bolscevica proprio come il fascismo italiano”. Addirittura “Karl Radek tenne un discorso davanti al Comitato Esecutivo del Comintern, proponendo un fronte comune con i nazisti in Germania.

Il 5° capitolo (Lo sviluppo dell’autoritarismo non fascista nell’Europa Orientale e Meridionale, 1919-1929) E’ importante analizzare questo aspetto dei governi autoritari europei che molto spesso sono stati confusi con il fascismo o addirittura con il nazismo. Si inizia ad osservare l’Ungheria dell’ammiraglio Miklos Horthy, che non fu un vero dittatore, organizzò uno Stato reazionario che tentò di mantenere quanto possibile l’ordine del secolo passato. Poi si ragiona sulla Bulgaria, la Romania dove si pone attenzione all’esperienza politica della Guardia di Ferro di Codreanu. Quindi sulla Spagna della dittatura del generale Miguel Primo de Rivera, 1923-1930. Poi si analizzano i colpi di Stato autoritari del 1926: Grecia, Polonia del generale Jozef Pilsudski, che sconfisse nel 1920 l’Armata Rossa di Mosca. Poi la Lituania, infine il Portogallo dove inizia l’interessante esperienza del professore Antonio Oliveira Salazar.

Il 6° capitolo analizza il Nazionalsocialismo tedesco. Esiste una vastissima letteratura, da parte di studiosi, che ha esplorato i diversi aspetti del nazionalsocialismo di Hitler. Buona parte di questa letteratura si domanda come sia stato possibile la “catastrofe tedesca”. Occorre puntare a

la propria attenzione sui vent’anni che vanno dal 1914 al 1933. Soprattutto al Trattato di Pace di Versailles dopo la Prima guerra mondiale, un trattato che ha umiliato e penalizzato la Germania. Il testo di Payne ripercorre i vari passaggi della fondazione del Partito nazionalsocialista dei Lavoratori tedeschi di Hitler. I rapporti di questa forza politica con le altre presenti in Germania, con la cosiddetta repubblica di Weimar.Sono interessanti i momenti elettorali a cui partecipò il partito di Hitler, utilizzando la propaganda per farsi conoscere dai tedeschi. Gli ottimi risultati elettorali ottenuti nei vari settori sociali della società tedesca, in particolare tra il ceto medio, tra gli operai. Oltre ai nazisti, però anche il partito comunista otteneva buoni risultati nelle elezioni. Nacquero ben presto scontri nelle strade delle principali città.

Il 30 gennaio 1933 Hitler diventa cancelliere del governo tedesco con il ruolo di capo di una normale e legale coalizione parlamentare. Solo due cariche, tra gli undici del Consiglio dei ministri, andarono ai nazisti. Ma Payne precisa che “né Hindenburg né Papen riuscirono però a comprendere che, accordando la guida del governo a Hitler, questi otteneva gli strumenti per creare una dittatura personale”. E così in poche settimane Hitler istituì il controllo nazista sulla maggior parte dei governi regionali, poi con il misterioso incendio del Reichstag, fu utilizzato per legittimare la sospensione di alcune libertà civili. Raggiunta una maggioranza elettorale del 43,9 per cento con 288 seggi, escludendo i comunisti Hitler ottiene il potere di governare la Germania. Successivamente riorganizzò e controlla le istituzioni fondamentali, il 14 luglio il suo partito la NSDAP viene dichiarato l’unico partito politico della Germania.

Dopo le purghe finali nei confronti degli estremisti delle SA, Hitler diventa capo dello Stato e dittatore assoluto.

DOMENICO BONVEGNA