Aumento inflazione e calo dei redditi reali: solo pochi Paesi adottano il modello dell’adeguamento automatico degli stipendi

In questo momento il Governo deve far fronte al calo del potere d’acquisto degli italiani: se nell’area OCSE nel II trimestre 2023 il reddito pro capite delle famiglie è aumentato in media dello 0,5%, in Italia è invece calato dello 0,3%. Dal 1992, infatti, gli stipendi non seguono più l’adeguamento automatico ai prezzi di consumo con il meccanismo della “scala mobile” ma sono in mano ai contratti collettivi, i quali, attraverso i loro rinnovi periodici potrebbero contribuire a migliorare la situazione retributiva. Tuttavia, su 977 contratti collettivi depositati al CNEL (al 1° settembre ’23) e relativi al settore privato, ben il 57% è scaduto (557), con una media di più di 4 anni. Un dato che vede coinvolti oltre 7,4 milioni di lavoratori in attesa dei rinnovi [2].

Ma come funziona negli altri Paesi europei? Esistono meccanismi per adeguare le retribuzioni all’inflazione?

Secondo l’analisi dello Studio Legale Daverio & Florio, specializzato in diritto del lavoro e diritto della previdenza sociale, che in Italia rappresenta il network internazionale Innangard, solo in Belgio (spesso) e in Lussemburgo vige ancora l’indicizzazione automatica dei salari all’inflazione, mentre nella maggior parte dei Paesi è dettata da trattative libere con il datore di lavoro, dalla negoziazione dei sindacati, dal Governo o dai contratti collettivi, come in Italia.

 

“Le parti sociali, a qualsiasi livello, con i rinnovi dei CCNL hanno un ruolo fondamentale non solo per garantire un salario minimo alle famiglie e adeguare la retribuzione al costo della vita, ma anche per offrire soluzioni virtuose e al passo coi tempi –commenta Simone Brusa, avvocato dello Studio Daverio & Florio–. Negli ultimi anni, infatti, le aziende e i lavoratori hanno capito il valore di nuovi strumenti e benefit che vanno oltre la classica retribuzione. Si tratta sia di soluzioni di carattere economico, come ad esempio la contribuzione in fondi di assistenza sanitaria, sia di carattere organizzativo, come la flessibilità del lavoro. Con i rinnovi contrattuali si possono così soddisfare sia le esigenze degli imprenditori, che vorrebbero maggiore produttività e senso di appartenenza all’azienda sia dei lavoratori, costantemente pressati dagli aumenti e dagli obblighi familiari, soprattutto nelle grandi città.”

 

Dal confronto con gli altri Paesi, in Belgio l’indicizzazione è automatica e segue i prezzi al consumo. Sebbene il meccanismo di indicizzazione non sia definito per legge, ma piuttosto nei contratti collettivi di lavoro che differiscono da settore a settore, in quasi tutti i settori esistono contratti collettivi che prevedono l’indicizzazione automatica. Questo ha portato a un aumento delle retribuzioni reali dei dipendenti (+2,9%), che è molto alto rispetto alla media OCSE (-3,8%).

 

Anche in Lussemburgo, tutti i salari e le prestazioni sociali (compreso il salario minimo) vengono regolarmente adeguati all’inflazione. Si tratta di un vero e proprio sistema di automatizzazione, che prevede ogni semestre l’adeguamento degli stipendi in base alle variazioni dei prezzi di consumo [3].

 

In altri Paesi l’indicizzazione automatica sussiste solo se prevista dal contratto collettivo di quella categoria.

È il caso dell’Olanda, dove il datore di lavoro non è obbligato a indicizzare i salari annualmente. Le trattative sul livello salariale sono quindi ampiamente libere.  L’obbligo di indicizzare annualmente i salari sussiste solo se è incluso nel contratto di lavoro o nella contrattazione collettiva, oppure se esiste una prassi consolidata che ha conferito al dipendente un cosiddetto “diritto acquisito” all’indicizzazione.

Nel Regno Unito non esiste un adeguamento automatico dei salari all’inflazione, ma i lavoratori devono dunque negoziare i propri aumenti salariali con il proprio datore di lavoro. Esiste però un Salario Nazionale di Vita (+23 anni o più) e un Salario Minimo Nazionale (per chi ha almeno l’età per lasciare la scuola), stabilito ogni anno dal Governo sulla base dello stato dell’economia, del costo della vita e dei guadagni.

 

Una situazione analoga avviene in Germania, dove non c’è un adeguamento automatico. Laddove esistano contratti collettivi, i sindacati devono negoziare gli aumenti, altrimenti gli incrementi salariali sono negoziati individualmente o concessi dai datori di lavoro. Gli aumenti del salario minimo legale sono decisi da una commissione composta da membri con diritto di voto tra le parti sociali (sindacati/datori di lavoro) e da due membri consultivi accademici senza diritto di voto.

 

In Irlanda esiste un salario minimo legale il cui tasso è determinato dal Governo, ma non c’è un adeguamento automatico delle retribuzioni all’inflazione. C’è una spinta ad avere un salario di sussistenza più alto e che rifletta più accuratamente il costo della vita in Irlanda. Anche qui, dove esistono contratti collettivi, i sindacati possono negoziare aumenti salariali per conto dei loro iscritti. Esistono anche alcuni accordi specifici per settori che si applicano automaticamente ai dipendenti che lavorano, ad esempio, nel settore delle costruzioni. I dipendenti del settore privato non rappresentati da un sindacato possono cercare di negoziare e concordare un aumento salariale direttamente con il proprio datore di lavoro, cosa che tende a verificarsi più spesso quando l’economia è favorevole.

 

Anche in Portogallo esiste un salario minimo nazionale generale che non prevede aumenti legati all’inflazione, poiché dipende dalla decisione del Governo. Inoltre, i contratti collettivi di solito stabiliscono un salario minimo per ogni categoria di dipendenti, ma, ancora una volta, qualsiasi aumento dipende dalle negoziazioni tra datori di lavoro/sindacati, senza meccanismi di adeguamento automatico.

 

In Spagna dipende dalla normativa concordata in ogni contratto collettivo. Visti gli alti tassi di inflazione degli ultimi anni, la maggior parte dei contratti concordati di recente non prevedono alcun meccanismo di adeguamento automatico. Inoltre, non esiste un aumento del salario minimo legale legato all’inflazione, poiché dipende dalla decisione del Governo.

 

In Danimarca non esiste un salario minimo nazionale generale e quindi non è presente un aumento legale legato all’inflazione. I contratti collettivi di lavoro possono stabilire tale aumento, ma non è comune.

 

In Svezia i sindacati vorrebbero introdurre, ma attualmente non c’è alcun legame legale o contrattuale tra i salari e l’inflazione, che viene solo usata come argomento per gli aumenti salariali. Ci sono alcuni settori che quest’anno hanno avuto un aumento superiore al 10%.

 

Rimanendo in acque europee ma fuori dai confini UE, in Turchia non vi è alcun adeguamento automatico dei salari all’inflazione per i singoli settori se non specificato sul posto di lavoro o dal contratto collettivo. Tuttavia, i lavoratori non possono essere pagati meno del salario minimo nazionale, che viene stabilito una o due volte l’anno. In pratica, per i salari superiori al salario minimo, i datori di lavoro di solito effettuano un aumento annuale almeno pari al tasso di inflazione. Inoltre, negli ultimi anni, a causa del rapido aumento dell’inflazione in Turchia, la maggior parte dei datori di lavoro effettua gli adeguamenti due volte all’anno.

 

[2] Fonte: CNEL, 12 ottobre 2023 – Dato aggiornato al 1° settembre 2023

Il dato medio della scadenza dei contratti collettivi è stato elaborato partendo dall’elenco dei dati CNEL aggiornato al 1° ottobre 2023 https://www.cnel.it/Archivio-Contratti

[3] https://www.ing.lu/webing/content/siteing/en/Individuals/my-money/categories/pay/what-is-the-purpose-of-index-linking.html