A DENTI STRETTI: IL FALLIMENTO DELLA DEMOCRAZIA

Due fenomeni imponenti segnalano il fallimento dell’istituzione democratica: il crescente astensionismo elettorale e la nascita dei movimenti e partiti che, pur di segno diverso, sono unificati dal violento movente antipolitico e antidemocratico. E’ la tesi sostenuta da Raffaele Simone, sviluppata in un interessante pamphlet dal significativo titolo: “Come la democrazia fallisce”, pubblicato da Garzanti (2015).

Il testo smonta pezzo dopo pezzo il glorioso paradigma democratico, mostrando che esso funziona a patto di prendere le sue componenti non come principi veri o promesse reali ma come finzioni, cioè come obiettivi impossibili […]”.

Per sviluppare la sua analisi Simone che certamente non è un sovranista, ma credo appartenga all’area di sinistra, utilizza il parere di diversi pensatori, politologi, filosofi e sociologi, figure-faro del nostro tempo, ma anche del passato. A cominciare da Max Weber a Norberto Bobbio, Jan Jack Rousseau, Hans Kelsen, Roberto Dahl, Alfio Mastropaolo, Ortega Y Gasset, Montesquieu, Robert Michels, Dominique Schnapper e tanti altri.

“La cosa straordinaria è che queste persone, – scrive Simone – nel momento in cui edificavano o rifinivano criticamente l’architettura di questa formidabile costruzione, ne segnalavano sin dall’inizio le difficoltà, gli scompensi, le crepe profonde, che sono in parte quelle di cui ancora soffriamo”.

In pratica Simone chiarisce che il suo libro documenta che la democrazia come modello politico, si basa “su un complicato, coraggioso e geniale sistema di finzioni, cioè di proposizioni inattuabili ma cariche di un incantamento irresistibile – proposizioni che chi sta al gioco democratico deve accettare senza troppo ‘curiosarci attorno’. Mi sembra una tesi abbastanza originale. L’equilibrio del sistema democratico per Simone assomiglia ai bastoncini dello Shangai, all’inizio sembrano ben assestati, ma basta la minima vibrazione per disfare tutto.

Nella premessa rivolgendosi all’istituzione democratica, si chiede se riusciremo a salvarla, ma soprattutto se dobbiamo ancora crederci. Il libro di Simone individua le varie finzioni democratiche e pertanto “la democrazia perde inesorabilmente credito, mordente e prestigio; i cittadini, che hanno preso a ‘curiosare attorno’ alle fondazioni di quell’edificio, cominciano a scoprire che qualcosa non va”. La democrazia esce “sfigurata”, sostanzialmente sembra che il “ciclo democratico” sia arrivato al suo termine. E’ già tanto che è durato quasi due secoli.

Il I° capitolo (democrazia in affanno) il testo fa una sintesi sulla democrazia, a partire da Rousseau e quindi la rivoluzione del 1789, del 1848, analizza come si sono assestati i principi democratici, a cominciare dal lungo cammino del diritto di voto. La democrazia viene vista come una forma di vita associata, un’esperienza di vita. Simone individua una mentalità nata attorno alla democrazia, la mitologia democratica, che diffonde l’idea che nella democrazia si raccoglie il meglio come la pace, la libertà, l’istruzione, il benessere, la tolleranza.

A settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, il quadro è radicalmente diverso. In tutta Europa si registra “una presa di distanza da istituzioni e strutture che erano le icone stesse del metodo democratico: l’astensionismo elettorale cresce di anno in anno; la fiducia nella sfera politica è crollata; gli iscritti ai partiti e ai sindacati si riducono senza posa; il credito della magistratura traballa…”. Sembra ancora intatta la mentalità democratica nelle sue massime principali, anche se alcune “tessere, di questa mentalità cominciano a traballare e a staccarsi dal mosaico”. Per esempio, la sanità, i servizi sociali, l’istruzione, visti come troppo costosi, “sono distribuiti con generosità spropositata e non producono il frutto desiderato”.

Il clima intorno alla democrazia è caratterizzato da impazienza, delusione, perfino avversione. Mastropaolo afferma: “Tutto un dizionario di parole e di concetti è caduto in desuetudine: le classi, lo Stato, la solidarietà, l’uguaglianza, il collettivo, il pubblico, l’interesse generale, il bene comune, il partito, il lavoro, il compromesso”. A criticare tutto questo sono i movimenti antidemocratici, per cui insistere sulla democrazia è una fatica sprecata e poi i movimenti iper-democratici, secondo cui la dose di democrazia dei regimi attuali è insufficiente, questi furono gli intenti dei contestatori del Sessantotto.

Tuttavia, per Simone, l’insofferenza verso l’istituzione democratica non è rivolta soltanto verso il metodo elettorale, la forma di governo o di organizzazione, ma anche verso “alcune sue espressioni primarie, come il parlamento, i partiti, tutte le entità intermedie, la scuola pubblica e il welfare. Colpisce insomma l’intera sfera del politico e della politica […]”.

Cosa è successo? Simone indica alcuni fattori che hanno contribuito a questa disaffezione: la globalizzazione, l’esplosione dell’immigrazione verso l’Europa, la crisi economica del 2008 (e che dire ora dopo il covid 19). Questi fattori hanno fatto nascere quei movimenti antidemocratici come il Fronte Nazionale in Francia, l’UKIP inglese, inoltre quei movimenti fluidi come i 5 Stelle, il movimento spagnolo degli Indignados e poi Podemos. Questi movimenti,“non hanno programmi di azione positivi, ma solo atteggiamenti di rifiuto, slogan avversi e preclusioni generali”. La parola d’ordine più diffusa è: “se ne vadano tutti”. Intanto vengono travolti ogni tipo di intermediari come i partiti e i sindacati. Siamo all’antipolitica, sfiducia totale nella sfera politica, il suo personale, le sue istituzioni, le sue usanze e i suoi rituali, ma soprattutto nei suoi privilegi, la corruzione. Sostanzialmente, tutti quelli che appartengono alla politica sono presi di mira.

La caratteristica di questi movimenti è anche l’estrema volatilità. Per Simone questo movimentismo è premonitore di un’autentica “crisi storica, di un cambiamento radicale di forme di paradigmi, inclusi quelli politici”. Pertanto secondo Simone, “alla democrazia come istituto benevolo credono ormai in pochi […] i paradossi e i guasti son ben più numerosi di quelli che ne descrivono i vantaggi e i meriti”. Ormai siamo alle “democrazie senza democrazia”.

Su Il Foglio del 21 ottobre, Paola Peduzzi, rileva che le persone nate tra il 1981 e il 1996 hanno meno fiducia nella democrazia rispetto ai loro genitori e nonni quando avevano la loro stessa età. La colpa è della crisi economica del 2008: “la democrazia non funziona per me, non rende la vita migliore, anzi sto peggio di come stavano i miei genitori”. Per certi versi secondo l’articolista de Il Foglio, siamo giunti a una società post-democratica, dove questi millennium devono affrontare i problemi reali come la disoccupazione, la difficoltà di comprare casa, fare carriera, formare una famiglia.

Il libro di Simone tenta di esaminare i motivi dell’insofferenza verso la democrazia e di disegnare con la prudenza opportuna alcuni possibili scenari futuri.

Il testo segue uno schema: la democrazia come regime politico si fonda su alcune “finzioni”, “che non enunciano obiettivi effettivamente accessibili ma traguardi irraggiungibili, verso cui si può solo ‘tendere’ all’infinito. Il puro fatto di tendere a quei traguardi permette al sistema politico di funzionare […]. Quindi Simone insiste, “la democrazia è un’ipotesi basata sul fragilissimo principio del ‘come se’: anche se tutti sanno che un dato principio non sussiste, ci si comporta come se esso fosse valido”.

Insomma Simone arriva a giustificare il suo pensiero dissacrante sulla democrazia. Infatti scrive: “può sembrare sconveniente o sacrilego asserire che l’ipotesi democratica è basata su finzioni […]”.

Infatti secondo l’autore del libro l’ideale democratico punta all’impossibile. “A trattare tutti gli essere umani come uguali, a riconoscere a tutti la libertà di decidere con la propria testa, e perfino la capacità di governare […]”.

In particolare Simone cita Kelsen che critica il principio di rappresentanza, che al posto del popolo (che non può parlare) si colloca il parlamento (che parla in sua vece). I principi fondamentali della democrazia sono propriamente inattuabili, sono proposizioni logicamente false. Quante solenni affermazioni, per esempio sul principio di uguaglianza, che subisce diverse violazioni, anche perché in taluni ambiti esso è inapplicabile. In alcuni ambiti è indispensabile creare distinzioni, fissando differenze tra le persone. Pertanto, Siamo uguali ma non in tutto.

Infatti secondo Simone esistono “disuguaglianze contro cui nessuna democrazia rappresentativa si è mai proposta di agire seriamente. La principale, la più lacerante e pericolosa è la disuguaglianza economica, la distanza tra ricchi e poveri.

La democrazia, é in fondo un gigantesco gioco di simulazione. Alcuni scrittori indicano chiaramente che paradossalmente la stessa “democrazia può pregiudicare seriamente la democrazia”. E’ esposta al rischio di crollare sotto la sua stessa mole. Del resto, ricorda Simone, sia il fascismo che il nazismo arrivarono al potere passando attraverso il sistema elettorale democratico.

Addirittura, Simone, citando Rousseau, scrive: “una vera democrazia non è mai esistita né mai esisterà”. Ci sono maggioranze, che non sono maggioranze, non tutti sono sotto il potere della legge, nella democrazia, capita che l’incompetenza diventa competenza. E poi la volontà popolare per l’autore del libro, non esiste,“perché i cittadini sono informati al più sugli affari locali, non certo su quelli nazionali e internazionali […]”. Insomma, “quella del popolo non è una volontà autentica ma una ‘volontà fabbricata’. Per questo motivo, spesso, “i rappresentanti del popolo votano su problemi di cui il popolo non sa e non capisce nulla e spesso operano in modo coperto”.

Interessante il capitolo IV°, (la Fata Democratica). In sintesi, per Simone, in generale la democrazia è percepita come una “Fata protettiva, munita di un’ampia cappa capace di coprire ogni aspetto e fase della vita e sotto cui chiunque, da qualunque parte provenga, può trovare rifugio nel momento del bisogno”. E’ buona, comprensiva, generosa, accogliente, affettuosa e non bada a spese. Simone, tutte queste aspettative, le chiama un “esagerare nel bene”, un “estremismo umanitario”. Questo modo di pensare ha portato a un comportamento collettivo generalizzato. Se prima valeva la regola: “cavatela da solo”, ora ce n’è un altro che dice:“qualcuno dovrà pur tirarti fuori da qui”, naturalmente è scontato che a tirarti fuori dai problemi è proprio la Fata Democratica, in una delle sue mille vesti, come lo Stato, il governo, etc.

Il Welfare pensa a tutto, praticamente secondo Simone, si sono trasferiti, molti dei problemi privati e personali a quelli della sfera pubblica. E’ notorio che nell’Europa Occidentale sono gratuite il servizio sanitario, la scuola obbligatoria, l’assistenza sociale, e tanto altro. Peraltro, c’è una tendenza ad espandere l’area dei diritti. Simone evidenzia un’erosione del concetto di autorità e di istituzione in tutti i campi. E qui ricorda le lotte alle differenze culturali, caccia a tutti gli elementi di discriminazione o di disprezzo; esaltazione della libertà in opposizione a ogni tipo di disciplina, soprattutto nell’educazione, e poi via via tutti i riconoscimenti possibili e immaginabili, a cominciare dalle coppie omosessuali. Non possiamo affrontare tutti gli argomenti proposti da Simone. Su alcuni sarebbe interessante soffermarsi: come quello che i partiti che diventano facilmente delle oligarchie, tra la’ltro, ormai non hanno più iscritti e materialmente dei luoghi dove riunirsi. Intanto crescono i funzionari di partito, i partiti personali, gli apparati burocratici, che naturalmente non si formano per via democratica. E poi l’attenzione sul potere mediatico televisivo, su quello digitale ancora più invasivo.

Il testo di Simone offre altri interessanti spunti per essere letto, credo che si debba tenerlo in grande considerazione, quando si affrontano temi profondi come quelli istituzionali o sulle varie forme di governo alternative a questa democrazia degenerata. Il professore nonostante la sua forte critica alla democrazia, ci mette in guardia, dal non accettare forme politiche sovraniste e populiste. Chissà cosa pensa se io volessi proporre certe interessanti esperienze politiche autoritarie, come quella di Antonio Oliveira Salazar nel Portogallo del secolo scorso. Salazar, ha governato il suo Paese per quasi quarant’anni, certamente ha sospeso le cosiddette “conquiste” democratiche, ma con tutti i difetti, ha risollevato il suo Paese dalla crisi economica. E perché non guardare anche con interesse alle esperienze monarchiche come quelle studiate nell’insuperabile saggio del professore di filosofia e di diritto, Francisco Elias de Tejada, “La Monarchia tradizionale”, con i suoi pesi e contrappesi, da non confondere con tutte le altre esperienze di monarchie assolute, che hanno generato lo Stato assoluto Moderno e che ci ha condotto alle finzioni della democrazia come ha ben scritto il professore Simone.

DOMENICO BONVEGNA

Domenico_bonvegna@libero.it