PERCHè IL SUD DEVE MORIRE

Da tempo giornalisti, scrittori, pensatori, si esercitano a scrivere e a descrivere il nostro Meridione. Io stesso più volte mi sono occupato della questione. E’ vero il sud nonostante tutto è sempre una questione. Per alcuni non lo è stato sempre, e forse hanno ragione, penso ai nostalgici dei borboni. Comunque sia la realtà è che il nostro Paese Italia da troppo tempo viaggia a due velocità. A ricordarcelo ci pensa Carlo Puca, napoletano, giornalista d’assalto del settimanale “Panorama”. A settembre dell’anno scorso ha scritto un libro, che più provocatorio non si può: “Il Sud deve morire”. Sottotitolo: “Esecutori, mandanti e complici di un delitto (quasi) perfetto”. Pubblicato da Marsilio di Venezia.
Puca fa un viaggio-inchiesta nel Meridione, affrontando gli argomenti più delicati, dagli orrori della pubblica amministrazione a quella privata.“Lo chiamano mezzogiorno, ma il buio è sempre quello di mezzanotte”. L’oscurità viene cancellata soltanto quando sulla sua agonia si accendono improvvisamente le luci della cronaca: una strage, una retata, un rapporto Svimez. Infatti, scrive Puca,“la rianimazione dura il tempo di quegli attimi fuggenti. Subito dopo, la sagoma del Mezzogiorno torna a ciondolare sul patibolo dell’indifferenza, secondo la potestà dei soliti mandanti, esecutori e complici”. Attenzione, per Puca, si tratta di un’associazione a delinquere, assai abile nel governo del cappio,“una lunga corda annodata intorno a parole inutili, opere dannose e omissioni pianificate”. Per la verità un libro simile a questo di Puca, l’avevo recensito e presentato, in più puntate, qualche anno fa, mi riferisco a “Il sole sorge a sud” di Marina Valensise. Un ottimo lavoro quello della giornalista di Polistena che non affrontava solo le questioni politiche e sociali del Meridione, ma il corposo volume raccontava anche la ricca storia di tutto il Meridione. Il viaggio di Puca parte da Lampedusa, l’isola, dove tutti i disperati del mondo, cercano di raggiungere. Nel libro il giornalista sceglie alcuni territori e fatti che maggiormente hanno avuto eco sui media. Percorre questi territori con tanto sentimento, che ben presto si trasforma in tanto risentimento. Del resto,“chi accresce il sapere aumenta il dolore”. Alla fine quasi sempre oltre alla sofferenza spunta anche la rabbia.
A Lampedusa è difficile nascere, ma anche morire. Carlo Puca, racconta ironicamente episodi che sfociano nel grottesco, come quello che si può leggere nei manifesti mortuari:“i funerali verranno celebrati con l’arrivo della nave”. Capita dover attendere giorni per ottenere una degna sepoltura. Su questo pezzo d’Italia esistono molte leggende.“C’è una parte di opinione pubblica nazionale convinta che grazie ai migranti la Lampedusa-capitale si sia arricchita. Ma degli svariati milioni di euro spesi (impossibile quantificarli), poco o nulla è toccato ai residenti”. Infatti, qui il tasso di disoccupazione, continua a galleggiare intorno al 22%. Tuttavia, sembra che la gente ce l’ha più con lo Stato che con i profughi.
Il testo salta subito in Campania a Castel Volturno, la città che nessuno vuol vedere. Il giornalista napoletano rileva che tanti dei morti nel Mediterraneo, “partivano con la parola ‘Castel Volturno’ scritta a pennarello sulla mano”. Secondo Puca, “la loro terra l’avrebbero cercata proprio in questa casertana lingua di mare e di dune. La giudicavano un’enclave nera nel cuore dell’Europa, non senza ragione: questa è davvero l’Africa dell’Occidente”.
Aiutandosi con le informazioni di Maria Assunta Piantadosi, storica locale, il giornalista di Panorama, può scrivere che i migranti qui cominciarono ad arrivare già dalla metà degli anni ottanta. Nel 2015, l’anagrafe municipale ha censito 25.412 residente, dei quali 3.941 stranieri. Soltanto che il Comune quantifica la produzione di rifiuti urbani per almeno sessantamila abitanti. “Calcolando per un gran difetto, significa che sul territorio abitano almeno ventimila clandestini”. Altra notizia molto grottesca: “soltanto per i funerali degli irregolari il Comune spende trentamila euro all’anno. Parla il sindaco Pd eletto nel 2014. “Ogni volta che un extracomunitario muore senza documenti, i responsabili dell’obitorio di Caserta ci spediscono la fattura per la permanenza: per loro è scontato che abitasse qui”. Anche perchè sembra che nessuno reclami i loro corpi.
La questione di Castel Volturno è conosciuta negli alti palazzi, nello stradone della statale Domiziana, si spaccia e si prostituisce a vista, ma nessuno vuole intervenire o vedere. Eppure anche qui il territorio potrebbe avere tanta storia di prima classe da far conoscere, artisti, letterati e poeti. I romani hanno battezzato felix, “terra fertile e fortunata”, il territorio intorno a Castel Volturno. Dal giorno del terremoto del 23 novembre1980, però è diventata infelix. Perchè il governo prima inviò qui gli sfollati e poi successivamente furono occupate da balordi e così i napoletani borghesi abbandonarono le case, fuggendo tutti. Puca descrive dettagliatamente la situazione drammatica del territorio diventato facile preda di clandestini. Non è un caso che quei pochi espulsi dall’Italia, perchè inneggianti all’Isis e al califfo Abu Bakr al-Baghdadi, sono tutti transitati da qui.
Carlo Puca, non fa sconti a nessuno, fa i nomi e cognomi di tutti quelli che hanno e sfruttano il territorio, dai vari pescecani, della criminalità grossa a quella piccola.
Subito dopo si ferma su una località calabrese. Si tratta di Papasidero, una piccola località vicino al Pollino, di cui ignoravo l’esistenza. Sembra un toponimo di un territorio sudamericano. Si tratta di un sito archeologico, risalente all’età della pietra, dove scavando hanno trovato utensili, frammenti alimentari e un numero incredibile di sepolture: in tutta Europa sono appena cinquanta le tombe paleolitiche ritrovate e nove appartengono a Papasidero. L’ultima è datata 2010, di un giovane vissuto circa 19.000 anni fa. Ma secondo Puca ancora nella grotta di Romito scavando si può trovare molto altro. “Peccato che Papasidero sia un luogo semiclandestino. Eppure la pratica di un po’ di sano marketing turistico rappresenterebbe un’operazione relativamente semplice: la grotta del Romito è il più importante sito preistorico italiano e tra i maggiori d’Europa. Invece niente, rimane un luogo sconosciuto, agli italiani in generale (che ne ignorano persino l’esistenza) e ai calabresi in particolare, nonostante a Scalea e sulla riviera dei Cedri campino di turismo”.
Papasidero, si trova nel pieno del parco nazionale del Pollino, costituisce l’oasi naturale più grande d’Italia e addirittura l’Unesco, lo ha fatto diventare patrimonio dell’umanità. Ma non basta, dovrebbe diventare anche patrimonio economico dei lucani e dei calabresi. Puca polemizza con gli amministratori calabresi che nonostante tutto non riescono ad apprezzare abbastanza il sito, che deve essere curato una volta l’anno da un pool di professori dell’università di Firenze.
Con il caso delle cinque ragazze, sartine di Barletta, il libro di Puca entra nel vivo delle denunce, del lavoro nero, dei vari caporali e delle “soldatesse” per pochi spiccioli di euro. Il 3 ottobre 2011, il giorno dell’evento più sconvolgente e malinconico della storia meridionale recente. Il giorno della “strage delle sartine” di Barletta, con il crollo del palazzo di via Roma. Il giornalista descrive l’episodio, che l’ha coinvolto emotivamente, come lui stesso scrive nel libro. “Forse perchè meglio coniuga la peste della rassegnazione meridionale con la superficiale indifferenza del resto d’Italia”.
Dopo il rituale cordoglio delle autorità alle famiglie delle vittime, con le frasi fatte: “Ora legalità e sicurezza”. “Basta lavoro nero”, “Non vi dimenticheremo”. Passato un anno già si faceva fatica a ricordare. Eppure in quei territori nulla è cambiato: ”Ora come allora”, scrive Puca, “replica eterno e quotidiano il film dell’ingaggio dei lavoranti in nero”. Ora come allora, il padrone è solitamente benestante, conosce le leggi, compreso il Jobs Act, e sa come aggirarle. “Per esempio, è comune che i muratori a servizio vengano quasi sempre registrati soltanto in caso di incidenti sul cantiere, cioè dopo che sono morti o feriti gravi. O che i vantaggiosi sussidi statali per i braccianti agricoli vadano a contadini fittizi, parenti o prestanomi fa lo stesso, con le mani curate e i volti riposati, mentre nelle campagne vanno persone a volte inabili a lavori così pesanti”. Ma forse, fa più impressione il lavoro grigio, è il 40% e riguarda quelli che vengono assunti soltanto per il tempo utile a ottenere l’indennità di disoccupazione, dopodiché il lavoratore resta in azienda per lavorare in nero.
Per il momento mi fermo c’è già tanta carne al fuoco, alla prossima.

Domenico Bonvegna
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